da giovinotto, ci raccontava in questi anni, nel giungere su una prominenza, su una vetta qualunque, egli si sentiva invaso da un «bien aise» insolito e come purificato da ogni sozzura terrestre in quell’ambiente aereo e vivificante; e rimaneva lunghe ore estatico ad ammirare le bianche guglie delle montagne circostanti, sulle quali avrebbe bramato volare onde abbracciare un più vasto orizzonte.
All’età di 22 anni, nel 1868, cominciò il suo tirocinio di guida. Poco notevoli furono le corse compite nei primi tempi della sua carriera, limitandosi a poche vette del suo paese e della valle, ascensioni e passaggi riputati al giorno d’oggi come volgari, ma in quei tempi ritenuti scabrosi. Denotava, fin d’allora, di diventare un’eccellente guida.
Nel 1875 accompagnava l’ing. Angelo Genolini in un tentativo al Dente del Gigante, ripetuto poi due anni dopo con lord Wentworth e l’avv. De Filippi. A proposito di questa bizzarra vetta, insensibile alla assidua corte che le faceva un numeroso stuolo di ammiratori, a quanto mi riferiscono altre guide militanti allora, Emilio fiutava la possibilità di domarla, però non escludendo mezzi meccanici.
Fu solamente nel 1876 che il Rey cominciò a distinguersi fra i colleghi per quello che era. Venne impegnato per parecchio tempo da lord Wentworth, col quale salì le Grandes-Jorasses, il Castor, lo Strahlhorn, il Riffelhorn dal ghiacciaio di Gorner, più un tentativo sull’Aiguille Verte dai châlets di L’Ognan. Se non era per l’indisposizione di due guide, che si ammalarono quando già trovavansi vicino alla meta, quella sarebbe stata una vittoria del Rey. Egli tenne la testa della carovana per tutto il tempo e si distinse talmente che il Wentworth lo classificò tra gli arrampicatori di prim’ordine.
L’anno successivo guidò lo stesso alpinista in una serie d’importanti imprese, fra cui ascensioni di picchi vergini, quali l’Aiguille Noire de Pétéret e la Punta Giordano dei Jumeaux. Per vie nuove salì il Gran Paradiso dal ghiacciaio della Tribolazione, e la Grìvola, con una variante, da Valsavaranche. Fu pure all’Aiguille de Rochefort (seconda ascensione), ai Jumeaux, ed al Cervino, da Zermatt al Breuil, col quale faceva la prima volta conoscenza.
Il valente alpinista inglese scrisse belle pagine sul libretto di Emilio, gentile preludio di altre non meno piene di ammirazione per le sue eccezionali qualità. Lord Wentworth lo dichiarò abilissimo e forte alpinista, possessore di un tatto speciale per orientarsi in mezzo ai frangenti i più difficili.
A proposito di questo intuito delle guide, che istintivamente sanno afferrar subito il lato debole della montagna, propendo che esso consista non già nell’istinto naturale del montanaro, ma bensì nell’acquisita esperienza e profonda osservazione. Allorchè nel 1886, assieme alla guida François Simond, Emilio accompagnava il sig. H. Dunod alla Meije, non la conoscevano nè gli uni nè gli altri, «mais, sans hésitation, il devina si facilement l’issue des passages délicats, qu’ils détinrent pendant longtemps le récord de la vitesse». Partiti dal Châtelleret, compivano l’ascensione con passaggio della «Brêche» e scendevano a La Grave in sole 16 ore!3
Nel 1878 Emilio veniva a stringere relazione col Monte Rosa guidando alla Punta Dufour il dott. Theodor Petersen, allora presidente del Club Alpino Tedesco-Austriaco.
Dal 18 agosto a metà settembre del 1879, il Rey fu ritenuto da J. Baumann, che assieme al sig. J. O. Maund gli crearono una aureola di notorietà. A partire da questo tempo, tutti i più festeggiati alpinisti andarono a gara per averlo compagno e guida nelle loro escursioni. In quell’anno compiva, coi signori J. Baumann, G. Fitz Gerald e F. J. Cullinan, la prima ascensione dell’Aiguille di Talêfre, e della Dent d’Hérens per la cresta che dal Tiefenmattenjoch conduce alla sommità. Faceva pure le seconde ascensioni del Grand Dru, e del Cervino per la cresta di Zmutt, pochi giorni dopo il sig. Mummery colla guida Alexander Burgener. Per questa via, doveva pure accompagnare ultimamente a quel colosso S. A. R. il Duca degli Abruzzi, se il tempo non fosse venuto, quand’egli era ancor libero, a «gâter le jeu».
Sempre con J. Baumann, nel 1880 tentò l’Aiguille du Plan dal ghiacciaio di Blaitière. Questa vetta fu poi soggiogata poco dopo, dalla parte opposta compiendovi la seconda ascensione. Nella gita suddetta il Rey aveva compagno Andreas Maurer, col quale era amicissimo e doveva in seguito misurarsi sui picchi più ardui delle Alpi.
