Emilio Salgari

La tigre della Malesia


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mi capite, milady. Non mi dimenticherò mai, mai!…

      Fra loro due regnò un breve silenzio intanto che il lord esaminava delle carabine, poi il pirata cangiando tono e avvicinandosi alla giovanetta che lo contemplava con tristezza:

      – È vero adunque che verrete a cacciare la tigre con noi, nella foresta?

      – Certamente – rispose con vivacità ella. – Non sono io adunque una cacciatrice? Mio zio ve lo disse.

      – Avete mai veduto cacciare il terribile animale da un Malese?

      – Mai, ed ecco ciò che aspetto di vedere. Si dice che quelli della vostra razza siano così valenti.

      – Sì, sì, valenti – rispose Sandokan, che in quell’istante avrebbe lottato con cento tigri.

      – Che adoperano meglio il kriss che la carabina. Oh! io vorrei vedere tutto ciò.

      Sandokan trasse il suo kriss dalla cui impugnatura scattò un lampo. Egli lo mostrò alla giovanetta che sembrava atterrita alla vista di quell’arma sulla cui lama scorgevansi tracce di sangue.

      – Vedete – disse egli sorridendo, – quest’arma è il nostro più fedele amico, al quale noi dedichiamo una specie di culto superstizioso. Con essa io ammazzerò la tigre o io non sarò più un Malese!

      – No, no; potrebbe capitarvi sventura! – esclamò la giovanetta con tale accento che il pirata ne fremé.

      – Voi avete esternato il desiderio di possedere la pelle della tigre. L’avrete e da me!

      Il lord aveva finita la scelta delle armi e tornava verso di essi.

      – Oh! il magnifico kriss! – esclamò egli vedendo quello che impugnava Sandokan.

      – In fede mia, milord, è una arma ammirabile e di una tempra eccezionale. Non fallì mai, e meno oggi fallirà la tigre. Io inchioderò la belva come la inchiodava alla Malacca.

      – Con tutto ciò non rifiuterete una eccellente carabina, che ha abbattuto più di un colosso delle foreste indiane, un’arma che sarà infallibile come il vostro kriss.

      – Certamente, milord. Potrebbe darsi che una palla di carabina diventasse indispensabile.

      Sandokan si gettò a bandoliera l’arma, l’Inglese ne prese un’altra simile cacciandosi nelle tasche un paio di corte pistole e Marianna staccò una piccola carabina indiana incrostata d’argento e di madreperla, sospendendosi per di più un elegante pugnaletto dal manico dorato alla cintura.

      I cavalli impazienti scalpitavano nel parco, i cani abbaiavano e i battitori si mettevano allora in campagna. Gl’invitati chiamavano il lord salendo nei piani superiori.

      – Andiamo, i miei compagni ci aspettano. Non sarebbe giusto farci aspettare.

      Uscirono. Nel momento che entravano in un secondo salotto Marianna che era divenuta pensierosa, si avvicinò al pirata, che le veniva dietro.

      – Non commettete imprudenze colla tigre – diss’ella con voce supplichevole. – Morto voi, e per cagione mia, non me ne consolerei più!

      – Milady… – mormorò Sandokan con voce soffocata.

      – Mi avete compreso. Non voglio la pelle della tigre; essa mi farebbe paura.

      – Non siete voi che parlate… non potete aver paura di una pelle… voi che venite a cacciare con noi il terribile animale. Milady, non mettetemi al punto di dover mancare alla mia parola.

      – E se ve l’ordinassi?… Non vorrei vedervi ferito una seconda volta per cagion mia.

      – Non fatelo, milady! – esclamò Sandokan che non si padroneggiava più. – Sarei capace di violare la vostra proibizione. Lasciatemi. Là dove la vostra palla fallirà, il mio kriss ucciderà.

      Sarebbe stata follia voler arrestare quell’uomo che la passione dominava. La giovanetta non parlò più, ma lo guardò con due occhi nei quali trapelava un dolce rimprovero. Sandokan la comprese, ma non volle far vista di comprendere; aveva promesso e la pelle della tigre doveva infallibilmente essere sua.

      La comitiva li aspettava nel salone. Il lord, dopo di averli salutati e dopo che essi complimentarono la bella cacciatrice, presentò ad essi Sandokan, che si trasse d’impaccio colla maggior disinvoltura del mondo. Quantunque avesse tutto da temere da parte degli ufficiali di marina, che potevano averlo riconosciuto durante il terribile combattimento fra il piroscafo e il prahos, non tremò, né si smarrì. A ogni modo, nessuno sospettò in lui il terribile pirata e complimentarono il Malese di Schaja.

      Non mancava che partire. Scesero nel parco dove i cavalli li aspettavano trattenuti da palafrenieri e dove i bracchi di alta statura e dalle mascelle di ferro abbaiavano tirando il guinzaglio.

      – Andiamo, signori – disse il lord mentre aiutava sua nepote a salire in sella di un piccolo cavallo bianco. – La caccia comincia, la tigre si tiene nei dintorni fuggendo dinanzi ai battitori. Non sarà che colpa nostra, se lasciamo fuggire un sì superbo capo di selvaggina. Pensate che mia nepote è della partita e che brama la sua pelle; mi raccomando a voi.

      – Non ci sfuggirà – disse l’elegante ufficiale di marina verso il quale Sandokan provava un sentimento di gelosia. – Se la mia palla non fallirà avrò l’onore di presentare la pelliccia a lady Marianna.

      – E io avrò l’onore di pugnalare la tigre ancor prima che la pelle sia stata guasta da una palla – disse Sandokan guardando fissamente il giovanotto. – Nella Malacca non si usa rovinare la pelliccia con del piombo.

      – A vostro piacimento – rispose il lord, – guardate però di non farvi ammazzare. La tigre è un animale che non ischerza.

      Il segnale della partenza fu dato e la cavalcata uscì dal parco in gruppo serrato. Sandokan, che montava un magnifico cavallo sauro colla spigliatezza di un cavaliere consumato, si era spinto alla destra della giovanetta, mentre il lord si teneva alla sua sinistra. Il pirata, calmo ma fiero, determinato a tutto per pugnalare la tigre ad onta delle raccomandazioni della giovanetta, non aspettava che l’istante di porsi all’opera. Aveva appesa la carabina all’arcione e stringeva il kriss.

      La foresta appena fuori dal recinto erasi fatta fitta ma permetteva ai cavalli di avanzare e di galoppare tenendo dietro ai battitori e ai bracconieri che li precedevano di cinquecento passi.

      Si doveva circondare la foresta che aveva un’estensione di quasi due miglia, appena che fosse segnalata la tigre per togliere ogni scampo di fuga e restringersi fino a imprigionarla nel suo covo o fra qualche gruppo di alberi. Doveva essere là che si doveva affrontarla, e siccome ognuno non ignorava la resistenza che simili belve oppongono, si voleva essere riuniti per aiutarsi a vicenda. Era là che l’ufficiale e Sandokan, l’uno col fucile e l’altro col kriss dovevano disputarsi la vittoria tenuta fra le unghie del terribile animale.

      La cavalcata percorse un cinque o seicento passi, arrestandosi tratto tratto per non precedere i battitori che avanzavano prudentemente, e per trovare un passaggio fra i fitti cespugli spinosi e fra i grandi alberi. Stava per dividersi in due colonne per meglio tirar innanzi, quando si udì improvvisamente lo squillo della tromba di John il capo bracconiere.

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