si annidò più comodamente nei soffici cuscini e si addormentò. Sognò che erano proprio arrivati, che erano molto amabili e che ammiravano molto il suo vestito rosa.
Un rombo assordante la destò – uno scoppio immane con uno scrosciar di travi rotte e di vetri frantumati.
Mirella balzò dal letto, e subito un lampo l'acciecò, un altro rombo riempì l'aria.
Pareva che crollasse il mondo.
«Mirella!!» Le braccia di sua madre erano intorno a lei, e Chérie si aggrappava ad entrambe.
«Andiamo via – andiamo via subito!» gridò Chérie. «Cercheremo rifugio dal Borgomastro… dal Parroco… Non stiamo qui, non stiamo qui, sole!»
«Sì… sì… andiamo…» balbettò Luisa. «Ma chi ci porterà la roba?…»
«Che roba? Ma cosa dici?» gridò Chérie. «Non possiamo prender nulla – nulla, Lulù! – Per amor di Dio, andiamo!»
«Ma.... i denari?…»
«Fa presto!» gridò Chérie.
«Fa presto!» strillò anche Mirella battendo i denti.
«Ma come possiamo…» balbettò Luisa, toccandosi con mano tremula la gonna di trine, «come possiamo andare per il mondo vestite così?»
«Non importa – non importa – andiamo! Facciamo presto! mio Dio! facciamo presto!…»
Ma Luisa sembrava paralizzata e impietrita dal terrore.
«Adesso verranno… verranno,» mormorava fissando con occhi folli la finestra frantumata. Le pareva che nell'oscurità di fuori pulsassero e tuonassero le tremende parole di Florian: «Oltraggio, violenza e strage.... oltraggio, violenza e strage.»
D'improvviso un gigantesco fascio di fiamme si alzò nel cielo, illuminando la stanza d'un fantastico bagliore. Quindi un'immane esplosione scosse la casa fino alle fondamenta.
Con un grido Luisa afferrò Mirella e si slanciò fuori dalla stanza. Chérie le seguì scendendo a precipizio le scale. Ma un'altra esplosione le arrestò, folli di panico, sul pianerottolo. La casa tremava, i vetri della scala cadevano in mille frantumi intorno a loro.
Pazze di terrore si rifugiarono nella sala d'entrata.
Passarono ore, od istanti?… Non lo seppero mai.
A un tratto sopra l'assordante baccano percepirono altri suoni. Erano voci – voci forti e rauche – giù, nella strada. Un frastuono di grida, di comandi secchi e gutturali, un clicchettìo di sciabole e speroni.
«Lasciami – voglio guardar fuori,» ansò Chérie, svincolandosi dalla stretta convulsa di Luisa. E corse, barcollando alla finestra....
Indi volse a Luisa un volto stralunato.
«Eccoli. Sono qui!»
Mirella cacciò un urlo che si perdette nello strepito crescente, e Luisa levò le mani al cielo.
«E' la morte – la morte» gemette, e strinse tra le braccia la piangente Mirella.
«Taci! Taci!» susurrò Chérie. «Forse non entreranno. Il portone è chiuso…» Ma pur mentre lo diceva sentiva tutta la fallacia di tale speranza. «Ah! mio Dio!» E Chérie, barcollante indietreggiò dalla finestra, aggrappandosi alle tende per non cadere. «Luisa, c'è qualcuno che apre la porta! E' Fritz.... E' Fritz.... E' lui che li fa entrare!»
Ed ecco già per le scale un trepestìo e un vociar alto e rude tra il tinnir di sciabole e speroni.
Allora, quasi se l'imminente incombere del fato l'avesse d'un tratto investita d'una forza e dignità nuove, Luisa si raddrizzò alta e tragica fra le due fanciulle tremanti, e con gesto solenne tracciò sulla fronte ad entrambe il segno della croce. Poi anch'essa si segnò; e con le braccia intrecciate stettero immobili. Erano pronte a morire.
Villanamente sbattuta da un calcio la porta si aprì; dei militari in uniformi grigie apparvero sulla soglia; altri gremivano l'andito spingendosi avanti rumorosamente. Ma alla vista delle tre figure allacciate si arrestarono e vi fu un istante di silenzio; quindi un ufficiale – un uomo alto, magro, dai baffi grigi – mosse un passo davanti agli altri, ed entrò nella stanza. Quelli dietro a lui si schierarono rigidi e impettiti sul limitare, evidentemente aspettando ordini.
