Emilio Salgari

La regina dei Caraibi


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noi vi daremo ancora molto filo da torcere.»

      «L’hai veduta la mia nave?» gli chiese il Corsaro, non senza una certa commozione.

      «Sì, capitano,» rispose Carmaux che era rientrato.

      «Allora bisogna cercare di resistere fino all’arrivo dei rinforzi che ci manderà Morgan.»

      «Questa piccola fortezza non mi pare in cattivo stato.»

      «Occupatevi della scala.

      «Compare sacco di carbone e Wan Stiller stanno già spezzandola. Anzi ho raccomandato loro di portar qui i rottami.

      «Cosa vuoi farne Carmaux?»

      «Ci servirà per accendere un bel fuoco sulla torricella. Il signor Morgan comprenderà il segnale, spero.»

      «Basterà accenderlo tre volte con un intervallo di cinque minuti,» disse il Corsaro. «Morgan saprà subito che noi siamo in pericolo e che abbiamo bisogno di aiuti.»

      In quel momento udirono, giù nella via, un fracasso indemoniato. Pareva che delle persone cercassero di sfondare qualche porta o qualche finestra.

      «Sono i nostri uomini che demoliscono la scala?» chiese il Corsaro.

      «No, capitano,» rispose Carmaux che si era affacciato alla finestrina della torre. «Sono gli spagnuoli.»

      «Forzano l’entrata?

      «Sfondano la porta servendosi d’una trave.»

      «Allora fra poco saranno qui.»

      «Troveranno un osso duro da rompere,» rispose Carmaux. «Andiamo a barricare il passaggio della torricella. Mille balene!»

      «Che hai? – chiese il Corsaro.

      «Un assediato senza viveri è un uomo morto. Prima di barricarci pensiamo a procurarci qualche cosa da porre sotto i denti.»

      «Non preoccupatevi,» disse la giovane indiana. «Ci penso io a procurarvi dei viveri.»

      «La piccina ha del fegato, – disse Carmaux vedendola scendere tranquilla come se dovesse compiere una cosa semplicissima.

      «Seguila,» gli disse il Corsaro. «Se gli spagnuoli la sorprendono a portarci dei viveri, potrebbero ucciderla.»

      Carmaux snudò la sciabola e scese dietro alla giovane, deciso a proteggerla a qualsiasi costo. Wan Stiller e Moko, armati di scure, stavano per tagliare la scala onde impedire agli spagnuoli di salire al piano superiore, nel caso che fossero riusciti a sfondare la porta della torretta.

      «Un momento, amici,» disse loro Carmaux. «Prima i viveri, poi la scala.»

      «Aspettiamo i tuoi ordini,» rispose Wan Stiller.

      «Intanto vieni con me. Cercheremo di provvederci di buone bottiglie. Don Pablo deve averne di quelle molto vecchie che faranno bene al nostro capitano.»

      «Vi è qui una cesta che sembra fatta appositamente per contenerle,» disse l’amburghese, impadronendosi d’un grande paniere che si trovava in un angolo della stanzetta.

      Lasciarono il loro rifugio ridiscendendo negli appartamenti di don Pablo. La giovane indiana era già entrata in una stanza dove si conservavano le provviste della casa e, riempito un paniere di ogni specie di vivande, tornava frettolosamente nella torretta.

      Carmaux e Wan Stiller vedendo molte bottiglie polverose allineate su d’uno scaffale, s’affrettarono ad impadronirsene. Tuttavia ebbero anche il buon senso di prendere due secchi ripieni d’acqua.

      Stavano per slanciarsi fuori, quando nel corridoio inferiore udirono dei passi affrettati.

      «Vengono! – esclamò Carmaux, impadronendosi rapidamente del paniere.

      Infilarono il corridoio che conduceva nella torricella, affrettando la corsa. Stavano per entrare nella porticina, dietro la quale li attendeva compare sacco di carbone, quando all’estremità opposta videro comparire un soldato.

      «Ehi!… Alt o faccio fuoco!» gridò lo spagnuolo.

      «Appiccati!» rispose.

      Uno sparo rintronò e la palla andò a forare precisamente uno dei due secchi che portava l’amburghese. L’acqua zampillò attraverso il foro.

      Carmaux chiuse in fretta la porta mentre delle urla di rabbia echeggiavano nel corridoio.

      «Barrichiamoci! – gridò al negro.

      In quella stanza vi erano parecchi mobili fuori d’uso; dei tavoli, una credenza monumentale, dei canterani e parecchie sedie molto pesanti.

      In pochi minuti accumularono quei mobili dinanzi alla porta formando una barricata così massiccia, da sfidare le palle dei moschetti.

      «Devo tagliare la scala?» chiese Moko.

      «Non ancora,» rispose Carmaux. «Ne avremo sempre il tempo.»

      «Assaliranno la porta.»

      «E noi risponderemo, Compare sacco di carbone. Bisogna cercare di resistere più che si può. D’altronde le munizioni non ci fanno difetto.»

      «Io ho cento cariche.»

      «Ed io e Wan Stiller ne abbiamo altrettante, senza contare le pistole del capitano.»

      In quel momento gli spagnuoli giungevano dietro alla porta.

      «Aprite o vi uccideremo tutti!» gridò una voce imperiosa, martellando le tavole col calcio d’un moschetto.

      «Adagio, signor mio,» rispose Carmaux. «Non bisogna avere tanta fretta, che diavolo! Un po’ di pazienza, mio bel soldato.»

      «Sono un ufficiale e non un soldato.»

      «Ho molto piacere di saperlo,» disse Carmaux con voce ironica.

      «V’intimo la resa.»

      «Oh!»

      «E subito.»

      «Uh! che furia!»

      «Non abbiamo tempo da perdere noi.»

      «Noi invece ne abbiamo molto,» disse Carmaux.

      «Non scherzate; potreste pentirvi.»

      «Parlo seriamente. Vi pare che questo sia il momento di scherzare?»

      «Il comandante della città vi promette salva la vita.»

      «Purchè ce ne andiamo? Ma se non desideriamo altro!»

      «Ad una condizione però.»

      «Ah! Vi sono delle condizioni?»

      «Che cediate a noi la vostra nave, armi e munizioni comprese,» disse l’ufficiale.

      «Mio caro signore, voi avete dimenticato tre cose.»

      «E quali?»

      «Che noi abbiamo le nostre case alla Tortue; che la nostra isola è lontana e finalmente che noi non sappiamo camminare sull’acqua come S. Pietro.»

      «Vi si darà una barcaccia onde voi possiate andarvene.»

      «Uhm! Le barcacce sono incomode, mio signore. Io preferisco tornarmene alla Tortue colla Folgore.»

      «Allora vi appiccheremo,» gridò l’ufficiale che solamente allora erasi accorto dell’ironia del filibustiere.

      «Sia pure, badate però ai dodici cannoni della Folgore. Lanciano certi confetti da buttar giù le vostre catapecchie e da radere al suolo anche il vostro forte.»

      «La vedremo. Ohe! Buttate giù quella porta!»

      «Compare sacco di carbone, tagliamo la scala,» – disse Carmaux, volgendosi verso il negro.

      Salirono entrambi al piano superiore e con pochi colpi di scure spezzarono la scala, ritirando i rottami. Ciò fatto chiusero la botola mettendovi sopra una vecchia e pesante cassa.

      «Ecco fatto,» disse Carmaux. «Ora salite se ne siete capaci.»

      «Sono già entrati gli spagnuoli?» chiese il Corsaro Nero.

      «Non ancora, capitano,» disse Carmaux.