Guido Pagliarino

Il Ventottesimo Libro


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      Guido Pagliarino

      Il Ventottesimo Libro

      Una storia prima del Nuovo Testamento

      Romanzo

      Pubblicato e distribuito da Tektime

      Seconda edizione in formato cartaceo ed elettronico

      Copyright © Guido Pagliarino

      Tutti i diritti, letterari, cinematografici, televisivi, radio, internet e connessi a qualsiasi altro mezzo di diffusione e i diritti di traduzione sono dell’autore, in tutto il mondo.

      La prima edizione dell’opera, conforme a questa seconda, si è classificata Finalista al “Premio Mario Pannunzio 2017”

      La copertina è stata realizzata elettronicamente dall’autore

      Indice

       PREFAZIONE

       RICHIAMO EPIGRAFICO

       VANGELO IN ARAMAICO SECONDO LEVI MATTEO

       Parte prima

       Parte seconda

       Parte terza

       Parte quarta

       Parte quinta

       Parte sesta

       POSTFAZION E di Guido Pagliarino

      

       PREFAZIONE

      Sono passati quasi cinque anni dal nostro ritrovamento e finalmente, non senza emozione, presento oggi questa mia volgarizzazione dall’aramaico all’italiano d’un documento storico primario che si credeva perduto:

      Durante la nostra ultima spedizione in India, mentre si studiava un sito archeologico, io e miei collaboratori ci siamo imbattuti in un cunicolo che custodiva i papiri del primo vangelo di cui si avesse notizia, andato presto smarrito dopo la sua stesura; si tratta del vangelo in aramaico di Matteo, scritto durante il I secolo dell’era cristiana, secondo quanto porta a credere il suo supporto papiraceo sottoposto a prova d’anzianità col metodo di radiodatazione al carbonio 14, e più precisamente, stando all’analisi testuale, steso nel corso degli anni 28-50 dello stesso secolo. L’opera si presenta ben conservata, benché scritta sopra una base facilmente deteriorabile come il foglio di papiro, grazie a particolarissime condizioni d’assenza d'aria nel loco in cui giaceva. Giudico, secondo verosimiglianza, che sia completa, a differenza della maggior parte delle circa 5200 copie di libri neotestamentari finora a nostra disposizione, peraltro del II e III secolo al più presto; infatti la più antica in nostro possesso era, sin ad ora, il "Papiro Rylands" dell'anno 120 circa. Prima di pubblicare ho voluto avere ragionevole certezza che proprio di quel documento, citato anticamente da Papia di Gerapoli, Ireneo di Lione ed Eusebio di Cesarea, si trattasse. Sono giunto infine alla conclusione che si tratti davvero di quel vangelo, anzi come si può dedurre dall’analisi testuale, del protovangelo in ordine di stesura. I miei collaboratori si sono chiesti non senza entusiasmo: la Chiesa lo inserirà un giorno nel Nuovo Testamento, portando così a ventotto i libri neotestamentari e, in essi, aumentando a cinque il numero dei vangeli canonici? Personalmente non lo credo: sebbene la sua autenticità sia, a mio parere, provata, resta il fatto che, come si può raccogliere da qualsiasi esperto di Storia della Chiesa, il canone neotestamentario non derivò da proclamazioni di vescovi o di sommi pontefici ma dall’uso, fin dai primi secoli, da parte di tutte le chiese, dei ventisette libri, mentre apocrifi furono e sono universalmente considerati i testi letti solo da alcune di quelle chiese, vale a dire mancanti della cosiddetta “approvazione ecclesiastica” consistente nella convinzione dell’intero popolo cristiano che quei libri accolgono la Parola di Dio. Comunque la scoperta è sicuramente straordinaria, tanto per la Storia del Cristianesimo quanto per i credenti della stessa religione. Anticipo che una gran parte dell’opera fu scritta prima della crocifissione di Cristo. Si può parlare d’un diario tenuto dall’apostolo Levi Matteo. Risulta chiaro dalle parole di questo redattore che, per molto tempo, egli non aveva affatto pensato che Gesú fosse Dio. L'aveva ritenuto un messia politico, di cui aspirava a divenire ministro. Solo nelle ultime parti del libro, stese anni dopo e in cui è testimoniata la risurrezione di Cristo, appare l'illuminazione, e solo allora Matteo definisce il Risorto tanto Dio quanto uomo dal corpo glorioso e spirituale.

      Ho premesso allo scritto un richiamo epigrafico agli antichi testi che forniscono generica notizia di questo perduto e adesso ritrovato evangelo.

      Ho diviso il documento in parti considerando, secondo l’analisi testuale, il probabile ordine di stesura.

      Ho inserito alcune note storico-sociali in calce, ritenendole utili al lettore non specialista.

      P.G.

      

      â€œMatteo raccolse nella lingua dei giudei i detti del Signore e ciascuno li tradusse come era capace”.

      (Lettera di Papia vescovo di Gerapoli, discepolo di un Giovanni – Giovanni l’evangelista? – e morto presumibilmente fra il 120 e il 130 d.C.)

      â€œMatteo scrisse un vangelo presso gli ebrei nella sua lingua materna”.

      (Ireneo di Lione, morto verso il 200 d.C., discepolo di Policarpo di Smirne a sua volta discepolo di Giovanni apostolo: "Adversus haereses")

      â€œSi dice che Panteno andò nelle Indie e pure che trovò ch’era stato preceduto dal vangelo di Matteo presso alcuni indigeni del paese i quali conoscevano Cristo. A costoro Bartolomeo, uno degli apostoli, aveva predicato e lasciato in caratteri ebraici l'opera di Matteo”.

      (Eusebio di Cesarea, morto presumibilmente nel 339 o 340 d.C. "Historia Ecclesiae, V, 9,1; 10,1")

      Mi son prefisso d’annotare i detti e i fatti di Rabbì Gesú1 . Ne ho informato il Maestro, che non s'è mostrato contrario: "So che conosci Torah, Nebi'im e Ketubim2