Edward Gibbon

Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 6


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lor vittima dentro il cerchio delle loro armi. Prima che potesse riflettere al pericolo della sua situazione, Gaina diede il segnale di morte; un ardito soldato, avanzandosi, immerse la spada nel seno del reo Prefetto, e Ruffino cadde, gemè, e spirò ai piedi dell'atterrito Imperatore. Se le agonie d'un momento espiar potessero i delitti di tutta la vita, o se gli oltraggi fatti ad un insensibil cadavere potessero esitar oggetto di compassione, potrebbe forse la nostra umanità esser commossa dalle orride circostanze, che accompagnarono l'uccision di Ruffino. Il lacero corpo di lui fu abbandonato al brutal furore della plebaglia d'ambedue i sessi, che corse in folla da ogni quartiere della città ad incrudelir sugli avanzi del superbo ministro, al sopracciglio del quale tanto poco tempo avanti avevan tremato. Gli fu tagliata la mano destra e portata in giro per le strade di Costantinopoli ad estorcere con crudel beffa delle contribuzioni per l'avaro tiranno, il capo del quale s'espose pubblicamente, innalzato sulla punta d'una lunga lancia31. Secondo le selvagge massime delle Repubbliche Greche, l'innocente famiglia di lui avrebbe dovuto partecipare della pena de' suoi delitti. La moglie e la figlia di Ruffino dovettero la loro salvezza all'influenza della religione. Il suo santuario le protesse dalla rabbiosa frenesia del popolo; e fu permesso loro di passare il resto della vita in esercizj di Cristiana devozione in un ritiro di Gerusalemme32.

      A. 396

      Il servil Poeta di Stilicone applaudisce con feroce giubilo a questo orrido fatto, che sebbene fosse giusto in se stesso, violò per altro qualunque legge di natura e di società, profanò la maestà del Principe, e rinnovò i pericolosi esempj della militare licenza. La contemplazione dell'ordine e dell'armonia universale aveva convinto Claudiano dell'esistenza di Dio; ma pareva, che la prospera impunità del vizio contraddicesse a' suoi morali attributi, ed il fato di Ruffino fu l'unico evento, che dissipar potesse i religiosi dubbj del Poeta33. Tal atto potea vendicar l'onore della Providenza, ma non contribuì molto alla felicità del popolo. In meno di tre mesi fu questo informato delle massime del nuovo governo per mezzo d'un singolare editto, che stabiliva il diritto esclusivo del fisco sulle spoglie di Ruffino, ed imponeva sotto gravi pene silenzio a' presuntuosi reclami de' sudditi dell'Impero Orientale, che erano stati lesi dalla rapace sua tirannia34. Neppure Stilicone potè ritrarre dalla morte del suo rivale quel frutto, che s'ero proposto; e quantunque soddisfacesse la propria vendetta, ne rimase però sconcertata l'ambizione. La debolezza d'Arcadio avea bisogno d'un padrone sotto il nome di favorito; ma esso preferì le arti ossequiose dell'Eunuco Eutropio, che aveva acquistato la domestica sua confidenza; e l'Imperatore mirava con terrore ed avversione il forte genio d'uno straniero soldato. Finattantochè divise furono dalla gelosia del potere, la spada di Gaina e le grazie d'Eudossia sostennero il favore del Gran Ciambellano del palazzo: il perfido Goto, che fu fatto Generale dell'Oriente, senza scrupolo tradì l'interesse del suo benefattore, e le medesime truppe, che sì recentemente avevano ucciso il nemico di Stilicone, furono impegnato a sostenere contro di esso l'indipendenza del trono di Costantinopoli. I favoriti d'Arcadio fomentarono una segreta ed irreconciliabile guerra contro un formidabil eroe, che aspirava a governare e a difendere i due imperj di Roma, e i due figli di Teodosio. Essi continuamente si sforzavano, per mezzo di oscure e perfide macchinazioni, di privarlo della stima del Principe, del rispetto del popolo e dell'amicizia de' Barbari. Si tesero più volte insidie alla vita di Stilicone per mezzo del ferro di mercenari assassini, e si ottenne dal Senato di Costantinopoli un decreto, che lo dichiarava nemico della Repubblica, e confiscava le vaste possessioni, che aveva nelle Province Orientali. In un tempo, in cui l'unica speranza di differir la rovina del nome Romano dipendeva dalla stabil unione e dal reciproco aiuto di tutte le nazioni, alle quali appoco appoco era stato quel nome comunicato, i sudditi d'Arcadio e d'Onorio venivano indotti dai rispettivi loro Signori a risguardarsi l'un l'altro con occhio di stranieri, ed ancor di nemici, a rallegrarsi delle lor vicendevoli calamità, e ad abbracciare come fedeli alleati i Barbari, ch'eccitavano ad invadere gli stati dei lor nazionali35. I nativi dell'Italia affettavano di sprezzare i servili ed effemminati Greci di Bizanzio, che pretendevano d'imitar l'abito, e d'usurpare la dignità di Senatori Romani36; ed i Greci non avevano ancora deposto i sentimenti di odio e di disprezzo, che i culti loro maggiori avevano sì lungamente nudrito pei rozzi abitatori dell'Occidente. La distinzione di due governi, che ben tosto produsse quella di due nazioni, giustificherà il mio disegno di sospender la serie dell'istoria Bizantina per proseguire senz'interrompimento il disgraziato, ma memorabile regno d'Onorio.

