Mario Micolucci

Il Dono Del Reietto


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      «Vieni con me, ho dei topi appetitosi da offrirti.»

      Due cose aiutarono Djeek: il fatto che tutti nel vivaio soffrissero la fame come condizione necessaria per crescere bramosi, e la sua reputazione di debole e innocuo smidollato. Griz decise di accettare l'invito a cena e di seguirlo: non lo temeva, era convinta di poterlo sopraffare facilmente, se le cose avessero preso una brutta piega.

      I due si infilarono in un cespuglio vicino alla recinzione. Da lì, allungando un braccio in una fessura della palizzata, il goblin estrasse tre bei roditori. Griz si lanciò ad afferrarli, ma Djeek, mandandola a vuoto, disse con fermezza: «Uno è mio. Gli altri due sono per te: prendi questo intanto, l'altro te lo darò a lavoro finito. Non ti conviene cercare di sottrarmeli: se ci azzuffassimo, ci scoprirebbero.» L'altra stava già divorando avidamente il topo. Finì il pasto, ruttò in segno di gradimento e prese a esaminargli la ferita.

      «È un brutto taglio. Ma cosa ci hai messo? La carne sembra argilla: bisogna asportare la parte morta prima di ricucire.» Estrasse dei lacci di cuoio dal suo sacchetto e disse: «Ti devo legare, prima.»

      «E sia!» acconsentì Djeek. «Ma se provi a fare scherzi: mi metto a gridare.»

      Gli legò mani e piedi, poi, gli infilò un pezzo di legno marcio in bocca. «Mordilo se senti dolore» lo istruì e prese ad asportargli il primo strato di carne: per tagliarla, usava il rasoio con l'indifferenza con cui si scuoia un animale morto. Il dolore superava di gran lunga quello provato nel momento in cui si era procurato la ferita e Djeek lottò per rimanere vigile: se fosse svenuto, sicuramente l'avrebbe lasciato lì, portandosi via il suo pasto.

      Poi, mentre la curatrice iniziava a cucire insieme i lembi con un ago d'osso e uno spago, gli disse con l'indifferenza dissimulata di chi vuole ottenere informazioni: «Prima di te, ho medicato Kitzo che ha riportato una brutta ferita all'occhio: ho accettato di aiutarlo, perché non conviene mettersi contro di lui. Dice che è stato beccato nel sonno da uno straziatore, dice di averlo catturato e divorato: mi ha mostrato una sua penna che terrà per ricordo.»

      Gli straziatori erano grossi corvi, grandi come rapaci. Erano chiamati così, perché tornavano utili quando bisognava torturare i condannati. Quest’ultimi venivano inchiodati a un palo e, prima che potessero morire di stenti, venivano divorati vivi da quei grossi uccellacci che prediligevano le parti molli come gli occhi, le interiora e i genitali.

      “Maledetto! Inventerebbe qualsiasi cosa pur di non ammettere la sconfitta!” pensò Djeek e stava per rivendicare con fierezza: “Sono stato io a ferirlo all'occhio”. Tuttavia, si fermò giusto in tempo, perché in primo luogo, non gli avrebbe creduto e poi, come avrebbe risposto alle altre domande? Doveva tenere segreta l'esistenza del bastone. Kitzo era l'unico ad averlo visto ed era già di troppo. Esordì, quindi, con la prima scusa che gli venne in mente. «Una tartaruga carnivora» disse. «Ehm... mi ha preso di sorpresa.»

      Griz rise di gusto. «Solo un babbeo può farsi cogliere di sorpresa da una tartaruga. Scommetto che era troppo veloce per te!» lo schernì, mentre annodava lo spago per evitare che i punti si scucissero.

      “Idiota! Tra tutte le terribili bestie della palude, proprio la più ridicola, dovevi scegliere per onorare la tua ferita di battaglia!” si rimproverò affranto.

      «Ho finito, mi prendo l'altro ratto» disse la giovane slegandolo. «Morirai comunque: appena rimetterai piede nella melma, la piaga s'infetterà e non ti darà scampo. L'unica cosa che potrebbe salvarti è il Dono di Corrupto, ma sai bene che a noi cuccioli non è permesso usufruirne.»

      Emessa la sentenza, se ne andò lasciandolo senza parole e nello sconcerto.

      Si accarezzò la lacerazione rozzamente ricucita, aveva perso dell'altro sangue e continuava a perderne ancora. Si strappò un lembo di cuoio marcio dal vestito e, con dei lacci lasciati distrattamente dall'aiuto-guaritrice, se lo legò intorno al polpaccio con la vana speranza di proteggerla. I suoi dardi erano intinti nel Dono, ma se li avesse ripuliti tutti, non ne avrebbe ricavato che una goccia, mentre a lui gliene serviva molto di più. Mangiò silenziosamente il suo ratto e, sfinito, piombò nel sonno poco prima dell'alba.

