Emilio Salgari

Il Corsaro Nero


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battevano le campagne vicine. Il negro era invece tornato alla sua prima idea, cioé di recarsi ad acquistare delle divise di alabardieri o di moschettieri; anche questo per il momento era stato scartato, essendo costretti ad aspettare la notte per poterla effettuare con qualche successo.

      Stavano pensando e ripensando per scovare qualche nuovo progetto, che fornisse loro il mezzo di uscire da quella situazione, che diveniva di minuto in minuto piú imbarazzante e pericolosa, quando un terzo individuo venne a battere alla porta del notaio.

      Questa volta non si trattava di un servo, bensí d’un gentiluomo castigliano, armato di spada e di pugnale, qualche parente forse del giovanotto o qualcuno dei padrini.

      – Tuoni! – esclamò Carmaux. – È una processione di gente che viene a questa dannata casa!… Prima il giovanotto, poi un servo, ora un gentiluomo, piú tardi sarà il padre dello sposo, poi i padrini, gli amici eccetera. Finiremo per fare il matrimonio qui!…

      Il castigliano, vedendo che nessuno si era affrettato ad aprire, aveva cominciato a raddoppiare i colpi, alzando e lasciando cadere senza posa il pesante battente di ferro. Quell’uomo doveva essere certo poco paziente e probabilmente ben piú pericoloso del giovanotto e del servo.

      – Và, Carmaux, – disse il Corsaro.

      – Temo però, comandante, che non sia cosa facile prenderlo e legarlo Quell’uomo è solido, ve lo assicuro, ed opporrà una resistenza disperata.

      – Ci sarò anch’io e tu sai che le mie braccia sono robuste.

      Il Corsaro, avendo visto in un angolo della stanza una spada, qualche vecchia arma di famiglia che il notaio aveva conservata, l’aveva presa e dopo avere provata l’elasticità della lama se l’era appesa al fianco, mormorando:

      – Acciaio di Toledo: darà da fare al castigliano.

      Carmaux ed il negro avevano in quel frattempo aperta la porta che minacciava di venire sfondata sotto i furiosi ed incessanti colpi del battente ed il gentiluomo era entrato collo sguardo crucciato, la fronte aggrottata e la sinistra sulla guardia della spada, dicendo con voce collerica:

      – Occorre il cannone qui, per farsi aprire?…

      Il nuovo venuto era un bell’uomo sulla quarantina, alto di statura, robusto, dal tipo maschio ed altero, con due occhi nerissimi ed una folta barba pure nera, che gli dava un aspetto marziale.

      Indossava un elegante costume spagnuolo di seta nera e calzava alti stivali di pelle gialla, colle trombe dentellate, e speroni.

      – Perdonate signore, se abbiamo tardato, – rispose Carmaux, inchinandosi grottescamente dinanzi a lui, – ma eravamo occupatissimi.

      – A fare che cosa? – chiese il castigliano.

      – A curare il signor notaio.

      – È ammalato forse?

      – È stato preso da una potentissima febbre, signore.

      – Chiamatemi conte, furfante.

      – Scusatemi signor conte; io non avevo l’onore di conoscervi.

      – Andatevene al diavolo!… Dov’è mio nipote?… Sono due ore che è venuto qui.

      – Noi non abbiamo veduto nessuno.

      – Tu vuoi burlarti di me!… Dov’è il notaio?…

      – È a letto, signore.

      – Conducimi subito da lui.

      Carmaux che voleva attirarlo in fondo al corridoio prima di fare segno al negro di porre in opera la sua prodigiosa forza muscolare, si mise innanzi al castigliano; poi, appena giunse alla base della scala, si volse bruscamente, dicendo:

      – A te, compare!

