Emilio Salgari

La regina dei Caraibi


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quello scambio di frasi ironiche e minacciose che dimostravano il buon umore degli assediati e la rabbia impotente degli assedianti, vi fu un breve silenzio che nulla di buono pronosticava. Si capiva che gli spagnuoli si preparavano ad un nuovo e più formidabile attacco per costringere quegli indemoniati filibustieri alla resa. Carmaux ed i suoi compagni, dopo essersi brevemente consigliati col loro capitano, si erano collocati intorno alla botola coi fucili armati, pronti a fare una buona scarica contro gli assalitori. Yara intanto, che s’era affacciata alla finestra, aveva recata la buona nuova che tutto era tranquillo nella piccola Baia di Puerto Limon e che le due fregate non avevano abbandonati i loro ancoraggi per tentare di dare addosso alla Folgore.

      «Speriamo,» aveva detto il Corsaro. «Se possiamo resistere ancora cinque ore, forse verremo liberati dagli uomini di Morgan.»

      Era appena trascorso un minuto, quando un secondo e più violento colpo risuonò sotto la botola, facendo trabalzare le casse che vi erano state accumulate sopra.

      Certo gli assedianti avevano adoperata qualche grossa trave, servendosene come d’un ariete.

      «Mille squali!» esclamò Carmaux. «Se la continuano così, manderanno in aria tutto il pavimento. C’è il pericolo di cadere sulla testa degli assedianti.»

      Un terzo colpo, che scosse perfino il letto su cui trovavasi il Corsaro, rimbombò rovesciando parte delle casse e facendo saltare una tavola della botola.

      «Fuoco là dentro!» gridò il Corsaro, che aveva impugnato le pistole.

      Carmaux, Wan Stiller e Moko puntarono i fucili attraverso lo squarcio e fecero una scarica.

      Al di sotto si udirono urla di rabbia e di dolore, poi dei passi precipitosi che si allontanavano.

      Appena dispersosi il fumo, Carmaux guardò attraverso la spaccatura e vide disteso al suolo, colle gambe e le braccia rattrappite, un giovane soldato. Presso di lui si vedevano altre macchie di sangue, indizio certo che quella scarica aveva fatto qualche altra vittima e ferite altre persone.

      Gli assedianti si erano affrettati a sgombrare la stanza rifugiandosi nel corridoio: però non dovevano essere molto lontani poichè si udivano a chiacchierare.

      «Eh!… non fidiamoci troppo,» disse Carmaux.

      Stava per levarsi, quando una detonazione rimbombò dietro la porta che metteva nel corridoio. Il berretto del filibustiere fu portato via netto.

      «Mille diavoli!» esclamò Carmaux, alzandosi sollecitamente. «Pochi centimetri più in basso e quel proiettile mi scoperchiava il cranio.»

      «Non sei stato toccato?» gli chiese premurosamente il Corsaro, che aveva udito il sibilo della palla.

      «No, capitano,» rispose Carmaux. «Pare che il demonio non voglia cessare dal proteggermi.»

      Gli spagnuoli, credendo di aver ucciso quel terribile avversario, si erano affacciati alla porta, tenendosi nascosti dietro i rottami della credenza. Vedendo Wan Stiller ed il negro coi fucili puntati, erano retrocessi, non ignorando l’esattezza di tiro di quei fieri scorridori del mare.

      «Alzate quelle casse e disponetele in modo da coprirvi dalle scariche degli spagnuoli. Non mancheranno di far fuoco attraverso lo squarcio.» disse il Corsaro.

      «L’idea è buona,» disse Wan Stiller.

      «Costruiremo una barricata intorno alla botola.»

      Manovrando con prudenza, onde evitare di ricevere qualche palla nel cranio, i tre filibustieri disposero le casse in modo da formare una specie di parapetto tutto intorno all’apertura, poi si sdraiarono al suolo, non perdendo di vista la porta del corridoio.

      Gli spagnuoli si erano accampati nel corridoio, certi di far capitolare presto o tardi gli assediati. Forse ignoravano che Yara aveva approvvigionati i suoi amici.

