— Mister Torpon!...
— Signor di Montcalm!... —
Due gemiti e qualche bestemmia avevano risposto.
Quasi nel centro della sala, a tre passi l'uno dall'altro, giacevano i due rivali, ciascuno con un coltello piantato nel petto.
I partners, in preda ad una emozione facile a comprendersi, si erano gettati verso i disgraziati e subito un grido di stupore era sfuggito dalle loro labbra.
Caso assolutamente straordinario, quasi incredibile! I due rivali si erano colpiti nel medesimo punto, sotto la terza costola di destra e le lame non erano penetrate che per pochi centimetri, pur rimanendo infisse.
Il dolore provato e sopratutto l'emozione, avevano atterrati quei due giganti e li avevano fatti svenire.
— Che cosa dite voi, mister Patterson? — chiese il maestro di boxe canadese.
— Che il destino non vuole che nessuno di questi uomini sposi miss Perkins, — rispose il boxer americano.
— Comincio a crederlo anch'io.
— Presto, leviamo i bowie-knife e portiamo i feriti a letto.
Agite con precauzione, senza strappi, mister Hall.
— Oh, me ne intendo io di ferite, — rispose il boxer canadese.
— Si sono colpiti gravemente?
— Non mi sembra. Per atterrare questi uomini ci vogliono ben altre ferite!
— Non perdiamo tempo: a voi il signor di Montcalm, a me mister Torpon. —
I due maestri strapparono i loro fazzoletti per preparare alla meglio un primo bendaggio, poi s'inginocchiarono presso i feriti, sbottonando rapidamente le giacche ed i panciotti e strappando le camicie e le maglie, poi trassero delicatamente le armi.
Due getti di sangue vivissimo irruppero tosto dai due tagli, espandendosi sui larghi petti del yankee e del canadese.
— Buon segno, — disse mister Hall. — Il polmone non è stato toccato.
— Nemmeno quello del signor Torpon, — aggiunse il boxer americano, — almeno così spero.
— Portiamoli a letto.
— Sì, e presto. —
Fasciarono come meglio poterono le due ferite, per arrestare l'emorragia, poi ognuno si prese il suo allievo ed essendo due veri giganti, li trasportarono con non molta fatica in due stanze separate, l'una però attigua all'altra.
In pochi istanti furono spogliati e coricati su dei buoni letti.
Continuando il sangue a trapelare attraverso la improvvisata fasciatura, i due maestri stracciarono degli asciugamani e fecero un nuovo e più stabile bendaggio.
— Ed ora, — chiese mister Patterson al boxer canadese. — Dobbiamo avvertire l'albergatore?
— Sarebbe meglio che voi vi recaste a cercare qualche medico, mister Hall.
Le ferite non mi sembrano gravi, tuttavia non commettiamo delle imprudenze.
In quanto all'albergatore lasciatelo in pace.
Forse ai nostri allievi non piacerà che metta il suo naso nei loro affari.
Conoscete la città?
— A menadito.
— Andate subito, mentre io rimango di guardia. Sono appena le nove ed in qualche luogo potrete pescare qualche medico.
— Vado e torno subito. —
Il maestro americano era appena uscito, quando il boxer canadese udì un profondo sospiro uscire dalle labbra del signor di Montcalm.
— Finalmente!... — esclamò il brav'uomo. — Cominciavo a diventare inquieto.
Speriamo che anche mister Torpon torni presto in sè. —
CAPITOLO V. Una sfida grandiosa.
Il canadese, forse più robusto dell'americano, o forse ferito meno profondamente, dopo quel sospiro, aveva alzate le braccia, quindi, a poco a poco, aveva aperti gli occhi fissandoli sul suo maestro di boxe, con un misto di stupore e di ansietà.
Il pallore, che poco prima copriva il suo viso, svaniva rapidamente e le sue gote si imporporavano lievemente.
— Non muovetevi, signor di Montcalm, — gli disse Hill. — Finchè non giunge il medico voi dovete rimanere assolutamente immobile, poichè quantunque io me ne intenda un po' di ferite, non ho studiato come quei signori che escono dall'università.
— Ma che cosa è successo, mister Hill? — chiese il ferito, con voce abbastanza robusta.
— Per centomila caimani!... — esclamò il boxer, un po' spaventato. — Non vi ricordate più dunque del duello all'americana che avete sostenuto con mister Torpon? Avete perduta la memoria, mio caro allievo? —
Il canadese sgranò gli occhi, poi si battè la fronte, mossa che gli fece fare una smorfia, strappatagli dal dolore, poi chiese con voce alterata:
— L'ho ucciso? —
Il maestro di boxe indugiò un momento prima di rispondere.
— Signor di Montcalm, — disse poi, — bisogna proprio credere che esista un destino.
— Perchè dite questo, mister Hill?
— Perchè non può essere stato che il destino, quel destino che vi perseguita con un accanimento incomprensibile in tutte le vostre lotte, a guidare le vostre mani ed i vostri coltelli in modo da ferirvi reciprocamente nello stesso punto e probabilmente nelle medesime condizioni di gravità.
— Che cosa dite?
— Che vi siete accoltellati reciprocamente, senza uccidervi.
— Infame destino!...
— Non infuriatevi, signor di Montcalm, — disse il boxer. — Non dimenticate che siete ferito e che non so dove la punta del coltello del vostro rivale sia giunta.
— Sono ancora vivo.
— Lo vedo, corpo di centomila bombe!... Diavolo!... Ci vorrebbe altro che i miei allievi morissero così presto!
— Dov'è Torpon? — chiese il canadese, coi denti stretti.
— Nella stanza vicina e non è ancora tornato in sè. —
Il signor di Montcalm si passò per la seconda volta una mano sulla fronte, senza fare smorfie questa volta, poi disse con voce un po' rauca:
— Avesse almeno ucciso me!...
— Ah no, signor mio!... C'è sempre tempo a morire.
— Eppure bisogna finirla e romperla con questo perverso destino che ci perseguita con tanto accanimento.
— Udiamo, signor di Montcalm.... ma ditemi prima se soffrite a parlare.
— Niente affatto. Mi pare di non essere nemmeno ferito, se non mi agito.
— Possedete una fibra meravigliosa.
— Dite dunque mister Hall.
— L'amate proprio alla follìa quella indiavolata americana? —
Il canadese lo guardò per qualche istante, poi disse:
— Non so.
— Non ci sarebbe, invece d'una vera passione, un po' di puntiglio?
— Può darsi.