Barrili Anton Giulio

Il ponte del paradiso: racconto


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non frequentasse più molte case, come prima faceva assai volentieri, restava sempre quello di prima, nella bella padronanza di sè, dei suoi atti e delle sue parole, disinvolto e misurato ad un tempo, sobrio nel gesto, parco nella celia, ma pronto a scoccarla con aria tranquilla, che non pareva affar suo, come se avesse detta la cosa più semplice e più naturale del mondo. Non si confondeva mai; confondeva gli altri, piuttosto.

      Perchè dunque appariva allora tanto diverso? Che fosse ammalato? Raimondo Zuliani, senza far tante indagini, notando solamente la novità della cosa, ebbe compassione di lui; e venutogli accanto, lo aveva tratto bel bello verso le signore Cantelli, a cui l'amico non si era ancora fatto vivo altrimenti, che con un rispettosissimo inchino.

      – Posso io presentare il mio amico Aldini? – aveva detto Raimondo, facendo bocca da ridere.

      – Ella sa bene, signor Zuliani, di averci già fatto questo regalo; – rispose la signora Eleonora con gran degnazione, e, cosa più insolita, abbozzando perfino un sorriso. – È vero nondimeno che incontriamo il signor Aldini piuttosto raramente.

      – Lo incontrano! – esclamò Raimondo. – Non è egli dunque tornato a riverirle? Davvero davvero, non riconosco più il mio Filippo, il re dei cavalieri. —

      Filippo Aldini sorrideva a stento, sudando freddo, e balbettando qualche frase scucita. La nessuna importanza sua… il timore di essere importuno… E frattanto si guardava attorno, come se cercasse soccorso. Da chi, povero Aldini, da chi? Ah, bene aveva pensato quel giorno di darsi ammalato! Sentiva allora che l'idea era buona. Peccato che gli fosse parsa ridicola, tanto che non ci si era fermato su, e non aveva scritto quel bigliettino di scusa a Raimondo, magari mettendosi a letto, per non esser colto in flagranti di bugia, dal più caldo, dal più prepotente degli amici! Si pentiva allora, si pentiva amaramente di non aver colta a volo l'idea, balenata nella mattina al suo spirito, come unica e vera àncora di salvezza che gli porgeva un buon genio.

      Bisognava dunque discorrere; e Filippo Aldini si adattò a mettere qualche frase meno scucita di costa a quelle del suo amico Zuliani. Ma appena Raimondo non fu più là in sostegno, lasciò languire la conversazione, e ringraziò nel profondo dell'animo il cavaliere Lunardi, che si avanzava a riverire la signora Eleonora. Nè solamente lo ringraziò, ma subito ne prese occasione a ritirarsi in buon ordine, per andare a discorrere colla signora Galier. Là solamente si sentiva al sicuro.

      La conversazione si era venuta animando. Ma qualche timido accordo al pianoforte ottenne il suo effetto. “Cascano i filinguelli al paretaio„, ha detto il poeta; tutti s'accostano al cembalo. C'è chi domanda una romanza dello Schubert, chi uno scherzo del Grieg, chi un minuetto del Boccherini. Il maestro di musica ha tutta questa roba sulla punta delle dita. Ma soprattutto c'è chi vuol sentire il re degli istrumenti musicali, la voce umana, specie se è voce di soprano, o di mezzo soprano. Del resto, in un salotto, son tutte voci di soprano sfogato. La padrona di casa non canta più, almeno così ella dice; e si capisce che dica così, per far figurare qualche graziosa invitata. Si pregherà dunque la signorina Cantelli. E la cara Margherita non si fece pregar molto. Pensava giustamente, la bellissima fanciulla, che tanto e tanto avrebbe dovuto dire di sì; il meglio era dunque di dirlo subito. Aveva una voce stupenda; cantò con metodo eccellente e con raro sentimento l'Ideale del Tosti, domandato dal cavalier Lunardi, il grande romantico della compagnia. La signora Livia si era appressata al cembalo per sentir meglio. Fu amabilissima; applaudì con ardore, e fece perfino un miracolo, simulando l'atto di abbracciare la gentil cantatrice.

      – Tutto bene! – disse mentalmente Raimondo, stropicciandosi le mani in un angolo del salotto. – Così la mamma fosse venuta, che non avrei più nulla a desiderare! —

      Ma non si può aver tutto, in questo povero mondo. E non potè aver tutto il cavaliere Lunardi, che dopo l'Ideale del Tosti, chiedeva già per grazia l'Amore, Amor del Tirindelli. Un uscio si era aperto, una portiera di broccato si era sollevata, ed appariva nel vano il colossale Giovanni in vistosa livrea, coi guanti bianchi come la neve; piacevole apparizione di granatiere rubizzo, che proferì poche parole, ma buone: “La signora è servita„.

