guida.
«En partant de la cabane Mannelli (Italie) nous atteignîmes le Roseg-Fuorcla (Güssfeldt-Sattel) d’ou nous exécutâmes une nouvelle ascension du M. Scerscen, en suivant plus ou moins la grande arête jusqu’à la «Schreckhaube» et de là, sans plus nous éloigner de l’arête, jusqu’au sommet du Scerscen. La descente devait s’effectuer par le versant suisse. Pendant 4 heures consécutives E. Rey a dû couper des grandes marches pour frayer un chemin dans ce mur de glace, qui sépare les parties supérieures de la montagne de l’arête inférieure; celle-ci était toute couverte de neige et nous devions la descendre pendant les premières trois heures de la nuit. La descente entière a duré depuis 1 heure p.m. (22 sept.) jusqu’à 4 heures a.m. (23 sept.), et seulement 24 heures après avoir quitté la cabane italienne, nous arrivions au Restaurant Roseg. C’est a l’exceptionelle adresse de Rey et à son courage à toute épreuve que nous devons la réussite complète de notre tentative un peu hasardée. Il est de mon devoir de professer tout haut l’admiration que j’ai pour les qualités extraordinaires d’Émile Rey».
Tale è il primo attestato rilasciato dal Güssfeldt al Rey, che divenne, d’allora in poi, la sua guida prediletta, accompagnandolo, come vedremo, ad azzardatissime esplorazioni. Fu il Güssfeldt che fece conoscere il nome di Emilio a S. M. l’Imperatore di Germania, il quale da lui sarebbe stato guidato sulle montagne scandinave se la politica, quella gran brutta megera, non fosse venuta a sventare il progetto.
Al primo accostarsi ad una guida conosciuta e di fama, restiamo titubanti, affascinati da un’ingenua soggezione che ci fa sembrare quasi ragazzi. Questa sensazione di rimpicciolimento, che svapora il nostro giustificato orgoglio di parer superiori a quegli uomini rozzi, ma pur grandi, non la provarono soltanto gli alpinisti «à l’eau de rose», ma i più valenti e provetti. Spigolando l’epistolario di Emilio Rey, trovo alcuni brani di lettere che meriterebbero di essere trascritti testualmente, perchè farebbero vieppiù risaltare la considerazione che di Emilio si aveva nel mondo alpino.
Così il dott. Güssfeldt nel sollecitargli il favore di accompagnarlo, ebbe cura di aggiungere: «J’ai assez d’expérience dans les hautes montagnes, pour pouvoir apprécier vos qualités extraordinaires, et vous pouvez être sûr que je vous causerai peu d’embarras, même dans des situation difficiles».
Tutti poi badavano di notificargli il loro stato di servizio e a che punto giungeva la loro forza di resistenza, perchè sapevano che il Rey ripugnava di accompagnarsi, in salite difficili, con neofiti in alpinismo. Ma torniamo in carreggiata.
Verso la fine di dicembre del 1887 i signori Corradino, Gaudenzio, Erminio e Vittorio Sella, accompagnati dai tre Maquignaz, padre e figli, e da Serafino Henry di Courmayeur, tentavano il M. Bianco, partendo dalla Capanna Q. Sella al Rocher du Mont Blanc. Furono ricacciati in basso dallo scatenarsi improvviso di una tormenta. Non iscoraggiti da questo tiro birbone del tempo, al mattino del 4 gennaio 1888 ritentavano la prova, nella speranza che il Monte li volesse benignamente ricevere per augurargli il buon capo d’anno. Invece di Henry, questa volta colla comitiva Sella, partiva Emilio Rey.
È superfluo ripetere qui tutte le peripezie della faticosissima marcia del 5 gennaio, nella quale, partiti dal rifugio Q. Sella, raggiungevano la vetta e discendevamo a pernottare ai Grands-Mulets. Il sovrano dei monti li accolse con un sorriso mefistofelico, ed appena partiti prese il broncio e li avvolse di una fitta nebbia. Però aveva fatto i conti senza la valentia delle guide, chè queste non se la presero, e trassero la comitiva a salvamento malgrado l’oscurità della notte e la molestia del freddo e della pesante nuvolaglia.—«Sotto l’ultima delle Bosses du Dromadaire il Rey, con Daniele Maquignaz e Vittorio Sella, intraprese rapidamente la discesa ai Grands-Mulets, onde tracciare la via verso essi, al resto della comitiva. La notte buia e la nebbia sorpresero tosto il Rey ed i suoi due compagni. Egli tuttavia seppe dirigere la discesa con coraggio ed abilità sorprendenti, superando senza gravi ritardi le numerose difficoltà che presentarono i larghi crepacci del ghiacciaio e raggiungendo i Grands-Mulets verso le 10 della sera5».
