Le murate, i cordami, le vele, l’albero maestro stesso della caravella bruciano spandendo all’intorno una luce sinistra.
Gli spagnuoli, atterriti, cercano di tagliare i grappini d’abbordaggio per allontanare il brulotto, ma oramai è troppo tardi.
L’incendio si propaga a bordo della fregata con rapidità incredibile. Le pompe nulla possono contro le fiamme, che guadagnano le vele e l’alberatura.
Carmaux ed i suoi compagni, con pochi colpi di remo attraversano la baia e giungono sotto il bordo della Folgore, la quale si era già messa in panna, per aspettarli.
«Presto!» tuona Morgan.
I cinque marinai s’aggrappano alle bancazze, si slanciano sui paterazzi e le sartie e saltano a bordo della loro nave.
«Eccoci, signore!» dice Carmaux, correndo sotto il ponte di comando dove si trovano il Corsaro Nero e Morgan.
«Manca nessuno?» grida il luogotenente.
«Ci siamo tutti, meno due che sono morti a bordo della caravella,» risponde Carmaux.
«Ognuno a posto di combattimento!» comanda il Corsaro. «Pronti pel fuoco di bordata!»
La Folgore si slancia innanzi, filando a duecento passi dalla fregata incendiata.
S’avanza rapidamente, in silenzio, tutta nera, senza alcun lume a bordo. I suoi uomini però sono tutti ai loro posti.
La seconda fregata, accortasi finalmente dell’ardita manovra del filibustiere, scarica con orrendo rimbombo le sue artiglierie, sperando di arrestare al volo la Folgore, ma tale scarica va a colpire le rocce che formano il prolungamento della penisola.
La seconda fregata non può rispondere in modo alcuno. Ormai le fiamme la investono e avvampa come un vulcano.
Una luce intensa si spande per la baia, tingendo le acque di color rosso e riflettendosi perfino sulle vele della nave filibustiera. I suoi tre alberi fiammeggiano, mentre il brulotto, ancora appiccicato ai suoi fianchi, crepita e sibila lanciando in aria continui nembi di scintille.
D’improvviso una fiamma immensa squarcia la caravella. Il ponte, il quadro, il castello di prora, l’albero maestro saltano sotto lo scoppio dei barili di polvere, lanciando a destra ed a manca un nuvolo di rottami ardenti. La fregata, che è sempre legata al brulotto, si piega su di un fianco. L’esplosione l’ha squarciata sul tribordo e l’acqua si precipita, con sordi muggiti, attraverso l’immane apertura.
Fra le urla del suo equipaggio ed i gemiti dei feriti e dei moribondi, si alza una voce tuonante.
«Fuoco di bordata!» grida il Corsaro Nero.
I sei cannoni di tribordo ed i due pezzi da caccia del cassero tuonano con un accordo ammirabile, formando una detonazione sola. Le palle e la mitraglia spazzano i ponti delle due fregate accrescendo l’orrore e la confusione. Un albero tentenna e poi cade in coperta assieme con le vele e con le manovre fisse e correnti.
La Folgore si avanza sempre, mentre le scialuppe della seconda fregata accorrono in aiuto di quella che arde e che sta per affondare.
Il fuoco degli spagnuoli è sospeso, ma non quello della nave filibustiera. Le artiglierie tuonano senza posa, tempestando le manovre dei due legni e lanciando sui ponti bordate di mitraglia, le quali fanno strage fra gli equipaggi.
«Fuoco! fuoco!» tuona sempre il Corsaro Nero. «Spezzate le loro alberature, rasate i ponti, demolite, distruggete!»
Con un’ultima bordata, la Folgore giunse alla bocca del porto. Passando quasi accanto alle due fregate, scarica, d’un solo colpo, tutte le sue artiglierie, poi fila dinanzi alla diga ed esce trionfante in mare. Un’ultima bordata della fregata rimasta incolume, la raggiunge ancora spezzandole l’antenna di gabbia, forandole parecchie vele e uccidendole quattro uomini, ma ormai la Folgore poteva considerarsi salva.
Il Corsaro Nero, aiutato da Yara e da Morgan, s’era alzato.
