Giovanni Pascoli

Primi poemetti (1904)


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bianchi bioccoli di lana.

      Raspava una gallina sopra il ciglio

      d’un fosso. Po s’alzò, scosse la brina,

      scodinzolando, con uno sbadiglio.

      Ed al frizzar dell’aria mattutina,

      nel comun letto si svegliò Viola,

      all’improvviso, e mormorò: «Rosina!

      Rosina!». E già taceva la chiesuola

      lasciando udire un canto di fringuello,

      e, per i campi ombrati di viola,

      lo squillar de’ pennati sul marrello.

II

      E Rosa in tanto, al davanzale, i semi

      coglieva d’una spiga d’amorino,

      e mondava dal secco i crisantemi.

      Si sfumò d’oro un bioccolo argentino:

      oh! una mandra, tutta oro, tranquilla

      pasceva in alto in mezzo al cilestrino.

      Corsero come guizzi di pupilla;

      tutto via via razzava: un fil di paglia

      nel concio nero, un ciottolo, una stilla.

      Ma il sole entrava come in una maglia

      sottil di nubi d’un color d’opale,

      e traspariva dalla nuvolaglia.

      Rosa si ravviava al davanzale:

      or luce, or ombra si sentìa sul viso;

      ché il sol montando per il cielo a scale

      appariva e spariva all’improvviso.

III

      Appariva e spariva; e venìa meno

      la terra all’occhio, e poi, come in un fiato,

      tutto balzava su verso il sereno.

      A monte, a mare, ella guardò: guardato

      ch’ebbe, ella disse (udiva sui marrelli

      a quando a quando battere il pennato):

      «Aria a scalelli, acqua a pozzatelli».

      NEI CAMPI

I

      Il capoccio avea detto: «Odimi, moglie.

      Senti le rare tremule tirate

      che fanno i grilli? Cadono le foglie;

      e tristi i grilli piangono l’estate.

      L’altra notte non chiusi occhio, tanto era

      quel gridìo! – Seminate! Seminate! —

      credei sentire. Poi, sentii ier sera

      passar su casa un lungo rombo d’ale:

      l’anatre vanno per la notte nera.

      C’è sopra il verno. Il primo temporale

      cova nell’aria. Sai che, per il grano,

      presto è talora, tardi è sempre male.

      Domani voglio il mio marrello in mano;

      ché chi con l’acqua semina, raccoglie

      poi col paniere; e cuoce fare in vano

      più che non fare. Incalciniamo, o moglie».

II

      E per due giorni consegnava il grano

      alle soffici porche. Seminare

      volle la costa, seminare il piano.

      E per due giorni non uscì da mare

      pure una nube; e il garrulo vicino,

      «Il tempo è in filo,» gli dicea, «compare!»

      Ma egli arava tutto il giorno, chino

      sopra le porche. Il terzo dì, cantava

      al buio il gallo, prima di mattino.

      Ed egli al buio sorse, ed aggiogava

      le brune vacche (uscirono mugliando

      e rugumando la lor verde bava),

      e seminava. Dore al giogo, Nando

      era alla coda: Nando, il suo maggiore,

      che ammoniva le bestie a quando a quando,

      tarde, e la forza pargola di Dore.

III

      Forza di Dore, le divincolanti

      vacche reggevi; ma tuo padre il grano

      pulverulento si gettava avanti.

      La sementa spargea con savia mano;

      altri via via copriva la sementa.

      L’aratro andava, nell’ombrìa, pian piano:

      qualche stella vedea l’opera lenta.

      PER CASA

I

      Vedea nell’ombra qualche muta stella

      gli uomini arare. Nella mattinata

      ci fu lo spruzzo d’una scosserella.

      La casa aveva aperto ogni impannata.

      Passò lontano, ripassò vicino

      lo stridulo fruscìo della granata.

      Fumò nell’aria torpida il camino.

      Poi le stoviglie parvero fra loro

      rissare nel silenzio mattutino.

      Poi la fanciulla dai capelli d’oro

      tessea cantando. Andò la spola a volo,

      corsero i licci e il pettine sonoro.

      Cantò: «Maria cercava il suo figliuolo.

      Maddalena le disse: Ave Maria:

      sui neri monti io l’ho veduto: o duolo!

      porta una croce e sanguina per via».

II

      Tra il colpeggiar del pettine sonoro

      ed il suo canto, ella sentì, «Rosina!»

      la verginella dai capelli d’oro.

      Sorse dalla panchetta ed in cucina

      venne e trovò la cara madre pia

      «Figlia,» le disse, «staccia la farina.

      Viola è fuori con la mucca, via

      per Ginestrelle. Babbo oggi non viene

      se non al tocco dell’Avemaria.

      Sai, per il grano, che spicciarsi è bene:

      presto è talora, tardi è sempre male!

      E già piange le sue notti serene

      il grillo stanco, e il primo temporale

      cova nell’aria. Non lo senti a sera

      passar su casa un lungo rombo d’ale?

      L’anatre vanno per la notte nera».

III

      E seguitava: «Io voglio accomodare,

      se mi riesce, questi due radicchi,

      ch’ho già intoccati, con altr’erbe amare.

      E tu, mentr’io soffriggo uno o due spicchi

      d’aglio trito, costì, su la brunice,

      fa la polenta, buona anco pei ricchi,

      quando s’ha un bocconcino che ci dice».

      IL DESINARE

I

      Ubbidì Rosa al subito comando.

      Sotto il paiolo aggiunse legna,