      Il negro si gettò rapidamente sul castigliano; questi, che si teneva probabilmente in guardia e che possedeva un’agilità da dare dei punti ad un marinaio, con un solo salto varcò i tre primi gradini, scartando Carmaux con un urto violento e snudò risolutamente la spada gridando:

      – Ah!… Mariuoli!… Che cosa significa questo attacco? Ora vi taglierò gli orecchi!…

      – Se volete sapere che cosa significa questo attacco, ve lo spiegherò io, signore, – disse una voce.

      Il Corsaro Nero era comparso improvvisamente sul pianerottolo, colla spada in pugno, ed aveva cominciato a scendere i primi gradini.

      Il castigliano si era voltato senza però perdere di vista Carmaux ed il negro, i quali si erano ritirati in fondo al corridoio, mettendosi di guardia dinanzi alla porta. Il primo aveva impugnata la lunga navaja ed il secondo s’era armato di una traversa di legno, arma formidabile nelle sue mani.

      – Chi siete voi, signore? – chiese il castigliano senza manifestare il minimo timore. – Dalle vesti che indossate vi si potrebbe credere un gentiluomo, ma l’abito non fa sempre il monaco o potreste esser anche qualche bandito.

      – Ecco una parola che potrebbe costarvi cara, mio gentiluomo, – rispose il Corsaro.

      – Bah!… Lo si vedrà piú tardi.

      – Siete coraggioso, signore; tanto meglio. Vi consiglierei però di deporre la spada e di arrendervi.

      – A chi?…

      – A me.

      – Ad un bandito che tende un agguato per assassinare a tradimento le persone?…

      – No, al cavaliere Emilio di Roccanera, signore di Ventimiglia.

      – Ah!… Voi siete un gentiluomo!… Vorrei almeno sapere allora perché il signore di Ventimiglia cerca di farmi assassinare dai suoi servi.

      – È una supposizione affatto vostra, signore; nessuno ha mai pensato ad assassinarvi. Si voleva disarmarvi e tenervi prigioniero per qualche giorno e nient’altro.

      – E per quale motivo?

      – Onde impedirvi di avvertire le autorità di Maracaybo che qui mi trovo io, – rispose il Corsaro.

      – Forse che il signor di Ventimiglia ha dei conti da regolare colle autorità di Maracaybo?

      – Non sono troppo amato da loro o meglio da Wan Guld, il quale sarebbe troppo felice di avermi in sua mano, come io sarei ben lieto di averlo in mio potere.

      – Non vi comprendo signore, – disse il castigliano.

      – Ciò non vi interessa. Orsú, volete arrendervi?

      – Oh!… E voi lo pensate! Un uomo di spada cedere senza difendersi?

      – Allora mi costringete ad uccidervi. Non posso permettervi di andarvene, o io ed i miei compagni saremmo perduti.

      – Ma chi siete voi infine?

      – Dovreste ormai averlo indovinato: noi siamo filibustieri della Tortue. Signore, difendetevi, perché ora vi ucciderò.

      – Lo credo dovendo fare fronte a tre avversari.

      – Non preoccupatevi di loro, – disse il Corsaro, indicando Carmaux ed il negro. – Quando il loro comandante si batte hanno l’abitudine di non immischiarsene.

      – In tal caso spero di mettervi presto fuori di combattimento. Voi non conoscete ancora il braccio del conte di Lerma.

      – Come voi non conoscete quello del signore di Ventimiglia. Conte, difendetevi!…

      – Una parola se me lo permettete. Che cosa avete fatto di mio nipote e del suo domestico?

      – Sono prigionieri assieme al notaio, ma non inquietatevi per loro. Domani saranno liberi e vostro nipote potrà impalmare la sua bella.

      – Grazie, cavaliere.

      Il Corsaro Nero s’inchinò lievemente, poi scese rapidamente i gradini ed incalzò il castigliano con tanta furia, che questi fu costretto a retrocedere di due passi.

      Per alcuni istanti nell’angusto corridoio si udí solo lo stridore dei ferri. Carmaux ed il negro, appoggiati contro la porta, colle braccia incrociate