Giambattista della Porta

La sorella


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luci: neanche quel sogno mi lasciava riposare, perché mi rappresentava le parole e gli atti di Sofia. Parlava seco de’ miei tormenti, l’abbracciava e baciava; e, pensando abbracciar lei, abbracciava me stesso e le lenzuola, e finalmente tutte fur larve e imagini del desiderato bene. Vien Trinca la mattina a sollecitarmi che m’alzi per partire, e m’interrompe cosí gran piacere.

      Erotico. V’alzaste, vi poneste in viaggio per riscattar la madre e la sorella.

      Attilio. Che madre? che sorella? che viaggio? Tutte queste cose in tanto odio mi caddero, che maggior dispiacere non potea sentire, se col pensiero caduto vi fussi. Cosí, fingendomi indisposto, ci componemmo con Pandolfo di riposarmi per alcun giorno in casa sua, non mancando mai con soffrenza e umiltá batter l’inespugnabil rocca del suo pudico core. Quando mi passava da presso, la toccava un poco; e tanto m’eran piú care quelle rapite dolcezze, con quanti piú piacevoli sdegni e con piú modestia mi eran contese. E veramente la modestia è quella che dá spirito e ravviva la bellezza. Al fin mi rese certo che non meno ella mi amava, ch’era amata da me; come era donzella e gentil donna, che desiderarla per altro modo che per moglie, era un perder tempo. E veramente le sue azioni e maniere erano tanto oneste e d’incorrotta pudicizia, che mi toglievano ogni ardir di usarle violenza; e i suoi costumi mostravano lo splendor de’ suoi natali e, anco schiava, mostrava la dignitá del suo merito. Cosí mi trovai servo della serva e schiavo della schiava. Al fin pagai ducento ducati, che per tanti Pandolfo l’avea riscattata; e feci libera chi ligato mi avea. Ma non tanto la feci libera del corpo, quanto ella mi rimase serva con l’animo. La sposai e fui possessor della sua bellezza....

      Trinca. Deh, rassumete il fatto in breve somma, che, se volete raccontargli ogni cosa appuntino, consumaremo il giorno.

      Attilio.... Cosí consigliato da Trinca, scrissi a mio padre da Vineggia, come fossi in Constantinopoli, che Costanza sua moglie era morta, e che avea riscattato Cleria per ducento ducati, e con lei me ne veniva a Nola – e portai Sofia mia innamorata sotto nome di Cleria mia sorella. – dove fin ora con grandissima consolazione vissuti siamo. Or considera, Erotico caro, che voglia abbia io di aver la tua Sulpizia per moglie, che non cambiarei la mia Sofia per quante reine ha il mondo.

      Erotico. Non ascoltai mai narrazion di comedia con piú piacere, perché mi toglie da un mar di travagli. Or ditemi, come potremo aiutarci l’un l’altro?

      Attilio. Ho fatto la parte mia in comedia, il resto tocca a Trinca.

      Trinca. Ho caro che il signor Erotico ascolti la mia invenzione, accioché non m’ingannassi il giudizio. Ascoltate, e non mi replicate insin al fin del mio ragionamento. Pardo vuol maritar Cleria col capitano, perché non gli dá dote; e Gulone parasito tratta le nozze. Proporremo voi a Pardo con la medesima condizione; e come che voi sète di maggior merito, stimo che l’otterremo. Poi diremo che Attilio vuol prender Sulpizia, perché il vecchio lo desia molto, e vuol che si sposino per la sera che viene. Diremo che volete abitare insieme, come amici di molti anni, o nella vostra o nella sua casa: il giorno, Sulpizia sará moglie di Attilio, e Cleria di Erotico dalla cintura in su; la notte, Sulpizia di Erotico, e Cleria di Attilio dalla cintura in giú; e bisogna scambiar le mogli fin che vive il vecchio, il qual non potrá viver molto.

      Erotico. Se sposerò Cleria, come potrò goder la mia Sulpizia? e se Attilio sposerá Sulpizia, come potrá goder la sua Cleria?

      Trinca. Con la vostra impacienza interrompete me e turbate voi stesso: se mi ascoltavate, come v’ho detto da prima, intendevate il modo. Troveremo un amico, lo vestiremo da prete e diremo che sia il parocchiano; e sposeravvi. Come poi il vecchio sará morto, vi sposarete con i legitimi modi.

