tarchiato, gli parve per l'appunto uno scudiere, o un famiglio. L'altro, era un bell'uomo tra i trenta e i quaranta, biondo di capegli, dal volto un po' arsiccio, ma bianco di carnagione, di leggiadre fattezze e di nobilissimo aspetto. Anche a non voler badare alla sua cappa di scarlatto verde foderata di vaio e al suo cavallo palafreno, la cui gualdrappa e gli altri arnesi erano filettati d'argento, si capiva ch'egli era un uomo di grande affare, e che mastro Bernardo aveva ragione a notare in lui un'ariona da principe.
–Chi diamine sarà costui?—andava almanaccando tra sè il Bardineto.—Non genovese, perciò non nemico; capitano di ventura nemmanco. Fosse uno del parentado! Ma io li conosco tutti, i signori della lega, e questi mi giunge affatto nuovo alla vista.
Intanto, mastro Bernardo s'era fatto innanzi col suo fiaschetto di vin prelibato e profferiva ai due viaggiatori il bicchier della staffa.
–Grazie!—disse il più giovine accettando il bicchiere e rendendolo dopo avervi a mala pena intinte le labbra.
Non così il Picchiasodo, che, recatosi il bicchiere all'altezza degli occhi, ne contemplò amorosamente il liquido topazio, indi lo accostò alle labbra, ne assaporò un sorso, tornò da capo a guardare, mentre, alla maniera de' buongustai, batteva la lingua contro il palato, e finalmente, arrovesciando gli occhi in segno di beatitudine, mandò giù l'abbeverato e succiò l'orlo del bicchiere per giunta.
–Se tu cominciavi da questo,—diss'egli all'oste nell'atto di restituire il bicchiere,—non si andava più via dall'Altino.
–Eh eh!—rispose mastro Bernardo ridendo.—Per altro, a messer lo conte non è piaciuto.
–A me?—dimandò messer Pietro, vedendo che l'oste accennava a lui.—Anzi, gli è nettare, non vino; ma con quest'amicone non bisogna far troppo a fidanza.
–Con vostra licenza, messere, berrò io le vostre bellezze. Alla salute degli sposi.
E mastro Bernardo, contento di metter le labbra al bicchiere del suo ospite, tracannò il rimanente d'un fiato.
Messer Pietro sorrise, salutò e spinse il cavallo fuori del portone.
Il Picchiasodo spronò a sua volta, e lo seguì sulla strada.
–Costui vi vuol vedovo, messer Pietro;—gli disse frattanto a mezza voce.—Povera madonna Bartolomea!—
A mala pena furono sulla strada i due viaggiatori, il Bardineto si serrò addosso a mastro Bernardo.
–E adesso mi dirai…. Prima di tutto, che andavi tu novellando di sposi?
–Non avete capito?—disse l'ostiere, mentre, levato di pugno al Maso il fiaschetto prezioso, lo andava a riporre nell'armadio.—C'è un matrimonio in aria e quello è lo sposo; il magnifico conte di Cascherano, che si è degnato, bontà sua….
–Sposo! di chi?—interruppe il Bardineto, facendosi bianco nel viso come un cencio lavato.
–Eh, non già di madonna Bannina, nè della mia Rosa, che hanno i loro uomini vivi e sani!
–Ma, alla croce di Dio, parla; di chi?
–Di madonna Nicolosina, perdinci! O che, venite dal mondo della luna?—
A messer Giacomo Pico venian meno le forze, e si offuscava la vista.
–Impossibile!—esclamò egli, con voce soffocata dalla commozione.—Impossibile!
–E perchè mo'? A San Nicola fa i diecisette, quantunque, a dir vero, mi paia che la sia nata ier l'altro. Ma, pur troppo, i giorni passano e gli anni van di conserva. O che? l'avrebbe da starsene a spulciare il gatto? È bella, è savia, è di nobil casato; e qui, con nostra buona pace, non c'è nessuno per lei. Al Fregoso, quantunque doge, non l'hanno voluta mostrare nemmeno dal buco della toppa; e' bisognava dunque far capo più lunge; a Cascherano, verbi grazia. Cascherano! bel nome! E lo sposo n'ha un altro, per giunta alla derrata; ma ora e' non mi vien sulle dita.—
Il Bardineto sudava freddo, e per un tratto non aveva potuto aprir bocca.
–Ma come sai tutto ciò, che io ignoro affatto?….
–Eh, lo capisco? se voi andate a fare l'ambasciatore! Da quanto tempo mancate?
–Da due settimane; cioè a dire, da quando è partito l'ultimo oratore dei Genovesi, messere Ambrosio Senarega. Sono stato a Cosseria, a Millesimo, a Cortemiglia, a Ponzone; ho dato infine una scorsa a tutte le castella delle Langhe.