      Per tre ore nella torricella regnò una calma completa o quasi, non essendo stata interrotta che da qualche rado colpo di fucile sparato ora dagli assediati ed ora dagli assedianti, però verso le sei gli spagnuoli cominciarono a mostrarsi in buon numero presso la porta del corridoio, decisi, a quanto sembrava, a riprendere le ostilità.

      Carmaux ed i suoi compagni, dai loro ripari avevano subito riaperto il fuoco, per tentare di ricacciarli nel corridoio; tuttavia dopo alcune scariche gli spagnuoli, pur perdendo qualche uomo, erano riusciti, con una rapida irruzione, a riconquistare la stanza, celandosi dietro i rottami della credenza e delle tavole.

      I filibustieri, impotenti a far fronte alle nutritissime scariche degli avversarii, erano stati costretti ad abbandonare i ripari, riservandosi di tentare un supremo sforzo nel momento dell’assalto.

      «La va male,» disse Carmaux. «E non ci manca che un’ora al tramonto!…»

      «Prepariamo intanto il falò,» disse il Corsaro. «È piatta la torricella, Yara?»

      «Sì, mio signore,» rispose la giovane indiana che si era rifugiata dietro al letto del capitano.

      «Mi sembra però che non si possa raggiungere la cima.»

      «Per questo non preoccupatevi, capitano,» disse Carmaux. «Moko è più agile d’una scimmia.»

      «Che si deve fare?» chiese il negro. «Io sono pronto a tutto.»

      «Devi rischiare la pelle, compare sacco di carbone,» disse Carmaux. «Intanto fa’ a pezzi la scala.»

      Mentre i due filibustieri sparavano qualche fucilata contro gli spagnuoli per ritardare l’assalto, il negro con pochi e poderosi colpi di scure ruppe la scala, accumulando i rottami presso la finestra.

      «È fatto,» disse.

      «Ora si tratta di salire sulla torre per fare il segnale,» disse il Corsaro Nero.»

      «La cosa non mi sembra difficile, capitano.»

      «Bada di non cadere. Siamo a trentacinque metri dal suolo.»

      «Non abbiate timore.»

      Salì sul davanzale della finestra e allungò le mani verso l’orlo del tetto, provando dapprima la resistenza delle travi superiori.

      L’impresa era quanto mai pericolosa, non essendovi punti di appoggio, però il negro era dotato d’una forza prodigiosa e di tale agilità da sfidare le scimmie. Guardò in alto per evitare l’attrazione pericolosa del vuoto, poi con una spinta si issò sul margine della piattaforma superiore, facendo forza di braccia.

      «Ci sei, compare?» chiese Carmaux, che per un momento aveva abbandonato la barricata.

      «Sì, compare bianco,» rispose Moko, con un certo tremolìo nella voce.

      «Si può accendere il fuoco lassù?»

      «Sì, passami la legna.»

      «Lo sapevo io che il compare valeva meglio di una scimmia» mormorò Carmaux. «Ecco però una manovra da far venire la febbre anche ad un primo gabbiere.»

      Si arrampicò sul davanzale e passò al negro i rottami della scala.

      «Fra poco accenderai il falò,» gli disse. «Un fuoco ogni due minuti.»

      «Benissimo, compare.»

      «Io torno al mio posto.»

      Gli assedianti raddoppiavano in quel momento gli sforzi per espugnare la stanza superiore. Già avevano appoggiate per ben due volte delle scale all’orlo della botola, tentando di spingersi fino al parapetto formato dalle casse. Wan Stiller, quantunque solo, fino allora era riuscito a respingerli, tempestando i primi comparsi con tremende sciabolate.

      «Vengo, amico!» gridò Carmaux, slanciandosi verso le casse.

      «E vengo anch’io,» urlò il Corsaro, con voce tuonante.

      Impotente a frenarsi, si era gettato giù dal letto, impugnando le due pistole e tenendo fra le labbra la sua terribile spada. Pareva che in quel momento supremo avesse riacquistato il suo vigore straordinario.

      Gli spagnuoli erano già arrivati al margine della botola e sparavano fucilate all’impazzata e vibravano furiose stoccate per allontanare i difensori.