Guido Pagliarino

Il Cane


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molt’altro Dino Buzzati, versatile figura scomparsa solo un anno prima che avevo molto ammirato, fosse stato redattore non solo di terza pagina e di cronaca varia al Corrierone4 ma, con particolare passione, giornalista di cronaca nera. M’era stato evidente perché il direttore m’avesse inserito in nera, pur provenendo io dalla pagina letteraria: aveva ovviamente giocato il mio essere stato poliziotto investigativo per anni e non doveva essere stata estranea alla scelta la citata agghiacciante disavventura, universalmente nota, che avevo sofferto nel 1969, risoltasi in lieto fine, ma con gravi ammaccature fisiche e morali, solo grazie all’intervento provvidenziale del mio unico vero amico ed ex superiore Vittorio D’Aiazzo, vicequestore comandante della Sezione Omicidi e Reati contro la persona della Questura torinese: una vicenda in cui una loschissima, potente figura aveva tramato contro l’Italia e gli Stati Uniti e, nello stesso tempo, contro di me, Ranieri Velli, usandomi quale motore involontario e capro espiatorio del suo disegno criminale. La vicenda era stata raccolta e divulgata dalla cronaca internazionale e aveva causato la mia fortuna di scrittore: ne avevo avuto notorietà e frutti economici grazie a un saggio che avevo scritto in tempo reale sulla vicenda, tradottomi nelle principali lingue occidentali e pubblicato vendendo quasi un milione di copie nel mondo; poi, lasciata da parte la giovanile poesia dalla quale avevo avuto i miei primi successi, ma ovviamente non guadagni, avevo sfruttato la fama raggiunta stendendo romanzi su alcune delle passate indagini di Vittorio D’Aiazzo e mie, libri che avevano venduto bene e dai quali erano state tratte le sceneggiature di alcuni film di successo5 .

       N e l periodo storico in cui si svolge questa mia memoria i cronisti di nera s i trovavano sovente a scrivere di concerto co n redattori e commentatori politici, ché sin dalla fine del decennio precedente sanguinosi reati terroristici s’erano affiancati a i delitti privati .

       Il terrorismo italiano era stat o un fenomeno sociopolitico involutivo, anche se accesosi entro un processo di maturazione della visione sociale nato verso gl’inizi del decennio e riguardante non solo il mondo aconfessionale, ma l’universo cattolico: gli anni f ra l’inizio del Concilio Ecumenico Vaticano II nel 1962 e l’anno 1970 avevano vie più responsabilizzato buona parte dei c redenti , f ra l’altro affinando il concetto evangelico che l’operaio ha diritto alla sua mercede : lo sciopero non era stato più considerato l’omissione d’un dovere ma un sacrosanto diritto. I conflitti col mondo imprenditoriale avevano dunque assunto una doppia colorazione sia n e lle menti dei lavoratori sia n e lle organizzazioni sindacali , le laiche e classiste CGIL e UIL, di cultura politica comunista, socialista e socialdemocratica, e la cattolica CISL che, nel difendere economicamente operai e impiegati, si basava su l valor e cristiano della persona, incommensurabile secondo la Chiesa p er la quale ogni essere umano è creat o a immagine e somiglianza di Dio. L e rivendicazioni e gli scioperi avevano accomunato classisti e umanisti. Anche l a degenerazione terroristica del malcontento sociale aveva riguardato entrambi i mondi e aveva co ntemplato casi di passaggio dal cattolicesimo al marxleninismo rivoluzionario armato , com’era avvenuto per Renato Curcio e la moglie Margherita Cagol fondatori, co l comunista Alberto Franceschini, del la più importante organizzazione di lotta armata di estrema sinistra , le Brigate Rosse, i quali non solo provenivano dal mondo cattolico ma, essendo ormai comunisti, s’erano sposati in chies a .

      Comunque la quotidiana vita degl’italiani continuava nonostante il pandemonio terroristico ormai sfrenato e non mancavano eventi festosi come, 10 aprile 1973, l’inaugurazione del nuovo Teatro Regio di Torino. Per decenni nell’area di piazza Castello, sulla quale aveva risonato in passato, per due secoli, la gloria musicale dell’originale Teatro Regio edificato nel 1740, c’erano stati solo più i suoi ruderi, causa un incendio devastante divampato nella notte fra l’8 e il 9 febbraio 1936; ma finalmente, dopo anni di lavori, il teatro era risorto e la serata d’inaugurazione del nuovo Regio era ormai prossima. Sarebbe stata di gran gala, naturalmente, alla presenza del Presidente della Repubblica Giovanni Leone col suo seguito romano e delle più alte personalità e i primari dirigenti cittadini e regionali. In scena, l’allestimento sontuoso del melodramma verdiano “I vespri siciliani”, con la regia dei grandissimi cantanti Maria Callas e Giuseppe Di Stefano.

      Sebbene l’avvenimento fosse da alta cronaca mondana e, apparentemente, non riguardasse noi della nera, il direttore aveva voluto che Ada e io fossimo tra i cronisti invitati “perché”, ci aveva detto, “c’è sempre il pericolo che i soliti gruppi di esaltati provochino uno dei loro scompigli davanti al teatro, o peggio. Se dovesse succedere, voi due di corsa6 in un bar a telefonarcelo per la finestrella di prima pagina, poi al volo qui per i vostri articoli in cronaca. Chiaro?”

      Ada