      Erotico. Ah, ah, ah, come si può trovar il piú bel caso, e da ridere?

      Attilio. E da rider, sempre che ce ne ricordaremo. Giá il cuor, ch’era sepolto nella disperazione, comincia a ravvivarsi nella speranza.

      Erotico. Ed il mio respira, ch’era giá morto nell’angoscia; e giá spero posseder la mia Sulpizia.

      Attilio. Ed io la mia Cleria.

      Trinca. Ed io la forca o la galera, se si scuopre.

      Attilio. Speriamo che amore e la fortuna ci favoriranno.

      Erotico. L’invenzione è tanto bella, che porta seco i rimedi di tutti gli infortuni che ci potessero intervenire.

      Attilio. Speriamo bene, che il mal non manca mai.

      Erotico. La forza d’amore è incredibile, quando egli guida gli avvenimenti: però speriamo in lui, che, come ha vinto tutti i dèi, cosí vincerá la fortuna.

      Attilio. Amore innamorò tutte le cose, non mai la fortuna.

      Erotico. Non ci avviliamo ne’ contrari avvenimenti.

      Trinca. Non piú consigli: è fatta la rissoluzione, comincisi l’essecuzione. Abbiam bisogno di prestezza, perché il tempo ne stringe; e quanto ci ha nociuto la passata tardanza, tanto ci giovi la presente prestezza: il mondo è goduto da solleciti.

      Attilio. Eccoci all’ubbidirti.

      Trinca. Voi, Attilio, perché i vecchi sono ostinati, e i loro cervelli si muovono al moto della luna, umiliatevi a vostro padre. Gli ostinati si vincono piú tosto con l’umiltá che con l’arroganza; e mostrate desiderar Sulpizia, ché, sí come l’avarizia s’inganna con la liberalitá, cosí col mostrarsi volontoroso s’inganna chi vi crede. E voi, Erotico, parlandovi il vecchio di voler Cleria, mostrategli desiderarla.

      Erotico. Sará pensiero mio particolare: fingerò ben la parte mia.

      Trinca. Né bisogna mostrar tanto affetto, che paia affettato.

      Attilio. Che faremo del parasito che, s’almen non ci impedisce, ci differisce?

      Erotico. Che del capitano?

      Trinca. Lasciate fare a me, che fra il parasito e il capitano, e ambidue col padrone ci porrò tanta zizania, che scompigliarò e porrò sossopra quanto s’è fatto.

      Erotico. Trinca, non potendoti or render premio condegno, ricevi almeno la mia confessione: che ricevo da te la vita e l’onore e quanto bene ho al mondo, e spero col tempo fartelo conoscere.

      Attilio. Trinca, questo serviggio ti porterá tanto utile, quanto serviggio che sia fatto a persona che faccia professione di conoscere i benefici.

      Trinca. Fate che i fatti corrispondano alle parole. Partetevi, ché io vo a ritrovare il padrone, per cominciar ad ordir l’inganno.

      Erotico. Mi parto: a dio.

      Attilio. Tra tanto andrò a casa; ché amor mi ha fatto bussola di naviganti, che, volgendola di qua e di lá quanto si voglia, come si lascia libera, da se stessa si riduce alla sua tramontana: cosí né per travagli che mi turbino, né per affanni che mi molestino, da una amorosa violenza mi sento tirar dove splende la chiara luce della mia stella.

      SCENA IV

      Cleria, Attilio, Trinca.

      Cleria. Attilio, anima mia, fermatevi costí, ché son stata gran pezza aspettandovi in fenestra, per avisarvi che, se un poco piú foste tardato, non areste trovata la vostra Cleria in casa.

      Attilio. Non vi dolete, occhio mio caro.

      Cleria. Qual miseria è che pareggi la mia? Mi sento l’anima cosí ristretta nel cuore, che son per cader morta; né posso imaginarmi come questa tormentata anima possa reger questo tormentato mio corpo.

      Attilio. Non vi struggete, o signora, piú cara a me che la luce degli occhi miei.

      Cleria. Pensavami che la fortuna, – poiché dall’uscir delle fascie cominciò a farmi guerra, avendomi da