Eva Forte

Due


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in cucina. Un bel bicchiere di latte con i biscotti è l'unica soluzione in questi casi. Anni fa era mio nonno a prepararmi questi spuntini notturni e a farmi compagnia davanti a una bella tazza di orzo che si riscaldava nel suo tegamino di acciaio, sempre fino a farlo bollire e spesso facendolo uscire sulla fiamma che cominciava a scricchiolare e a cambiare colore colpito dal liquido improvviso. Quando poteva cominciare a berlo, io ero quasi alla fine del mio latte e biscotti e così ero io a fargli compagnia fino a quando non finiva di bere la sua tazza bollente. Di notte sono sempre stata più loquace che di giorno e così mi liberavo in tanti discorsi e dubbi su quello che sarebbe accaduto il giorno dopo. Queste nottate insieme in genere precedevano gli esami all'Università, tanta era la tensione che finivo tardissimo di ripassare e così la tazza di latte era un aiuto per prendere sonno e rilassarmi dopo l'ultima giornata di studio. Seduta al tavolo, oggi, sento ancora forte la sua mancanza, in modo concreto e non solo di sentimento ferito, ma proprio come una assenza tangibile. Adesso davanti alla mia tazza di latte non posso parlare con nessuno e manca anche il profumo dell'orzo che brucia sui fornelli. Una volta per allentare la sofferenza, oltre al mio latte ho preparato anche l'orzo nel tegamino di acciaio ma questa cosa è servita solo a farmi stare peggio e così mi sono ripromessa di cercare di andare avanti, staccandomi il più possibile dalle abitudini passate senza però perdere il ricordo di questi bellissimi momenti insieme a lui.

      

      

      CAPITOLO 5

      Via

      

      

      Dopo la fuga dal bar continuo ad allontanarmi con passo deciso, senza girarmi mai indietro neanche avessi commesso qualche brutta azione. Come un ladro, con la paura di essere scoperto e l'adrenalina per le mie ultime azioni, mi allontano più che posso e al primo autobus che incrocio salgo sopra, senza sapere dove mi porterà. Ho un appuntamento in centro nella tarda mattinata e così potrò smaltire tutta questa eccitazione per quel piccolo fiore abbandonato tra le sue mani. Regalarle un fiore, ma come mi è venuto in mente? Cerco di immaginare cosa stia accadendo ora nel bar, magari ha preso e buttato via quella piccola margheritina che sta già appassendo, facendosi una grassa risata con la sua amica. Sarò diventato lo zimbello della giornata? La mia speranza però è un'altra, quella di avere aperto una breccia nei suoi pensieri, dove poter entrare e nascondermi in un angolino silenzioso pronto a scoprire cose nuove su di lei. Sono scappato via per la paura che la nostra storia di sguardi possa cambiare, ma in fondo al mio cuore forse vorrei veramente che questo accadesse. Vorrei poter essere una piccola mosca e girare ora li sopra le loro teste, scrutare i suoi occhi azzurri come il cielo e rapire ogni piccola smorfia sul sul viso, insieme a tutti i pensieri che le possono passare per la mente guardando ogni singolo petalo bianco. Sono quasi tentato di tornare indietro, ma ormai sono troppo lontano e stanco, l'autobus fortunatamente porta in centro, e sicuramente anche se lo facessi, lei ormai non sarebbe più li. Trovo posto e mi siedo, facendomi cullare dalla velocità del grande mezzo. I miei compagni di viaggio sono tutti silenziosi e pronti a una giornata di lavoro o di studio, o anche solo al giro mattutino per ammazzare le lunghe giornate che si vivono quando si arriva a una certa età. Molti di loro hanno un libro aperto tra le mani, altri ascoltano la musica, altri ancora sono immersi nei propri pensieri. Attira la mia attenzione una vecchietta in fondo all'autobus, vestita di rosso e con un grande carrello vuoto al suo fianco. Ha lo sguardo stanco e la testa che ciondola a ogni curva. Mi viene da pensare a come sarò io da vecchio e il primo pensiero che ho è proprio quello di non voler stare solo, di arrivare a quell'età insieme a qualcuno con cui condividere tutto, anche le piccole margherite da raccogliere sulla strada. Torno a pensare a lei mentre fuori dal finestrino vedo la maestosità della città e dei suoi monumenti imponenti che fanno da cornice a ogni avventura della mia vita.

