dopo i quali, chiudi e sigilla, che il conto è fatto.
– Dunque, – ripigliò il Gregoretti, tenendo bordone a Raimondo, – vogliamo bere alla futura sposa del nostro Aldini? Egli è qui l'unico scapolo in età da pentirsi. Péntiti, don Giovanni! —
Eh, don Giovanni nel profondo del suo cuore non avrebbe chiesto niente di meglio. Ma lì per lì sentiva corrersi un brivido per l'ossa.
– Anche tu? – diss'egli volgendosi al Gregoretti, con aria tra confusa e seccata.
– Anch'io, sicuro, e tutti quanti siam qui, a volerti bene. Péntiti, don Giovanni! —
Filippo Aldini guardò intorno a sè, con occhi smarriti, come d'uomo in punto d'affogare. Tutti, col calice in mano, gli ripetevano la medesima frase. “Péntiti!„ diceva il Ruggeri; “péntiti!„ il signor Telemaco, che in verità non diceva nulla, ma consentiva col gesto, e nel gaio concerto delle voci pareva aggiungere la sua. Ma era dunque una congiura? un colpo premeditato?
– Lo senti? Te lo dicono tutti in coro; – gridò Raimondo Zuliani, ridendo a più non posso. – Péntiti, don Giovanni! —
E si rivolgeva, ciò detto, alla sua Livia, come per invocarne l'aiuto.
– Ma sì, – aggiunse allora la signora Zuliani, con la sua vocina sottile, e accompagnandone il suono con un moto grazioso della sua testina bionda, – perchè non si pentirebbe, don Giovanni? —
Filippo Aldini era fuori di sè dalla stizza. Ma egli sentì che a durarla ancora un tratto, sarebbe diventato ridicolo, con quella cera da funerale, in mezzo a tanta allegria che pareva volersi rovesciar tutta su lui. A farlo a posta, anche la padrona di casa si metteva dalla parte dei canzonatori.
Accettò dunque l'invito, come se fosse stato un comando; levò il suo calice, lo vuotò fino all'ultimo sorso, e rispose con accento risoluto:
– Sia, poichè tutti lo vogliono; mi pentirò. —
Ebbe naturalmente un applauso da tutti; e dopo l'applauso un premio speciale dal Gregoretti.
– Così va bene; – disse il poeta mattacchione. – Fin da domani metto la Musa in molle, e ti preparo l'epitaffio. —
Voleva dire l'epitalamio. Ma già la lingua incominciava a tradirlo.
III.
Per l'amico del cuore
Quella notte, anzi meglio, quella mattina, la signora Cantelli avrebbe voluto ritirarsi intorno alle due. Veramente, le rincresceva di dare il mal esempio; ma il suo Federigo doveva essere di buon mattino al suo posto, e bisognava concedergli almeno quattr'ore di sonno. Il signor Zuliani aggiustò le cose per bene, proponendo che Federigo andasse via solo, mentre per le signore, con tanti cavalieri presenti, non sarebbe mancato chi le accompagnasse al Danieli. In questo modo si guadagnò un'altr'ora allegra, illuminata dalla grazia, dal sorriso incantevole della signorina Margherita. Raimondo Zuliani era tutto raggiante di contentezza, ameno, festevole, attento ad ogni cosa che potesse occorrere per la felicità dei suoi ospiti; e ciò senza bisogno di scomodare sua moglie, che doveva lasciarlo fare, standosene regalmente seduta in trono, ossia, per chiamar le cose col loro nome, nell'angolo sinistro di un soffice canapè foderato di raso, accanto alla signora Eleonora.
Ma c'è un fine anche alle veglie notturne; e quando le signore Cantelli accennarono a prender commiato, Raimondo fu pronto a dar loro per cavaliere il conte Aldini. Mentre tutti incominciavano a mettersi in moto, la signora Livia ebbe agio di tirare il marito in disparte.
– Che idea è la tua? – gli bisbigliò. – Non doveva il signor Aldini accompagnare la Galier? tanto più che sono così vicini di casa?
– Capisco; – rispose Raimondo. – Ma la contessa ci ha il nipote, e quello può bastare. Credi tu che possa venire in mente a qualcheduno di rapirtela? Quanto alle signore Cantelli, potrebbe servire il cavaliere Lunardi? O il signor Telemaco? Mi paiono tutti e due morti dal sonno. Il Ruggeri è un po' sventato; e poi, ha veduto le signore per la prima volta stanotte. Il Gregoretti è un po' più allegro del solito. Ci ho pensato bene, mia cara; non c'è altri che Filippo. —
Del resto, era detta, e non si poteva tornare più indietro. “Voce dal sen fuggita. – Più rattener non vale„. Lo aveva sentenziato il Metastasio, in una di quelle sue ammirabili strofette per musica. Voleva la sua Livia sentir gli altri due versi? No, non ce n'era bisogno: li sapeva a mente, come l'avemmaria.