Nell’anno medesimo, con Georg Gruber esplorava il fianco meridionale del Monte Bianco, scoprendo il Colle du Fresnay (una sella nevosa che unisce l’Innominata alla parete rocciosa sostenente l’immane cupola del colosso alpino) e riuscendo sulla suprema vetta, direttamente dal ghiacciaio di Fresnay, variando nel percorso la strada tenuta nel 1877 da J. Eccles con Alphonse Payot. Questa ardita esplorazione gli fu di valido aiuto, come vedremo in seguito, nelle due ascensioni alla terribile Aiguille Bianche de Pétéret. Con lo stesso alpinista, nell’anno successivo, perveniva sul Monte Bianco dal ghiacciaio della Brenva e pel Corridor (14 luglio) e scopriva un nuovo passaggio nel gruppo del Triolet, il Col du Piolet, così denominato perchè dovettero abbandonare una piccozza alla quale avevano assicurato una corda onde scendere sul versante di Chamonix. La prima di queste escursioni non fu mai più ripetuta, sia perchè è pericolosissima per la caduta di blocchi di ghiaccio, sia anche perchè la cresta per la quale salirono al Colle della Brenva, non è sempre praticabile per il vetrato ricoprente le roccie.
Nel 1881 con J. Baumann, il Rey fece un tentativo arditissimo sull’Eiger, per la cresta di Mitteleggi. Chi non conosce quella montagna, non può farsi un’idea di questo «tour de force» eccezionale, per la quasi assoluta verticalità della parete. A proposito di questa azzardatissima impresa, l’alpinista isolano scrisse le seguenti testuali parole sul libretto di Emilio per compensarlo, in certo qual modo, dell’insuccesso, non dovuto già all’imperizia della guida, ma all’impraticabilità del sito. «Rey solo e senza essere legato, contornando un masso difficile e sporgente, proseguendo lungo la cresta, riuscì ad arrivare a un punto sino allora inesplorato.» Pochi giorni dopo però, l’Eiger veniva salito dalla stessa comitiva per la solita via. In quell’anno, con Andreas Maurer, Emilio guidò il Baumann ed il Maund, alla prima ascensione del Grosser Lauteraarhorn dal versante occidentale; e più tardi guidò il sig. Moritz von Déchy all’Aiguille Verte.—«L’ascension de l’Aiguille Verte était accomplie aprés une sévère chûte de neige, sous des circostances très difficiles et défavorables. J’avais eu l’occasion de voir Rey au travail et depuis j’ai souvent pensé de faire avec lui un voyage lointain, dans une des chaînes de montagnes hors de l’Europe».—Così si esprime il signor Déchy in una gentilissima epistola direttami a proposito di Rey. E più oltre, pensando sulla misera fine dei suoi due compagni di viaggio, esclama: «Hélas! tous les deux sont maintenant morts, tous les deux tombés sur leur champ de gloire!»—Che fatale sorte fu serbata a questi due valorosi militi dell’alpinismo! Ha qualche cosa di fatidico, questo destino delle guide, che non vale però a diminuire il loro entusiasmo per la montagna e l’intrepidezza con la quale affrontano i pericoli maggiori.
Nella primavera del 1895 parlando con Emilio Rey, gli domandavo perchè oramai non si concedesse riposo, dacchè si era acquistato, con la sua attività, un’avviata agiatezza. Con la solita franchezza, Egli mi rispose: «Ce n’est pas le gain qui me pousse sur les sommets, c’est la grande passion que j’ai pour la montagne. J’ai toujours considéré la récompense comme chose secondaire à ma vie de guide.» Poi soggiunse inspirato da chi sa quali presentimenti: «Je sens, je prévois qu’un jour ou l’autre, on me recueillera dans une crevasse: ce ne sera point le danger qui m’aura tué, mais un caprice de la montagne. Je l’ai trop aimée et vaincue pour qu’elle ne se venge pas sur moi!»—Chi allora prevedeva che questi pronostici su sè stesso, si avverassero in pochi mesi? Povero Emilio!
Rey aveva una facoltà tutta sua propria per cattivarsi, a prima vista, delle simpatie. Anche fra i profani in alpinismo contava degli ammiratori e degli amici. In montagna non solo riusciva utile e gradito compagno, ma sapeva prevenire e soddisfare tutti i minimi desideri del viaggiatore, rassicurarlo nei momenti incerti, suscitargli il coraggio e la forza per vincere e l’entusiasmo per la vittoria. È per questo infatti che tutti gli alpinisti da lui guidati lo veneravano come un maestro e lo amavano come un amico, è per questo che lo volevano sempre con loro e lo richiedevano di accompagnarli, come d’un favore, nelle loro più arrischiate escursioni. Non stupisca dunque se un alpinista come il sig. Déchy, riconoscesse nel Rey, in