Miceni nella grande ira si commosse.
– Che cosa ho voluto che fosse di troppo? Giustizia! è troppo? Venir trattato pulitamente! è troppo?
Non piangeva, ma la sua voce era piena di lagrime e White divenne più mite; non seppe risparmiargli l’ultima freccia per mettere a posto i fatti:
– Lei diceva però di voler essere indipendente.
Miceni risolutamente negò; egli voleva, esplicò, essere indipendente solamente nel caso che Sanneo non avesse saputo contenersi meglio. Adesso, appena, s’accorgeva della difficoltà del compito che s’era assegnato e si vergognava d’essere stato battuto in quel modo.
White spiegò poscia ad Alfonso la gravità del caso toccato a Miceni. Veniva relegato alla contabilità e ad un posto inferiore perché la pratica del corrispondente non bastava a fare il buon contabile.
– Poi la noia per chi è abituato ad un lavoro più variato! Lì non avrà da fare tutto il giorno che cifre, cifre e cifre.
Ballina entrò e ironicamente fece i suoi mirallegro ad Alfonso; veniva dalla stanza di Sanneo ove aveva udito che Alfonso veniva designato a successore di Miceni. Alfonso lo guardò incredulo ma già spaventato; gli faceva paura il lavoro di Miceni supponendolo difficile e troppo grande, tale che gli avrebbe tolto quel poco di tempo che gli rimaneva per le sue letture. White cercò di tranquillarlo; quello che non sapeva fare gli si sarebbe insegnato e se non arrivava a fare tutto, il mondo nondimeno avrebbe continuato a girare e lui a vivere. Era certamente un avviamento alla sua carriera e se aveva senno doveva rallegrarsene.
– È stato solo nell’ultimo tempo che Miceni si diede quell’aria d’importanza, – gli raccontò Ballina; – non prima, perché il signor Sanneo ha dovuto spiegargli tutto dall’a fino allo zeta.
Citò anche un caso in cui aveva veduto Miceni con gli occhi fuori della testa dalle difficoltà che offriva a lui un affare per altri semplice e chiaro.
– Con gli occhi fuori della testa? – chiese Alfonso che godeva meno della disgrazia toccata al suo rivale di quanto soffrisse per quella che poteva toccare a lui.
Soltanto alle tre del pomeriggio gli venne confermato ufficialmente l’annunzio di Ballina. Sanneo lo fece chiamare quando ebbe sbrigato i notabene degli altri impiegati. Gli disse con noncuranza che il signor Miceni aveva lasciato la corrispondenza e ch’egli si era deciso di dare a lui una parte della corrispondenza italiana, il lavoro puramente bancario, anzi, aggiunse con disprezzo, di scritturazione. Alfonso si era proposto di esporre lo stato delle sue cognizioni, ma non ne ebbe il coraggio; sarebbe stato vergognoso di mostrarsi esitante ad accettare un lavoro tanto facile. In pochi minuti Sanneo gli mise in mano una quindicina di lettere con poche parole di spiegazione per ciascuna. Parlò di stornare, di mettere in deposito, di tenere in sospeso, tutti termini di cui il senso era ancor poco chiaro ad Alfonso.
Compilò con facilità la risposta a due o tre lettere, quelle consegnategli ultime da Sanneo, delle quali rammentava ancora le spiegazioni avute; non gli sarebbe riuscito di rispondere alle altre senza l’aiuto di White.
– A chi darà poi il resto del lavoro di Miceni? – chiese White con sorpresa dopo di aver dato ad Alfonso con grande gentilezza una vera lezione di scritturazioni bancarie: – qui mancano ancora gli affari di borsa e poi quelle cinque o sei lettere di polemica; in questa corrispondenza ce ne sono ogni giorno anche più. È capacissimo di fare tutto lui.
Infatti uscendo dalla banca alla sera tardi, Alfonso vide la stanza di Sanneo ancora illuminata e proiettarsi sulle lastre la figura del capo corrispondente, sottile, china al tavolo.
White accompagnò Alfonso alla cassa per dare l’avviso di una tratta. Era una stanzetta dimezzata da una leggera parete di legno dietro alla quale sedeva al suo tavolo, leggendo un giornale, il signor Jassy, un vecchio dal volto coperto da numerose pustolette che non ci avevano lasciato che radi i peli bianchicci.