Questa ascensione invernale al M. Bianco fu giudicata dal Cunningham come uno dei più rimarchevoli «tour de force» compiti in inverno nell’alta montagna.
Così fu brillantemente inaugurato l’anno 1888, che l’avrebbe coronato dei più fulgidi allori, se circostanze imprevedibili non fossero sopraggiunte ad annientare gli accarezzati ideali. Forse doveva riuscirgli fatale. Che a qualche cosa «malheur est bon?»
Rey desiderava ardentemente misurarsi su montagne sconosciute, fuori delle Alpi; e quando il sig. Maurice de Déchy lo richiese per accompagnarlo nel Caucaso, accolse la proposta con entusiasmo. A questo proposito, mi scrisse lo stesso Déchy: «Il n’y avait là dedans peu d’intérets materiels; c’était le désir ardent d’Émile de voir et d’essayer ses forces dans une des montagnes hors de l’Europe».
Siccome il sig. Déchy aveva, in quell’epoca, una missione da compiere pel suo governo nella Bosnia e nella Erzegòvina, decise d’intraprendere quel viaggio in principio della stagione, restarvi qualche settimana e partire quindi pel Caucaso. Egli invitò il Rey ad essergli compagno anche nelle Alpi Dinariche. Emilio anticipava perciò la partenza e verso la fine del maggio del 1888 giungeva a Budapest in casa Déchy. Terminati i preparativi pel viaggio nel Caucaso, partirono per Sarajevo nella Bosnia. Per quasi due mesi percorsero quelle montagne poco conosciute, compiendovi diverse ascensioni, fra le quali, quelle del Vlasulja e del Maglich che è punto culminante delle Alpi di Bosnia ed Erzegovina. «Rey era guida, compagno, assistente. Non vi erano grandi difficoltà da vincere in quelle ascensioni, ma se non era «le grand guide» che allora si faceva valere, era però il viaggiatore perfetto che sapeva prestarsi a delle posizioni insolite, rendersi utile nei lavori scientifici e sopratutto di essere il più gradevole compagno di viaggio».
«Eh bien! Monsieur—esclamava allora al Déchy—si nous serons au Caucase, sur ces grands sommets, parmi les roches et la glace, vous verrez ce que je peux, s’il le faut!»
Ma ohimè! Così non doveva essere. La missione del Déchy terminavasi troppo tardi per poter intraprendere nello stesso anno il viaggio nel Caucaso. D’altronde Rey era impegnato per la fine di luglio con Miss Richardson e non voleva mancare alla parola data. In seguito il sig. Déchy non trovò mai il tempo per compiere il suo progettato viaggio; ma se l’avesse intrapreso, avrebbe certamente scelto Rey come compagno, e questi sarebbe accorso premurosamente.
Era disegno del Déchy, appena fossero giunti nel Caucaso, di tentare la salita del Dychtau (il Cervino di quella colossale catena—oggi Koshtantau). Chi sa, se la sorte toccata ai signori Donkin e W. Fox, non li aspettasse anche loro?
«Non, c’est dans ses montagnes, à lui, qu’Émile Rey devait mourir. Mais s’il a accompli le mieux dans les Alpes, le voyage qu’il avait fait avec moi hors de son domaine, le montrait voyageur accompli, l’homme qui savait partout gagner les sympathies». Così termina l’epistola del sig. Déchy, colma di effusione di tenera riconoscenza e di ammirazione per la diletta sua guida Emilio Rey. Verso quest’uomo, unico nella modesta sua professione, in tali sensi si esprimono anche i Cunningham, i Güssfeldt, le Richardson e la numerosa falange degli amici che con lui ebbero relazioni o conoscenza! Solo ora che non è più, notiamo il grande vuoto che lascia dietro di sè.
Ritornato nel suo Monte Bianco a raggiungere Miss Richardson, compiva con la medesima, fra l’altre, la prima ascensione dell’Aiguille de Bionnassay, per la cresta Sud. Nella discesa, che effettuarono per la cresta Est, dovettero procedere per più di un’ora, a cavalcioni sulla stessa, foggiata a lama di coltello e sorpiombante sui sottostanti ghiacciai. Qual deliziosa passeggiata abbiano fatta, su quell’esilissima ed affilata cornice di ghiaccio, lasciamo immaginare al lettore! Peccato che giunti al Dôme du Goûter non abbiano rivolti i loro passi verso il Monte Bianco; così creavano una novella strada per quella somma vetta.
Con la stessa valente alpinista nel 1889 saliva l’Aiguille de la Za per la faccia Ovest, la Pigne d’Arolla pel versante Nord-Est, e la traversata dal Petit al Grand Dru, già menzionata. In settembre faceva la prima ascensione del Dôme de Rochefort col sig. W. Muir.
In principio dell’estate 1890 Emilio era a Grindelvald con la Richardson che guidò al Mettenberg, alla Jungfrau, al Beichgrat.