      La signora, la padrona di casa, doveva far l'obbligo suo. Fatto un cenno al marito, che offriva subito il braccio alla signora Cantelli, prendeva il braccio del signor Telemaco; un pezzo grosso della finanza, che siamo dolenti di non aver meglio specificato, ed ora, per far le cose a dovere, sarebbe un po' tardi. Poi volgendosi verso Filippo Aldini, gli disse a mezza voce:

      – Signor Aldini, offra il braccio alla contessa Galier. —

      L'Aldini s'inchinò col suo fare misurato, ed obbedì prontamente.

      – Ah, che bel cavaliere! Ringiovanisco; – gridò quella graziosa matta della contessa, che non voleva esprimere a mezza voce il suo gradimento.

      La signora Livia sorrise; poi si rivolse al Lunardi.

      – Cavaliere, – gli disse, – offra il braccio alla signorina Cantelli. – E con un leggero ammiccar degli occhi ebbe l'aria di soggiungere: – È contento di me?

      – A questo modo, – esclamò il cavaliere Lunardi, per fare il paio colla vecchia contessa, – ringiovanisco ancor io. —

      La signora Livia fece un bel gesto d'invito a tutti gli altri, perchè volessero seguire la marcia come credessero meglio. Si era tutti amici vecchi di casa, perciò in gran confidenza; ed alcuni fecero l'atto, non ammesso dai manuali dell'etichetta, di offrirsi il braccio tra uomini. Il signor Brizzi, ad esempio, ci passò per signora, un po' stagionata a dir vero, accettando il braccio che gli offriva il Gregoretti, bel tipo di mattacchione, e alle sue ore anche poeta.

      Si traversò un secondo salotto che già conosciamo, e si mosse di là verso la sala da pranzo, il cui uscio spalancato lasciava vedere tutto uno sfolgorìo di lampade di bronzo dorato e di candelabri antichi, tra i cui viticci venivano ad innestarsi, come frutti luminosi, le pere cristalline della luce elettrica. Al soffitto di legno, partito a cassettoni e rosoni, anch'essi dorati, si armonizzavano le credenze e le cristalliere di legno nero, intagliato a fogliami, a fiorami, a rabeschi, a mascheroni, a putti, a draghi, ad uccelli fantastici. Falso Cinquecento, sicuramente; ma anche falso sta bene, dà un nobile carattere alle case, parendo invecchiare con esse le famiglietroppo moderne, che si sono felicemente arrampicate a metterci il nido.

      La tavola era uno splendore di cristallame, d'argenteria, di porcellana e di fiori. In vece del solito chemin de table, che è graziosissimo e può essere sommamente caro come lavoro di mani gentili, ma che è pure economico la parte sua, potendo andare in bucato, attraversava la tovaglia in linea diagonale un nastro enorme, artisticamente pieghettato e rigirato a onde, a staffe, a nodi, allacciando qua e là mazzi di rose fresche, di orchidee, di miosotidi, ed altre fioriture contro stagione. Quella era la novità ultimissima del buon gusto; così andava fatto, fosse pur condannato ad essere disfatto la mattina seguente. Buon lusso costoso delle cose destinate a perire! Ma la nave degli Zuliani aveva il vento in poppa, e dispiegava liberamente tutta la sua velatura.

      Contegnosi da principio e parchi di parole, i nostri commensali si animarono gradatamente, al saltar dei turaccioli, all'acciottolìo dei piatti, al cozzar dei bicchieri. Il chiacchiericcio si diffuse da un capo all'altro della tavola: si stava bene, si andava anzi di bene in meglio; si aprivano i cuori, si snodavano le lingue. Il cavaliere Lunardi fu garbatissimo colla signorina Margherita, che con un interlocutore sessagenario poteva essere più loquace, mostrando tesori di senno, di cultura e di grazia. Amenissima poi la contessa Galier, tra l'Aldini, che non si mostrava più tanto impacciato, e il signor Brizzi, collocato suo cavalier di sinistra. Così aveva disposto la padrona di casa, per compensarlo di quel sacrifizio, di quel tradimento dovuto fare al suo Cappello Nero.

      Intanto questo appariva in casa Zuliani, questo era evidente, tra tanti fumi del vin del Reno, di Borgogna, di Xères, di Caluso e d'altri siti; che i vecchi erano più animati, più allegri, perfino più arguti dei giovani. Nessuna maraviglia; forse è perchè i vecchi hanno meno tempo davanti a sè, in paragone dei giovani, e fanno profitto di quel poco che avanza. Quanto a dedurne che sia per maggiore esperienza della vita, non ne credete niente; e vecchi e giovani son tutti ragazzi ad un modo.

      In mezzo al chiacchiericcio generale, che già pareva un principio della confusione