meditai la fuga. Comperai un canotto, lo nascosi in mezzo alla jungla, e una sera d’orgia, mentre i thugs, ubriachi fradici, non erano più in grado di uscire dai loro sotterranei, mi recai alla pagoda sacra, pugnalai gl’indiani che la custodivano, afferrai fra le mie braccia la Vergine e fuggii.
All’indomani io ero a Calcutta e quattro giorni dopo a bordo della Young-India.
– E la Vergine? – chiese Sandokan.
– È a Calcutta – s’affrettò a dire Yanez.
– È bella?
– Bellissima – disse Kammamuri. – Ha i capelli neri e splendidi occhi scuri.
– E si chiama?
– La vergine della pagoda, vi ho detto.
– Non ha nessun altro nome?
– Sì.
– Dimmelo.
– Si chiama Ada Corishant.
A quel nome la Tigre della Malesia aveva fatto un balzo, gettando un urlo terribile.
– Corishant!… Corishant!… Il nome dell’adorata madre della mia povera Marianna!… Dio!… Dio!… – urlò con accento disperato.
Poi piombò sul tappeto con la faccia orribilmente sconvolta e le mani contratte sul cuore. Un rauco singhiozzo, che parve un ruggito, lacerò il suo petto.
Kammamuri, spaventato, sorpreso, si era alzato per accorrere in aiuto del pirata, che pareva fosse stato colpito a morte, ma due mani robuste lo arrestarono.
– Una parola – gli disse il portoghese, tenendolo stretto per le spalle. – Come si chiamava il padre di quella giovinetta?
– Harry Corishant – rispose il maharatto.
– Gran Dio!… Ed era?
– Capitano dei sipai.
– Esci di qui!
– Ma perché?… Che cosa è accaduto?…
– Silenzio, esci di qui!
E, riafferrandolo per le spalle, lo spinse bruscamente fuori della porta, che richiuse con un doppio giro di chiave.
5. La caccia all’Helgoland
Il pirata di Mompracem si era prontamente rimesso da quella terribile commozione. La sua faccia, quantunque ancora alterata, aveva ripreso la sua fiera espressione che incuteva rispetto e terrore ai più coraggiosi, e sulle sue labbra, quantunque un po’ scolorite, errava un malinconico sorriso.
Grosse gocce di sudore imperlavano però la sua ampia fronte, lievemente corrugata, e una fiamma sinistra brillava in quegli sguardi che penetravano nel più profondo dei cuori.
– È passata la tempesta? – chiese Yanez, sedendosi accanto a lui.
– Sì – disse la Tigre, con voce sorda.
– Ogni volta che tu odi un nome che ti ricorda Marianna ti agiti e stai male.
– Ho troppo amato quella donna… Yanez. Quel ricordo così bruscamente evocato mi ha fatto più male di una palla di carabina che fosse entrata nel mio petto… Marianna, mia povera Marianna!
Un secondo singhiozzo lacerò il petto della Tigre.
– Coraggio, fratello mio – disse Yanez, che era assai commosso. – Non dimenticare che tu sei la Tigre della Malesia.
– Certi ricordi sono tremendi anche per una tigre.
– Vuoi che parliamo di Ada Corishant?
– Parliamone, Yanez.
– Credi a quanto ha narrato il maharatto?
– Credo, Yanez.
– Che cosa farai?
– Yanez – rispose Sandokan con voce triste, – ti ricordi ciò che disse una sera, sotto la fresca ombra di un maestoso durion, mia moglie?
– Sì, me lo ricordo. «Sandokan, mio prode amico, ti disse, ho una cugina che idolatro nella lontana India. È figlia d’un fratello di mia madre».
– Avanti, Yanez.
– Proseguo. «Ella è scomparsa, non si sa dove sia. Si dice che i thugs indiani l’abbiano rapita; Sandokan, mio prode amico, salvala, restituiscila all’addolorato suo genitore».
– Basta, basta, Yanez! – esclamò il pirata con voce straziante.– Oh, quei ricordi mi lacerano il cuore. E non poter riveder più quella povera donna!… Marianna, mia adorata Marianna!…
Il pirata si era preso il capo fra le mani e rauchi singhiozzi sollevavano il suo atletico petto.
– Sandokan – disse Yanez, – sii forte.
Il pirata rialzò il capo.
– Sono forte, – rispose.
– Vuoi che riprendiamo il discorso?
– Sì.
– Purché tu sia calmo.
– Lo sarò.
– Che cosa farai per Ada Corishant?
– Che cosa farò? E me lo chiedi? Andrò subito a salvarla, poi andrò a Sarawak a liberare il suo fidanzato.
– Ada Corishant è salva, Sandokan – disse Yanez.
– Salva!… salva!… – esclamò il pirata balzando in piedi.
– Dov’è?
– Qui.
– Qui!… E perché non me l’hai detto prima?
– Perché quella giovinetta somiglia alla tua defunta moglie, quantunque non abbia né i capelli d’oro, né gli occhi azzurri come il mare. Io temevo che tu nel vederla provassi un fiero colpo.
– Io voglio vederla, Yanez, iovoglio vederla!
– La vedrai subito.
Aprì la porta. Kammamuri, in preda ad una indicibile ansietà, era seduto su un gabbione sfondato aspettando di venire chiamato.
– Signor Yanez!– esclamò con voce tremante, lanciandosi verso il portoghese.
– Calma, Kammamuri.
– Salverete il mio padrone?
– Lo speriamo – disse Yanez.
– Grazie, signore, grazie!
– Mi ringrazierai quando l’avremo salvato. Ora scendi al villaggio e conduci qui la tua padrona.
Il maharatto discese la stretta scala a precipizio mandando urla di gioia.
– Bravo giovanotto – mormorò il portoghese.
Rientrò e si avvicinò a Sandokan, che era tornato a sedersi e teneva il viso nascosto fra le mani.
– A cosa pensi, fratello mio? – gli chiese con voce affettuosa.
– Al passato, Yanez – rispose il pirata.
– Non pensare mai al passato, Sandokan. Tu lo sai, ti fa soffrire. Dimmi, quando partiremo?
– Subito.
– Per Sarawak?
– Per Sarawak.
– Avremo un osso duro da rodere. Il rajah di Sarawak è potente e odia terribilmente i pirati.
– Lo so, ma i nostri uomini si chiamano i tigrotti di Mompracem ed io la Tigre della Malesia.
– Andremo direttamente a Sarawak o incroceremo presso le coste?
– Incroceremo nella vasta baia. Bisogna, prima di sbarcare, affondare l’Helgoland.
– Comprendo il tuo piano.
– Lo approvi?
– Sì, Sandokan, e…
Si