proprio ragazzo in quel modo,” disse dolcemente.
Trinity sospirò. “È stato terribile, ad essere onesti,” ammise. “Kevin e io avevamo programmato di uscire quella sera, ma abbiamo litigato, come sempre.” Fece una smorfia, ricordando come erano andate le cose.
“Quindi non andavate molto d'accordo?”
“No. È stata colpa mia. L'ho accusato di cose orribili. Sono sorpresa che sia rimasto con me così a lungo, a dire il vero.”
Zia Sylvia bevve un sorso del suo caffè ma non disse nulla.
Era caldo e tranquillo nella caffetteria, con una radio che trasmetteva della dolce musica country da qualche parte in sottofondo. Trinity non poté impedirsi di ricordare quel periodo.
“Stavamo insieme da circa sei mesi circa quando ho iniziato a notare delle cose,” spiegò. “Cose che prima non sembravano avere importanza. Kev faceva il rappresentante per un'azienda farmaceutica, quindi era spesso fuori casa. Viaggiava molto per lavoro e spesso prenotava una stanza d'albergo nei fine settimana. All'inizio la cosa non mi dava fastidio, ma dopo un po' ho iniziato a notare che stava fuori casa davvero tanto. E, quando era con me, di solito lavorava al computer. Non lasciava molte cose a casa mia perché si portava sempre dietro una valigia. Mi aspettavo di dovergli lavare i vestiti ogni settimana, ma quando tornava diceva che li aveva già lavati negli hotel in cui era stato.”
“Doveva guadagnare un bel po', allora,” commentò zia Sylvia.
“Già,” disse Trinity, scuotendo la testa. “Quando ci siamo incontrati per la prima volta, sembrava avere una buona disponibilità economica e gli piaceva uscire di tanto in tanto. Siamo stati in posti davvero carini. Non so se lo faceva per impressionarmi. Ad ogni modo, non passò molto tempo prima che iniziasse a dire che doveva stringere un po' la cinghia, perché non guadagnava più come prima. Ho pensato che fosse strano, perché stava lavorando molto di più.”
Zia Sylvia si accigliò. “Gli hai chiesto spiegazioni?”
Lei annuì con una smorfia. “Un sacco di volte. Mi ha sempre risposto che non era niente di importante. Ma io volevo capire cosa stava accadendo. Volevo cercare di trovare una soluzione a qualsiasi problema stesse avendo. Sembrava che più lavorasse e meno soldi guadagnasse. Non ero preoccupata per i soldi, perché io avevo un ottimo stipendio e sapevo che in caso di bisogno c'erano sempre i soldi della mamma.” Si interruppe, notando l'espressione infelice sul viso di sua zia.
“Tua mamma non avrebbe voluto che li spendessi in quel modo, tesoro,” le ricordò.
Trinity sospirò. "Lo so. Volevo solo sistemare le cose in modo da poter passare più tempo con lui.”
“E ci sei riuscita?”
“No. Abbiamo finito per litigare ancora di più, e Kevin ha cominciato a passare ancora più tempo fuori casa. Penso che a volte stesse davvero cercando di evitarmi.”
“Non ne hai parlato con lui?” La preoccupazione di zia Sylvia era palese.
Trinity si morse il labbro. “Ogni volta che ci provavo mi diceva che lo stavo accusando di qualcosa, anche se non era vero… non in quel momento, comunque,” le spiegò. “Mi ha chiesto se pensavo che stesse vedendo qualcun altro, spendendo tutti i soldi per un'altra donna o qualcosa del genere. Gli ho detto che non mi era neppure venuto in mente, ma poi mi sono chiesta se non fosse effettivamente quella la verità.”
Zia Sylvia si accigliò. “Pensavi davvero che ti stesse tradendo?”
Trinity sbuffò. “Non lo so. All'inizio gli ho detto che era paranoico e che onestamente non mi era mai passato per la testa. Ma più tempo stava lontano e più mi insospettivo. Poi ho trovato un fazzoletto a fiori nella tasca dei suoi jeans mentre gli riordinavo i vestiti.” Rabbrividì, lanciando un'occhiata cauta a sua zia.
“Glielo hai detto?”
