Federica Cabras

E Non Vissero Felici E Contenti


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aggressivo, che diede vita a una lotta silenziosa che li portò sul tappeto della stanza. Le mani di lui trafficarono nel vestito di lei fino a trovare il laccetto che lo teneva su. Lo sganciò. Lei gli sbottonò la camicia e gli baciò il petto. Mentre le mani si rincorrevano, si cercavano e si trovavano lui si bloccò, mentre il suo cuore si gelava.

      Sandi urlava, disperata. Eddie non aveva nemmeno più lacrime da piangere. La piccola bara bianca era dinanzi a loro. Nella camera mortuaria dell’ospedale c’era assai freddo, ma nessuno tra loro cercò una giacca. La loro bambina – il loro piccolo angelo che ora diventava custode – non c’era più. Aveva solo sei mesi. L’avevano seppellita con un vestitino bianco con fiori ricamati. L’avevano coccolata e baciata, prima che il funzionario delle pompe funebri li avvisasse del triste momento: avrebbero dovuto chiudere il feretro entro cinque minuti. E ora erano lì; amici e parenti, con parole più o meno di conforto e tante frasi fatte, provavano a lenire quell’atroce sofferenza. Ma nulla avrebbe potuto liberarli da quel groppo nel cuore. Sandi, per la prima volta nella sua vita, era apparsa fragile, debole, pronta a rompersi. Per la prima volta nel suo viso non c’era ostentazione, né malizia, né sicurezza; c’era solo strazio. Lui le strinse la mano, ma lei non rispose alla stretta. Stava canticchiando la ninna nanna di Ginevra. Era un supplizio sentire quella cantilena. La strinse a sé mentre una consapevolezza faceva capolino nella sua testa: niente e nessuno avrebbe potuto riunirli, dopo quell’amara rottura.

      «Io… Io… Io non posso farlo.» biascicò lui, rimettendosi in piedi. Il viso di lei era paonazzo, confuso. Si alzò, legò il vestito e si sistemò alla bell’e meglio. Poi lo guardò negli occhi e iniziò a piangere. L’espressione dissoluta di poco prima aveva ceduto il passo a un’angosciante senso di perdita.

      «Perché piangi?»

      «Piango perché sono io il problema. Sono sempre io.»

      «In che senso?» la sollecitò lui, timoroso.

      «Ogni volta che trovo un uomo, un uomo come te succede che io rovino sempre tutto! Che tu sia dannato, insieme a tutti gli altri miei demoni!» urlò con veemenza la giovane i cui occhi erano diventati due pozzi neri infernali.

      «No, non hai capito affatto…» disse lui, con dolcezza, prendendo il suo volto tra le mani. «Io la amo, e questo mi basta. La amo follemente, senza razionalità né giudizio. La amo perché è la madre della mia bambina.»

      «Hai una figlia?»

      Era sconcertata, disorientata. Nessuno le aveva mai detto che lui aveva una figlia.

      «La avevo.» mormorò con un filo di voce lui. «Ma è sepolta sotto un metro e mezzo di terra.» aggiunse, mentre nei suoi occhi si ravvisava un guizzo di pazzia.

      «Mi dispiace.» bisbigliò lei, cauta. Ecco perché quell’aria perennemente angustiata.

      «Me ne vado.»

      «A domani.»

      «A domani, sì.»

      La lasciò lì, seduta in una scomoda poltrona, a pensare a quanto era stata stolta, ottusa. Si sentì sporca, immorale. Aveva sedotto per mesi un uomo che non voleva essere infastidito. E ora capiva perché. In quel momento le apparve chiaro come quella donna che lei guardava di nascosto andare a lavoro – quella stessa donna che non si curava del suo sguardo, altezzosa e presuntuosa – lo avesse in pugno. Per sempre.

      6

      Olivia mise a letto i bambini molto tardi, quella sera. Avevano passato l’intera serata a giocare con i giochi portati dalla zia Sandi. Olivia aveva sempre insistito che la chiamassero zia, anche se non ne capivano a fondo il motivo.

      Sandi non era certo il tipo di persona che i bambini amano – di quelle che «Dai, facciamo un trenino!» o «Aiutatemi a fare le collane con le perline che indosseremo tutti stasera!». Era disinteressata a ogni aspetto dell’universo che non la riguardasse personalmente; era fredda, impersonale. Dava loro pacche nella schiena con il calore di un serpente della giungla. Ma la loro mamma la amava, quella donna stramba, o almeno la amava a suo modo – di quegli amori un po’ sofferti, ancor più preziosi perché strani, esclusivi.