      

      

      Quando arrivo al Vittoriano scendo di corsa, svegliato all'improvviso da questa beatitudine raggiunta tra pensieri e lo scorrere di posti bellissimi fuori dal vetro. Con me scende anche la vecchietta, già pronta davanti alla porta con il suo fido carrello tenuto con una mano, mentre con l'altra si regge per non cadere. Alla fermata ci separiamo e la seguo con lo sguardo fino a che non gira dietro l'angolo in fondo alla strada, quasi a controllare che non le accada nulla di male e pronto a soccorrerla se le servisse qualcosa. A volte basta poco per entrare in sintonia con qualcuno che poi magari sparirà per sempre dalla nostra vita nello stesso modo in cui è entrata a farci parte per un breve istante. Guardo l'orologio: sono decisamente in anticipo per il mio appuntamento al Museo di Piazza Venezia e così ne approfitto per fare qualche scatto ai Fori in questa bella giornata che merita di essere fissata in un ricordo visivo. Neanche a farlo apposto vedo una piccola margheritina che spunta sul ciglio del marciapiede e così riesco a fotografarla in primo piano, con sullo sfondo i monumenti sfocati che danno la sensazione di stare fuori dal mondo e dal tempo. Mi piacerebbe poterla inviare subito alla mia misteriosa compagna di viaggio, ma non saprei proprio come fare a consegnargliela, non sapendo neanche il suo nome. Una volta a casa la salverò anche sul telefono, dovrà essere sempre pronta nel caso riesca ad arrivare a lei in qualche modo più informatizzato. Passeggiare al centro di Roma veramente ti porta fuori dalla quotidianità e tra tutti i turisti si può anche perdere cognizione dello spazio e del tempo. Un susseguirsi costante di lingue e di colori, tra le tante persone armate di macchina fotografica e sorrisi smaglianti per fissare intere giornate passate a visitare la Città Eterna. I gladiatori al Colosseo sempre pronti a far parte delle loro fotografie dietro lauto compenso e le carrozzelle che accompagnano i più vogliosi di provare nuove dimensioni, perchè in vacanza gli schemi devono cambiare, almeno per mezz'ora, trascinati per la città da una carrozza con tanto di cavallo. Gli zoccoli sui sampietrini nascondono il rumore delle automobili e la città vista da li sopra ha tutto un altro gusto, con un salto indietro nel passato. La fila davanti al Colosseo è già lunghissima, non curante del freddo e dei tempi di attesa, pronta a far propria la visione di uno dei posti più famosi del mondo da riportare nella propria città insieme a foto e ricordini da smerciare ad amici e parenti. Più tardi cominceranno ad arrivare anche le coppie di sposi novelli, ancora vestiti a festa per le fotografie di rito tra gli scenari più belli della Capitale e così questo spazio avrà un ulteriore aspetto e significato per chi lo ha scelto come propria meta. Dopo aver passato la mattinata facendo finta di essere anche io un turista, torno indietro a passo deciso verso il luogo del mio appuntamento non tanto lontano. Incontro per caso il mio interlocutore ai piedi del Vittoriano e così decidiamo di parlare del mio lavoro all'aria aperta, senza rinchiuderci nel suo ufficio tra scartoffie e il buio della stanza. Devono rifare le locandine del Monumento e hanno quindi bisogno di nuove fotografie, magari sfruttando la veduta di Roma che si ha proprio salendo nella sua parte più alta e accessibile solo a pochi eletti. Avevo già lavorato per loro un altro paio di volte in occasioni di particolari mostre all'interno della “Macchina da scrivere”, come viene chiamato a Roma l'Altare della Patria. Da quando, nel 2000, hanno ridato la possibilità di accedere alla scalinata, di tanto in tanto, mi piace passare qualche ora a visitare il Vittoriano, vedere tutte le sue particolarità dedicate alle città e alle regioni italiane e la parte che preferisco di più è il sacrario delle bandiere di guerra, un'infinità di reperti e stemmi con il sapore del passato tra le trame della stoffa consumata.

      Accetto di buon grado il lavoro e comincio a fare qualche scatto, approfittando dell'accesso ad aree non concesse ai normali visitatori. Da lassù la città ti rapisce, ti ingloba tra i marmi e le antiche costruzioni medievali, fino ad arrivare agli sfarzi dell'antica Roma, tutto in un unico sguardo d'insieme. Sembra quasi di poter toccare il sole e immergerti nel cielo limpido che lancia ventate fredde di tanto in tanto, a risvegliarti da questa atmosfera surreale e magica.

      

      

      Viene voglia di rimanere li tutto il giorno, rannicchiati in qualche spazio tra le colonne e le scale infinite a guardare Roma e tutte quelle piccole formiche che si muovono avanti e indietro per le vie sottostanti. Mi faccio coraggio e abbandono quel luogo così carico di storia da far quasi sentire le voci di tutti quelli che sono stati li prima di me, prima ancora che venisse eretto questo monumento così plateale. Decido di tornare a piedi, approfittando della giornata che ci ha risparmiato dalla pioggia della notte scorsa. Fotografo le pozzanghere che fanno da specchio alle vie e in una ci sono io, riflesso con il mio giaccone blu