Giovanni Pascoli

Primi poemetti (1904)


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la riva del Serchio, a Selvapiana,

      di qua del Ponte a cui si ferma a bere

      il barrocciaio della Garfagnana,

      da Castelvecchio menano, le sere

      del dì di festa, il lor piccolo armento

      molte ragazze dalle treccie nere.

      Siedono là sul margine, col mento

      sopra una mano, riguardando i pioppi

      bianchi del fiume; e parlano. Ma il vento

      porta brusìo di voci, eco di scoppi

      di mortaretti, eco di passi presta

      ed un confuso tremito di doppi.

      Dolce ascoltare allora, con la testa

      voltata altrove, quelle due parole…

      coperte un po’ dalle campane a festa!

      altrove… al Serchio che risplende, al sole

      che prende il monte… o Nelly, anco ai vivagni

      del tuo pannello, anco alle mucche sole

      che brucano il palèo sotto i castagni.

II

      To’… quel vitello – al cui grande occhio appari

      immensa, con un lento albero in mano,

      quando con una vetta tu lo pari —

      guarda stupito, nuovo, al monte, al piano:

      tutto una selva, il monte; la costiera

      sembra un velluto tenero di grano.

      Egli che non sapea la primavera,

      la dura coda svincola, saluta

      il mondo bello. Prima, esso non c’era:

      ci si ritrova: fiuta l’aria, fiuta

      la terra: all’aria sobbalzando avventa

      le brevi corna della fronte bruta;

      e con le zampe irrequïete tenta

      la terra. Il cielo è tutto pieno d’oro,

      Nelly, ed il suolo è tutto pien di menta.

      Vuole empir della sua gioia il sonoro

      spazio, il vitello, e trae dalle profonde

      fauci un muglio arrotato, agro, di toro.

      Una giovenca lontana risponde.

III

      Dunque, Nelly, rimeni oggi un torello:

      savio, però, che sempre ha te di fronte

      con nella mano il grande albero snello.

      Arrivi a Castelvecchio, alla sua fonte

      nuova, perenne, a cui vengono in fila

      le gravi mucche nel calar dal monte.

      Queste, da un canto, alla marmorea pila

      succhiano l’acqua; e quando alzano il collo,

      l’acqua dalle narici nere fila.

      Dall’altro, suona, empiendosi al rampollo

      vivo, la secchia: una fanciulla aspetta

      con sui riccioli bruni il suo corollo.

      A questa fonte, o Nelly, ora s’affretta

      il tuo torello, a bere: dalla piena

      conca l’acqua discende alla cunetta,

      così ch’ell’ha come un pulsar di vena.

      Egli guarda coi grossi occhi, né beve;

      ché dentro l’acqua che si muove appena,

      vede un coltello azzurro ondeggiar lieve…

IV

      Mugola e fugge. E poi mugolando erra

      due dì, da selva a selva, nel suo colle,

      strappando qualche fil d’erba alla terra.

      Cerca dolente le segrete polle

      verdi di capelvenere; vi mira

      dentro: il coltello taglia l’ombra molle.

      Aspetta al pozzo, quando alcuna tira

      la secchia: l’acqua vi trabocca e sbalza:

      dentro, il coltello gira gira gira.

      Allora, al botro: dall’aerea balza,

      scende: il coltello posa su la ghiaia;

      ma la corrente un po’ l’urta, e lo scalza

      forse, e lo porta. Aspetta egli: si sdraia

      sui lisci giunchi, e coi grandi occhi spia,

      fissando l’acqua di tra la giuncaia,

      se mai quell’ombra della morte via

      portino l’onde. Sopra la sua testa

      il tempo corre per la muta via.

      Aspetta: e l’acqua passa e l’ombra resta.

V

      Il terzo giorno… «Ecché tu piangi, sciocca?

      Sa ‘ssai! En bestie, ‘un ci han lunari: scólta:

      ‘un si sa gnanco noi quel che ci tocca!»

      dice tuo padre, o Nelly. Tu sei volta

      alla Via Nova, guardi nella valle,

      per vederlo passare anche una volta.

      Passa: un uomo alla testa, uno alle spalle:

      è impastoiato, ad or ad or trempella…

      Passa… Oh! poggi solivi! ombrose stalle!

      E quanto fieno! quanta lupinella!

      IL SOLDATO DI SAN PIERO IN CAMPO

I

      Era poc’anzi nella valle il ronzo

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