Laggiù, in direzione della baia, la fregata, quasi sommersa, bruciava ancora. Immense lingue di fuoco s’alzavano verso il cielo, mentre dei nembi di scintille, trasportate dal vento, correvano fra le tenebre come miriadi di stelle.
Qualche colpo di cannone rombava ancora, confondendo la detonazione al fragore dei flutti.
«Ebbene, cosa ne dite di tutto ciò?» chiese egli, con voce tranquilla, a Morgan.
«Io dico, cavaliere, che mai fortuna maggiore ha sorriso ai filibustieri della Tortue,» rispose il luogotenente.
«Infatti, amico Morgan, non avrei mai sperato tanto.»
«Un giorno avrò anch’io una nave, signor cavaliere, e allora mi ricorderò delle audacie incredibili del mio capitano, dei suoi valorosi e pur disgraziati fratelli e dell’Olonese.»
«Voi avete la stoffa d’un grande condottiero, signor Morgan, e ve lo dice il Corsaro Nero. Voi farete grandi cose, lo vedrete.»
«E perchè no insieme?» chiese il luogotenente.
«Chissà se allora il Corsaro Nero sarà vivo,» disse il signor di Ventimiglia, mentre un pallido sorriso gli sfiorava le labbra.»
«Voi siete giovane, signore, ed invincibile.»
«Anche i miei fratelli, il Corsaro Rosso ed il Verde, erano giovani e arditi, eppure, voi lo sapete, dormono il sonno eterno nei baratri umidi del mare dei Caraibi.»
Stette un momento silenzioso, guardando il mare che scintillava dietro la poppa della nave come se vi fosse un principio di fosforescenza, poi riprese con voce malinconica:
«Chissà quale destino mi serberà l’avvenire. Potessi almeno, prima di morire, vendicarmi del mio mortale nemico e sapere ove è andata a finire la fanciulla che ho tanto amato!…»
«Honorata?» chiese Morgan.
«Sono passati quattro anni,» continuò il Corsaro, senza far attenzione alla domanda del luogotenente, «eppure la vedo sempre vagare sul mar tempestoso dei Caraibi, alla luce dei lampi, fra i muggiti delle onde incalzanti. Notte fatale!… Non la dimenticherò mai, mai!… Il giuramento che ho pronunziato la sera in cui il cadavere del Corsaro Rosso scendeva in fondo alle acque, mi ha spezzata l’esistenza. Orsù, dimentichiamo!»
Si era alzato a sedere e i suoi sguardi tetri scrutavano attentamente il mare, il quale, a poco a poco, cominciava a diventare luminoso.
Delle pagliuzze d’oro scorrevano a miriadi sotto le onde, salendo dagli abissi immensi del grande golfo. Si diffondevano lentamente, tutto invadendo, poi si disperdevano per tornare a radunarsi.
Talvolta pareva che delle vere fiammate o dei getti di zolfo liquefatto o di bronzo fuso si amalgamassero alle onde, facendo scintillare la spuma. Delle meduse rotolavano fra i cavalloni, splendide come globi di luce elettrica.
Il Corsaro Nero guardava sempre. Il suo viso, diventato pallidissimo, esprimeva in quel momento un’angoscia profonda e ne’ suoi sguardi si leggeva un terrore ignoto.
Morgan e Yara, ritti dietro a lui, non parlavano. I marinai, dispersi per la tolda, parevano pure invasi da un superstizioso terrore e guardavano, anch’essi muti, le onde che diventavano sempre più luminose.
Carmaux s’era avvicinato lentamente a Wan Stiller, urtandolo col gomito.
«Tutte le notti che vi sono dei morti a bordo, la fosforescenza compare. Lo hai notato camerata?»
«Sì,» rispose l’amburghese con un tremito nella voce. «Queste notti mi ricordano sempre il Corsaro Rosso ed il Verde.»
«O quella in cui il capitano abbandonò sul mare, in pieno uragano, Honorata di Wan Guld.»
«Sì, Carmaux.»
«Guarda il Corsaro!… Lo vedi come osserva il mare?»
«Lo vedo.»
«Si direbbe che aspetta la comparsa dei suoi fratelli. Tu sai che quando il mare scintilla così, lasciano le profondità del golfo per risalire a galla.»
«Taci, Carmaux!… Tu mi fai paura!…»
«Hai udito?…»
«Che