«Tiens, tiens, tiens!» fece l'ufficiale squadrando le tre figure femminili da capo a piedi, dalle chiome lucenti alle scarpette eleganti. «Che quadro delizioso!» – e i suoi occhi sorridevano. «Si direbbe che vi siete falle belle per riceverci?» Il suo francese era perfetto; il tono, benchè lievemente sprezzante, non era nè rude nè scortese; i suoi occhi azzurri erano intelligenti e un po' canzonatori. A dir vero non sembrava una «jena infernale,» nè evocava l'idea di violenza, d'oltraggio o di strage.
Nell'anima di Luisa una reazione improvvisa successe alla tensione suprema di terrore. Le parve di fondersi e svanire in un'onda ineffabile di conforto e di speranza; e il sangue agghiacciato le rifluì con un caldo palpito nel cuore.
Frattanto l'ufficiale si era rivolto agli uomini immobili dietro di lui – due di questi parevano ufficiali di grado inferiore, gli altri otto o dieci erano semplici soldati – e diede loro un breve aspro comando in tedesco. Tutti salutarono, rigidi; mentre i due ufficiali facevano un passo avanti e si ponevano a lato del loro superiore. Uno di costoro – un giovane alto, dagli occhi chiarissimi – teneva un foglio di carta in mano.
Dietro l'ordine secco dell'ufficiale anziano egli lesse ad alta voce quanto vi stava scritto. L'ufficiale superiore, ascoltando quella lettura, si guardava intorno; volgeva gli occhi dalla finestra alla porta, poi all'altra porta, poi alla breve scalinata ricoperta di tappeti rossi che conduceva agli appartamenti superiori....
Chérie e Mirella – che capivano il tedesco – ascoltavano stupefatte quella lettura. Era una breve precisa descrizione della casa e dei suoi inquilini.
«Abitazione di Claudio Leopoldo Brandès dottore e ufficiale di riserva; età 34 anni; ammogliato con prole. Sua moglie, sua figlia e una sorella vivono con lui. Al pian terreno cinque vani: cucine, studio del dottore, camera da chirurgia e due sale d'aspetto; al primo piano, quattro vani; ai piani superiori, nove vani. – Garage; scuderia; rimessa (due cavalli, una motocicletta, un'automobile – requisiti); cantine e telefono. – Das ist alles, Herr Kapitän.»
«Uomini adulti in casa?» chiese il Herr Kapitän.
No. Queste donne soltanto.
«Dov'è questo dottor Brandès?»
Partito nella notte del 3 luglio.
«Per la frontiera?»
No; probabilmente per la capitale. «Ma,» soggiunse il giovane ufficiale, lanciando una fuggevole occhiata alle tre donne, «sarà facile accertarsene.»
«Bene. E c'era un nostro incaricato qui?» chiese il capitano.
«Sì. Un certo Fritz Müller di Löhrrach.» Chérie fremette e strinse più forte la mano di Luisa.
«Dov'è questo Müller?» domandò il capitano guardandosi intorno.
«E' giù.... dabbasso: quel domestico,» spiegò il tenente, «che ci aprì la porta».
«Incaricatelo dei biglietti d'alloggio;» ordinò il capitano. «Si provveda per 125 uomini. Quanto a noi —» prese di mano al giovane la carta e la rigirò per guardare il piano della casa disegnato a tergo del foglio – «vediamo un po'… Tre stanze a questo piano… quattro di sopra.... Glotz!» disse, volgendosi all'altro ufficiale, un sottotenente giovanissimo che gli stava dietro, muto e impalato – «Lei venga con me. E porti due uomini.»
Glotz salutò rigido.
Il capitano gettò un'occhiata su Luisa e Chérie. «Von Wedel» – l'ufficiale dagli occhi chiari si mise sull'attenti – «tu starai qui.»
Indi il capitano girò sui tacchi, salì impettito i quattro gradini, e sparve per le scale, seguìto dal sottotenente Glotz e due soldati.
Gli altri otto o dieci uomini rimasero nel vestibolo, schierati