Lei annuì. “Era quel giorno. Il giorno in cui…” Si interruppe e prese aria. “Si è arrabbiato con me per aver toccato i suoi vestiti. Ha detto che stavo curiosando, ma non era così. Gli ho chiesto da dove provenisse il fazzoletto e mi ha detto che l'aveva raccolto dal pavimento dell'hotel. Aveva pensato che l'avesse perso una delle clienti più anziane dell'albergo e stava per consegnarlo alla reception, ma era stato distratto da una telefonata di lavoro e se ne era completamente dimenticato.”
“E non gli hai creduto?”
Trinity sentì un groppo in gola mentre ricordava la furiosa litigata di quella sera.
“Era pieno di un profumo costoso, non il genere di profumo che usa di solito una donna anziana.” Si zittì di colpo, fissando la zia. “Non che io pensi…”
“Va tutto bene, tesoro.” Zia Sylvia alzò una mano per assicurarle che non si era offesa.
“Si è davvero arrabbiato con me. Mi ha detto che aveva ragione quando diceva che non mi fidavo di lui.”
“E non ti fidavi di lui?”
“Non lo so,” ammise onestamente. “Volevo fidarmi, credo. Ma più ci pensavo, più le cose non tornavano. Era sempre stanco quando eravamo insieme. Non voleva più portarmi fuori. Non ho mai saputo in quali hotel alloggiava poiché diceva che spesso cambiava idea all'ultimo minuto e prenotava da un'altra parte, quindi era meglio contattarlo sul cellulare se era importante. Ho sempre obbedito. All'inizio gli piaceva sentirmi, anche se era in riunione. Poi ha iniziato a insistere di chiamarlo solo se era davvero importante. In caso contrario, mi avrebbe chiamato lui quando fosse stato libero. Aveva la segreteria attiva o il cellulare spento la maggior parte delle volte che gli ho telefonato.”
“Ti ha dato qualche tipo di spiegazione?” Zia Sylvia si accigliò.
Trinity scosse di nuovo la testa. "Non esattamente. Diceva solo di essere impegnato. Comunque, eravamo nel bel mezzo di quell'enorme litigio quando gli è squillato il cellulare. L'aveva lasciato sul tavolino e ci sono arrivata prima di lui. Era qualcuno chiamato Poppy. Gli ho chiesto chi fosse, ma lui mi ha preso il telefono di mano e l'ha spento rapidamente. A quel punto mi ha accusata di ogni genere di cosa, sostenendo che avevo curiosato tra i suoi vestiti, controllato il suo cellulare e fatto domande tutto il tempo. Ha detto che si sentiva sotto esame ogni volta che tornava a casa. Gli ho risposto che bastava che non fosse così dannatamente riservato. Lui a quel punto mi ha chiesto se pensavo che avesse una relazione. Non sapevo cosa dire. Gli ho detto che sembrava proprio di sì, visto quanto fosse irritato per l'intera faccenda.”
Le lacrime iniziarono a scenderle lungo le guance e Trinity le asciugò con rabbia. “Quella sera dovevamo andare a bere qualcosa con alcuni amici, ma lui ha detto che non ne aveva voglia. Mi stava ancora urlando contro quando è arrivato il taxi. Ero così arrabbiata che gli ho detto che avrei preferito andare da sola, cosa che ho fatto.” Tirò su col naso. “Era passata solo un'ora quando abbiamo sentito una enorme esplosione mentre bevevamo a pochi isolati di distanza. Dentro di me sapevo che era successo qualcosa di brutto a Kev. Lo sentivo.”
Zia Sylvia le mise una mano sul braccio. “Non è stata colpa tua, tesoro,” le assicurò.
“Ma avrebbe dovuto venire con me,” disse Trinity. “Se non avessimo avuto quella dannata discussione, saremmo stati entrambi fuori casa quando è successo.”
“Non puoi biasimarti per questo,” le disse zia Sylvia. “Era un uomo adulto e ha deciso da solo di non venire con te. Non è colpa tua.”
“Ma se non avessimo litigato…”
Zia Sylvia si alzò e prese posto accanto a lei, prendendola tra le braccia. Trinity iniziò a singhiozzare forte contro il suo petto, lasciando che tutto il senso di colpa e il dolore uscissero fuori dal suo corpo teso. Non sapeva per quanto tempo avesse pianto, ma era sollevata di averlo finalmente detto a qualcuno. Era la prima volta che rivelava cosa fosse successo davvero quel giorno, e sperava che fosse anche l'ultima.
Capitolo Quattro
“Pensavo di pranzare al ristorante di