      A. 386-398

      Il prudente Stilicone, invece di persistere a forzare le inclinazioni di un Principe e di un popolo, che rigettavano il suo governo, saviamente abbandonò Arcadio agl'indegni suoi favoriti; e la ripugnanza, che egli ebbe ad involgere in una guerra civile i due Imperj, fece conoscere la moderazione di un ministro, che avea tante volte segnalato il suo spirito e saper militare. Ma se Stilicone avesse più lungamente sofferto la ribellione dell'Affrica, avrebbe tradito la sicurezza della Capitale, ed abbandonato la maestà dell'Imperatore dell'Occidente alla capricciosa insolenza di un Mauritano ribelle. Gildone37, fratello del tiranno Firmo, avea conservato ed ottenuto in premio dell'apparente sua fedeltà l'immenso patrimonio, ch'era stato confiscato per causa di tradimento; un lungo e meritevol servizio negli eserciti Romani l'aveva inalzato alla dignità di Conte militare; la ristretta politica della Corte di Teodosio aveva adottato il dannoso espediente di sostenere un governo legittimo mediante l'interesse di una potente famiglia; ed il fratello di Firmo fu investito del comando dell'Affrica. La sua ambizione tosto usurpò l'amministrazion della giustizia e delle finanze, senza renderne conto ad alcuno e senza contrasto; e conservò per dodici anni il possesso di un ufizio, da cui era impossibile rimuoverlo senza il rischio di una guerra civile. In quei dodici anni gemerono le province Affricane sotto il dominio di un tiranno, che pareva unisse l'insensibil natura di uno straniero ai parziali risentimenti di una domestica fazione. Spesso trascuranvansi le formalità legali coll'uso del veleno, e se i tremanti convitati alla tavola di Gildone ardivano d'esprimere i loro timori, ad altro non serviva l'insolente sospetto, che ad eccitare il suo furore, ed altamente chiamava i ministri di morte. Gildone alternativamente soddisfaceva le passioni dell'avarizia e della lascivia38; e se i suoi giorni eran terribili pei ricchi, le sue notti non erano meno spaventose pei mariti e pei genitori. Si prostituivano le più belle lor mogli e figliole agli abbracciamenti del tiranno; e quindi venivano abbandonate ad una feroce truppa di barbari ed assassini, neri o mulatti, nativi del deserto, che Gildone risguardava come i soli custodi del suo trono. Nella guerra civile fra Teodosio ed Eugenio, il Conte, o piuttosto il Sovrano dell'Affrica, osservò una superba e sospetta neutralità; ricusò d'aiutare alcuna delle parti con truppe o con navi, aspettò la dichiarazione della fortuna, e riservò pel vincitore le vane proteste del suo omaggio. Tali proteste non sarebbero servite a soddisfare il padrone del Mondo Romano, ma la morte di Teodosio, e la debolezza e discordia de' suoi figli confermarono la potenza del Mauritano, il quale, in prova di sua moderazione, si contentò d'astenersi dall'uso del diadema, e di somministrare a Roma il consueto tributo o piuttosto sussidio di grano. In ogni division dell'Impero le cinque Province dell'Affrica erano sempre state assegnate all'Occidente; e Gildone avea consentito di governare quell'esteso paese in nome d'Onorio, ma la cognizione, che aveva del carattere e de' disegni di Stilicone, presto l'impegnarono a prestare omaggio ad un più distante e più debole Sovrano. I ministri d'Arcadio abbracciaron la causa di un perfido ribelle; e la seducente speranza d'aggiungere all'Impero Orientale le copiose città dell'Affrica, li tentò ad arrogarsi un diritto, che non eran capaci di sostenere nè colla ragione, nè colle armi39.

      A. 397

      Dopo che Stilicone ebbe data una ferma e decisiva risposta alle pretensioni della Corte Bizantina, solennemente accusò il tiranno dell'Affrica avanti a quel tribunale, che aveva una volta giudicato i Re e le nazioni della terra; e dopo un lungo intervallo si ravvisò l'immagine della Repubblica sotto il regno d'Onorio. L'Imperatore trasmise al Senato Romano un esatto ed ampio ragguaglio delle querele dei provinciali, e dei delitti di Gildone; e si richiese a' membri di quella venerabile assemblea che pronunziassero la condanna del ribelle. L'unanime