–Orbene, e in questo mezzo s'è accozzato il negozio. Io sono stato il primo ad averne fumo, in paese. Sapete pure, messer Giacomino; madonna Bannina, che Iddio la prosperi sempre, n'ha fatto un cenno alla Gilda. La Gilda l'ha rifischiato a sua zia; e sua zia, che è poi nostra moglie, indegnamente, l'ha rapportato a me, com'era debito suo. Ma ora che ci penso, badate, gli era un segreto da tener sotto chiave, e voi da me non sapete nulla, intendiamoci; io non ho fiatato, acqua in bocca! me lo promettete?—
Messer Giacomo Pico non gli dava più retta; uscito in sull'aia, aveva infilato il portone, e via come una saetta.
–Ehi, dico, messer Giacomino, vi prego, non mi fate pasticci!—andava gridando l'ostiere.—Che diamine! ci ha il fuoco alle calcagna. E perchè mo'? Quella notizia l'ha messo fuori dei gangheri. Egli forse…. cotto di madonna Nicolosina? Eh, non mi farebbe meraviglia; la donna è un certo guaio! Quando t'ha fatto perdere il lume degli occhi, non badi più se la è imperatrice o villana. Orvia, se la è così, un bel malanno l'ho fatto! Ma già, maledetta lingua! La Rosa me lo dice spesso, che non so tenermela a freno! E poi? che male c'è? Tanto e tanto s'aveva a sapere. Il Cascherano non è forse arrivato? E come l'avranno a battezzare, quando capiterà al castello e farà il su' inchino alla sposa? Andiamo, via; delle mie ragazzate, non è questa la peggio.—
Con questo po' di sollievo, mastro Bernardo si ritirò nella sua tenda, dove noi lo lasceremo ad aspettare gli avventori quotidiani, men nobili o meno degni della nostra attenzione.
Il Bardineto, con quel passo che ho detto, s'era avviato verso il Borgo. Giunto alla porta di san Biagio, varcò il ponte levatoio gittato sul torrente dell'Aquila, ed entrò sotto l'androne, dov'era scolpito in marmo il carretto, tirato da due leoni aggiogati, con suvvi lo scudo listato a fascie diagonali d'argento in campo rosso.
Per la prima volta, guardando quella insegna de' suoi signori, l'occhiata fu torva. Egli per fermo non se ne addiede, non n'ebbe coscienza; ma fu torva la sua guardatura, piena di stizza, se non forse di mal talento e di rabbia.
Ah! diceva quell'occhiata; sposa Nicolosina ad un altro! Era forse quella la ricompensa che egli si riprometteva de' suoi fedeli servigi? Non già che l'attendesse; non già che l'avesse per suo certo diritto! Ma egli, adolescente, quasi fanciullo, era venuto alla corte del Finaro, come donzello del marchese Galeotto, e da lui tenuto in conto di figlio. Vassalli erano i Pico, ma pur sempre i primi di Bardineto; questo sentivano di sè medesimi, e l'onesta alterezza del casato erasi accresciuta nell'animo del giovinetto, per quel suo lungo vivere in corte, dimestico ai grandi, per modo da parergli non pure di essere uno dei loro, ma di non essere stato mai altro. E un bel giorno i vincoli della consuetudine s'erano ristretti anche più, per aver egli campato il marchese dalle mani dei genovesi, che in uno scontro di pochi anni addietro già l'avean posto a mal partito, sui monti alle spalle di Albenga.
E al suo ritorno in corte, che era egli mai avvenuto? Lui audacissimo tra i migliori del Finaro, lui salvator suo e primo sostegno della sua casa, celebrava il marchese; però, tra le lodi e i plausi universali, madonna Bannina, la virtuosa castellana, o la sua lieta figliuolanza, gli aveano fatto gran festa. Nicolosina, l'ultima nata, ricciutella innocente, gli si era sospesa al collo e gli aveva coperto di baci il volto abbronzato dal sole dei campi. Bambinesco era l'atto, e naturale in quel punto; pure l'aveva commosso più che ogni altra dimostrazione d'affetto e di gratitudine de' suoi signori più innoltrati negli anni.
Nè quelle infantili carezze erano state le sole. Da quel dì, la bionda fanciullina non ebbe amico più caro del suo Giacomo; lui aspettava ansiosa; lui sgridava, se tardo a giungere per aver parte a' suoi giuochi; lui abbracciava; a lui scompigliava con vezzo fanciullesco le chiome, più che non avessero fatto le aure dell'Appennino; e i parenti a ridere, a compiacersi di quelle tenerezze, in cui non pure vedevano, ma eziandio caldeggiavano una