Su un foglio rigato che White gli porse, Alfonso notò gli estremi della tratta; lo consegnò poi a Jassy che lo pose accanto al giornale senza dir parola.
Giusto allora si presentò un giovinetto allo sportello e presentò una cambiale. Jassy prese il foglio degli avvisi, lo guardò, guardò la cambiale, poi, sempre immobile, con voce di lamento gridò:
– È proprio questa, avvisata in quest’istante, ma perché non la fate segnare in tempo dal signor Cellani? Qui non c’è adesso nessuno che possa muoversi dalla cassa e intanto la gente aspetta.
Gettò il foglio con violenza dinanzi a White. Questi rispose subito irritato
– Non ho mica avvisata io questa tratta, è cosa che non mi concerne; del resto le tratte non si possono avvisare prima di aver ricevuto le lettere di avviso. Le pare?
Il vecchio si rivolse ad Alfonso e, più dolcemente, gli disse:
– La prego di far vedere questa tratta al signor Cellani, sa dov’è la sua stanza?
– Venga con me – disse White e s’avviò.
Alfonso lo seguì dopo essersi fermato a guardare Jassy il quale, parlando con la persona ch’era venuta ad incassare la cambiale, andava con passo vacillante verso lo sportello. Aveva le gambe molli come se fossero state fatte di panno e teneva le mani per innanzi quasi avesse avuto paura di cadere.
– Questi è il cassiere? – chiese Alfonso a White.
– Sì, un povero vecchio che sarebbe più adatto alla contabilità… o alla pensione.
Il signor Cellani era un uomo che aveva conquistato il suo posto a forza di fatiche, passo passo; lo si diceva cinquantenne, ma, con la sua figura magra e slanciata, la pelle asciutta e senza rughe, non mostrava di avere più di trent’anni.
– Buona fortuna! – augurò con grande cortesia ad Alfonso che per affari d’ufficio veniva per la prima volta da lui. – Le raccomando di badare molto alla forma delle lettere; non ero molto contento neppur di quella del signor Miceni. Lei è intelligente e comprenderà quanta importanza abbia la forma nella lettera bancaria.
Appose l’iniziale del suo nome accanto all’importo della tratta.
Nel frattempo erano venute altre persone alla cassa e Giuseppe, il servo del signor Cellani, aiutava Jassy che si moveva lentamente fra la cassa e lo sportello, sempre indeciso, incapace anche di farsi aiutare, forse per diffidenza. Alfonso, nel grande zelo suscitatogli dalle buone parole di Cellani, volle consegnare l’avviso a Jassy stesso. Costui stava movendosi verso lo sportello con banconote in ambedue le mani; diede ad Alfonso un’occhiata torva e, senza fermarsi, gridò a Giuseppe:
– Gli tolga dunque di mano quel foglio!
Sanneo sul tardi gli diede da fare ancora due o tre lettere, e per ultimo lavoro dovette spedire delle cambiali. White lo aiutò anche qui perché Alfonso aveva riguardo di maneggiare quei bollettini di carta tanto preziosi.
Sbollito il primo zelo, copiando nella lettera quegl’importi vistosi, Alfonso calcolava quale minima frazione di ogni singolo gli sarebbe bastata per vivere tranquillo al suo villaggio.
VI
Già il giorno appresso il lavoro di Alfonso aumentò. Sanneo, che nulla sapeva dell’aiuto prestatogli da White, trovava che le lettere di Alfonso non lasciavano nulla a desiderare e si credette autorizzato a dargli da fare di più ed un lavoro più serio. Quel giorno ancora White aiutò; il terzo giorno arrivò la liquidazione di Parigi che White doveva rivedere e Alfonso rimase abbandonato a se stesso. A mezzodì ricevette una prima sgridata da Sanneo, alla sera Sanneo andava raccontando per la banca che due giorni di lavoro erano bastati per far incretinire Alfonso. Lo chiamò ordinandogli di rifare metà delle lettere ch’egli aveva corrette e Alfonso dovette confessargli che nei giorni precedenti era stato aiutato da White. Sanneo si calmò, ma da allora lo trattò più bruscamente.
Il suo lavoro divenne così più disaggradevole. Gli era stato proibito di farsi aiutare da White per il quale Sanneo serbava un po’ di rancore e, in luogo di dargli le istruzioni, spesso Sanneo gl’indicava il giorno in cui era stata scritta una lettera identica, gli ordinava di cercarsi il copialettere e di copiarla.