      Una volta mamma Olivia aveva detto ai bambini che lei li aiutava tanto e in vari modi. Poi aveva aperto il portafogli e loro avevano intravisto – non senza l’acquolina in bocca: avere soldi voleva dire leccornie, giochi – delle banconote da cento. La mamma guadagnava poco – «Il necessario!» soleva ripetere il suo spilorcio datore di lavoro – e tirare avanti non era semplice. Quel giorno era nata in loro una nuova stima per quella zia che non si interessava di chiedere loro come andassero le cose a scuola o come volessero il latte alle cinque del pomeriggio. Se ne infischiavano, semplicemente, di quelle strane regole. Tutta la loro vita era governata da leggi che di ortodosso avevano ben poco. Quel giorno, soprattutto, erano stati felici di vederla. Il papà era andato via – «Per sempre, mi auguro.» aveva affermato la mamma – e loro non erano né tristi né felici – l’amarezza per averlo visto andare via sbattendo la porta cozzava con la paura provata alla sola vista di quegli occhi assetati di sangue. Tuttavia una ulteriore compagnia non dava loro noia, anzi provocava sollievo.

      Nella sala da pranzo Sandi e Olivia, all’una di notte, chiacchieravano ancora animatamente.

      «Ti ricordi quando ti sei sposata?» chiese Olivia.

      «Oh, sì. La sbornia presa il giorno dopo non la scorderò mai.»

      Era il giorno che aveva scoperto che peggio dei liquori mischiati c’è solo la morte.

      «E io lì, che ti mantenevo la testa. Eddie disperato, mentre tu gli spiegavi, pazientemente come solo una persona ubriaca sa fare, che non era lui il problema, ma tu. E in quel frangente ti accorgesti di avere le scarpe sporche di vomito e tutta quella tua sicurezza iniziale svanì.»

      «Non mi ci fare pensare.»

      Aveva già bevuto qualche bicchiere di troppo, e la testa iniziava a girarle vorticosamente.

      I colori della casa variopinta di Olivia giravano, e giravano. E lei guardava il soffitto, stupita come un bambino davanti a un marchingegno mai visto. Olivia rise, di cuore e in modo fragoroso. Come Dio avesse fatto diventare amiche due persone così agli antipodi non si sarebbe scoperto mai. Una fredda, l’altra solare. Una seria, l’altra spiritosa. Una infelice – sempre e comunque, perché il mondo non girava intorno a sé –, l’altra perennemente grata a tutto. Olivia sapeva ringraziare Dio – o il destino, l’universo, la natura… insomma, qualunque cosa decida per noi – anche per il sole la mattina, o per i cornetti alla crema accompagnati dal cappuccino. Fermamente convinta che la filosofia esatta fosse quella del bicchiere mezzo pieno, fedelissima seguace dei saldi e innamorata dei dolciumi, Olivia era capace di amare incondizionatamente, senza se e senza ma. Sandi era tutt’altro. Non capiva le persone come Olivia – quelle che ridono senza un motivo, o che si danno agli altri in modo assoluto. Lei dava di sé piccoli pezzi, si concedeva a porzioni ridotte – quasi come se davvero il suo animo venisse dilaniato dall’eccessivo contatto con gli altri. Olivia era una delle poche persone che avrebbero potuto godere della sua vera essenza, delle sue preziose risa.

      «Senti, Sandi… ma Eddie?»

      «Non so dove sia.»

      «E lo dici così? Senza interesse? È pur sempre tuo marito…»

      «È mio marito, sì. Ma solo sulle carte.»

      «Come siete finiti a questo? A farvi del male in questo modo, intendo. Abitate nella stessa casa, dormite nello stesso letto e vi guardate ogni santo giorno da quindici anni. Ma non vedete nulla; siete due spettri.»

      «Olivia, le vicissitudini della vita spesso ti portano ad allontanarti e nulla – nulla! – si può fare per rendere le cose indolori o…»

      «Piantala di fare discorsone con me, Sandi. Il tuo carisma ti aiuta ovunque ma non qui, in questa casa. Non con me. Ti conosco, sai?»

      «E allora che diavolo vuoi sapere?»

      Sandi si alzò, e camminava nervosamente per la