Per quella volta ancora comandava Raimondo, e l'Aldini accompagnò le signore Cantelli. Ci andò come la biscia all'incanto; ma ci andò, muovendosi in compagnia di Raimondo, che da qualche minuto non lasciava il suo braccio, quasi temendo che dovesse sfuggirgli. In questa guisa Oreste accompagnò il suo Pilade, fino al piè della gradinata, davanti alla gondola, dove ossequiò le signore Cantelli, ringraziandole del grande onore che gli avevano fatto.
La signora Eleonora mostrò di gradir molto la compagnia del conte Aldini. Margherita non mostrò nulla de' suoi sentimenti; ma certo era contenta. Come la gondola approdò alla Riva degli Schiavoni; la bellissima fanciulla accettò la mano che le tendeva Filippo per aiutarla a scendere; e Filippo sentì quella mano tremare un pochino nella sua. Una bella mano che trema, quante cose non dice?
Da quando si conoscevano? Da un mese, cioè dai primi giorni che le signore Cantelli erano capitate a Venezia. Viaggio e fermata lunga, tutto era stato per Federigo, che non poteva sperare una licenza per quella fin d'anno, dopo averne già ottenuto parecchie a brevi intervalli. Le mamme, per verità, ne vorrebbero una al mese, e si dolgono delle irragionevoli durezze della disciplina militare, che a sentirle loro non perderebbe nulla a essere più compiacente; ma è colpa loro, se han voluto i figliuoli ufficiali di terra o di mare. Ed anche a Venezia, così presso a Federigo, non potevano mica averlo sempre in compagnia: quel benedetto servizio aveva le sue esigenze quotidiane. Perciò altri doveva supplire alle assenze di Federigo, mettendosi a servizio delle signore Cantelli.
Naturalmente, c'era in prima riga Raimondo Zuliani, l'amico del banchiere Anselmo, e in continua relazione d'affari con lui. Ma anche Raimondo aveva le sue ore impegnate: poteva fare una visitina, ed anche a brevi intervalli, non già mettersi a loro disposizione per visitar chiese, palazzi e musei. Si sa, quando per una ragione o per l'altra si capita in una città ragguardevole, in una città storica, ricca di memorie, di capolavori, di meraviglie d'ogni genere, è obbligo di veder tutto, per mostrar poi alla gente di non aver viaggiato come bauli. L'arsenale lo avevano visto con Federigo, che era là come in casa sua, e ne faceva gli onori. San Marco, i Frari, la Salute e le altre chiese maggiori si potevano vedere via via nei giorni festivi, in occasione della messa. Ma il Palazzo dei Dogi, ma l'Accademia, il Museo Correr, i palazzi del Canal Grande, almeno i più singolari, i più celebrati, non si potevano visitare senza la compagnia di qualche amabile cicerone, che per l'appunto non fosse un cicerone di piazza.
Per questo ufficio il signor Brizzi, messo anche lui a disposizione delle signore, non parve a breve andare l'uomo più adatto; molto amabile, sicuramente, quantunque a modo suo, ma niente cicerone; ed egli, dopo tutto, era più utile al banco. O allora? Allora, quale occasione più favorevole dell'amico Aldini? Quello era proprio l'uomo, amabile che nulla più, cicerone perfetto, e padrone di tutto il suo tempo, non avendo niente da fare; condizione invidiabile, checchè si voglia argomentare in contrario.
E qui diciamo di lui tutto quello che occorre, per non averci a ritornare con cenni e notizie a spizzico, che paian venire di contrattempo, e intralcino ad ogni modo il racconto. Filippo Aldini era stato ufficiale di cavalleria, e in quella divisa era capitato quattro anni addietro alla guarnigione di Padova. Da Padova si è in un salto a Venezia, e di quei salti il tenente Aldini ne aveva già fatti parecchi. A Venezia, un bel giorno, che è che non è, prese la risoluzione di lasciare il servizio. Lo avevano forse attratto i cavalli di San Marco? Sia lecito immaginarlo, in mancanza di notizie più esatte. Quanto al servizio, lo poteva piantar lì senza scrupolo, non avendo egli presa la via delle armi coll'intenzione di percorrerla intiera. Era ricco, direte. No, non era ricco. Ricchissima era stata la sua famiglia, d'antico ceppo parmense; ricchissima sotto i cessati governi; ma in due o tre generazioni di oziosi aveva trovato il modo di andarsene a rotoli. Il mutuo e l'ipoteca, due invenzioni