      All'approssimarsi del tramonto, come suo solito si svegliò, si alzò imprecando per il dolore e si avviò verso la palude. Passando il più possibile sui lembi di terraferma, giunse al nascondiglio; nonostante i suoi sforzi, però, la ferita si era comunque sporcata di fango. Infilò la mano nella fessura, ma del bastone non v'era più traccia: se pensava di aver già raggiunto l'apice della disperazione, in quel momento ne conobbe nuovi drammatici limiti.

      «Kitzo!» urlò stringendosi la testa tra le mani. Era stato di nuovo un idiota: il suo rivale lo aveva spiato e quindi l'aveva visto anche estrarre il bastone. Quando aveva fatto crollare lo sperone, infatti, era lì, acquattato a osservarlo.

      «Come ho potuto nasconderlo nello stesso posto dopo aver scoperto di essere stato seguito?» si rimproverò.

      Quel maledetto era già micidiale senza godere di grande forza o poteri, ma con quel bastone non avrebbe conosciuto limiti: presto li avrebbe dominati tutti, ma ancora prima, avrebbe ucciso lui.

      Comunque, doveva completare la caccia, e nel farlo, ricordò quanto fosse difficoltosa senza il suo Grande Verme. Ovviamente, fu necessario ignorare tutto quanto si era prefissato riguardo al non infettare la ferita. Tornò all'accampamento con la piaga che gli pulsava e si sentiva già un po' febbricitante.

      Hork che si era abituato agli ottimi risultati degli ultimi tempi, non apprezzò il misero bottino rimediato e gli rifilò un gran ceffone lasciandolo a digiuno.

      Djeek si era seduto in un angolo dell'accampamento e, rassegnato, si guardava il polpaccio: aveva smesso di sanguinare, ma in compenso ne fuoriusciva un poco rassicurante pus marrone dall'odore fetido. Aveva la febbre e sentiva brividi raggelanti scorrergli sulla schiena. In quel momento, si sentì chiamare da Kitzo: la sua sola voce gli fece ribollire il sangue quasi quanto la visione degli elfi. Scattò in piedi ignorando il dolore e si voltò a fronteggiarlo. «Ridammi il bastone!» intimò.

      L'altro lo sorprese anche in quel frangente: imprevedibilmente, con l'unico occhio non bendato, gli rivolse uno sguardo complice e gli disse con fare ammiccante: «Caro amico, come va la gamba? Spero meglio. Ieri mi hai davvero impressionato: diventiamo soci, insieme saremo invincibili!» Mai nessuno gli si era rivolto con un tale rispetto e se ne sentì profondamente lusingato. Al punto, quasi, da dimenticare tutto ciò che aveva subito.

      «Ho io il bastone, è vero, ma sono pronto a restituirtelo, se mi prometti che ogni tanto me lo presterai. Sai, l'ho usato e ho visto come funziona: basta che lo punti su un oggetto lo scuoti un po' e quello si frantuma. Sarà bello condividere con te quello che ho appreso, ovviamente, tu dovrai fare lo stesso con me» continuò Kit.

      «Strano, per me usarlo non è così facile: io ho bisogno di concentrarmi e di entrare in sintonia con il mondo circostante; inoltre fatico a localizzare bene il punto da colpire» constatò Djeek ingenuamente.

      Kitzo, in realtà, aveva provato a usare il bastone in tutti i modi, senza ottenere assolutamente niente e sperava di carpire qualche segreto. Continuò la messa in scena rispondendo con ostentata sicurezza: «Ah sì, all'inizio era così, ehm... come hai detto, ma poi ho affinato la mia tecnica e ora mi basta puntarlo per attivarlo. Se poi mi fai vedere come lo usi, osserverò i tuoi errori e ti aiuterò a migliorare. Te l'ho detto: siamo una squadra!» Poi, guardandogli il polpaccio, aggiunse: «Ora, però, dobbiamo preoccuparci di curare al meglio le nostre ferite, altrimenti marciranno. Poco fa, approfittando del mio lavoro di assistente di Hork, gli ho sottratto le chiavi del recinto. Tienile e prendi anche quest'otre. A mezzogiorno, approfittando del fatto che quasi tutti dormono, dovrai sgattaiolare fuori e arrivare al Santuario di Corrupto per attingere il Dono dalla Fonte. Ieri, molti degli incursori sono partiti per compiere una razzia e non torneranno prima del tramonto, quindi per te sarà più facile. Ho già parlato con Griz per medicarci: dovrà preparare un impasto.»

      Djeek, un po' interdetto, obiettò: «Perché devo andarci io e non tu?»

      «Accidenti!» esclamò l'altro mostrandosi deluso. «Ti facevo più coraggioso. E poi, devo stare qui per