e Godfrey si guardarono.
“L’hai visto almeno?” insistette Godfrey.
Steffen scosse la testa.
“Ma prima hai parlato di un pugnale. Come fai a sapere che si trattava di un pugnale se non l’hai visto?” chiese Gwen. Era certa che stesse mentendo, solo non sapeva perché.
Steffen si schiarì la voce.
“Ho detto così perché ho immaginato che si trattasse di un pugnale,” rispose. “Era piccolo e di metallo. Cos’altro poteva essere?”
“Ma hai controllato il fondo della vasca?” chiese Godfrey. “Dopo averla svuotata? Magari è ancora nella vasca, sul fondo.”
Steffen scosse la testa.
“Ho controllato il fondo,” rispose. “Lo faccio sempre. Non c’era niente. Vuoto. Qualsiasi cosa fosse, è stato portato via. L’ho visto galleggiare via.”
“Se era di metallo come faceva a galleggiare?” chiese Gwen.
Steffen si schiarì la voce e poi scrollò le spalle.
“Il fiume è misterioso,” rispose. “Le correnti sono forti.”
Gwen e Godfrey si scambiarono uno sguardo scettico, e lei capì dalla sua espressione che neanche lui credeva a Steffen.
Gwen era sempre più impaziente. Ora si sentiva anche confusa. Solo pochi istanti prima Steffen era sul punto di raccontare loro ogni cosa, gliel’aveva promesso. Ma sembrava che avesse improvvisamente cambiato idea.
Gwen gli si avvicinò di un passo e si accigliò, convinta che quell’uomo avesse qualcosa da nascondere.
Fece la faccia più dura di cui fosse capace e percepì la forza di suo padre scorrerle nelle vene. Era determinata a scoprire tutto ciò che Steffen poteva sapere, soprattutto se questo l’avesse aiutata a trovare l’assassino di suo padre.
“Stai mentendo,” disse, la voce fredda come l’acciaio, una forza tale da sorprendere lei stessa. “Sai qual è la punizione per aver mentito a un membro della famiglia reale?”
Steffen si strofinò con forza le mani e quasi fece un salto, guardandola un solo istante e poi distogliendo subito lo sguardo.
“Mi spiace,” disse. “Mi spiace. Per favore, non ho nient’altro.”
“Poco fa ci hai chiesto se ti avremmo risparmiato la prigione se ci avessi raccontato ciò che sapevi,” disse. “Ma non ci hai detto nulla. Perché fare una domanda del genere se non c’era niente da raccontare?”
Steffen si leccò le labbra, guardando fisso il pavimento.
“Io… io… ehm,” iniziò, ma poi si fermò. Si schiarì la voce. “Ero preoccupato… temevo che sarei finito nei casini per non aver detto prima che un oggetto era caduto dallo scolo. Tutto qui. Mi spiace. Non so cosa fosse. È sparito.”
Gwen socchiuse gli occhi, fissandolo e cercando di capirlo pienamente.
“Cos’è successo esattamente al tuo padrone?” gli chiese, non volendolo liberare da quella pressione. “Ci hanno detto che è sparito. E che tu c’entri qualcosa.”
Steffen scosse la testa ripetutamente.
“Se n’è andato,” rispose. “È tutto ciò che so. Mi spiace. Non so niente che vi possa essere d’aiuto.”
Improvvisamente si udì un forte rumore di liquidi che si riversavano, e tutti si voltarono a guardare i liquami che scendevano dallo scolo e atterravano rumorosamente nel grande pozzo nero. Anche Steffen si voltò ed attraversò di corsa la stanza dirigendosi verso la vasca. Si mise accanto ad essa e la osservò mentre si riempiva dei rifiuti provenienti dalle stanze dei piani superiori.
Gwen e Godfrey si scambiarono uno sguardo. Erano entrambi confusi.
“Qualsiasi cosa stia nascondendo,” disse Gwen, “non si arrenderà.”
“Potremmo faro imprigionare,” disse Godfrey. “Forse questo lo convincerebbe a parlare.”
Gwen scosse la testa.
“Non credo. Non un tipo così. È evidente che ha una paura folle. Penso centri con il suo padrone. È chiaramente combattuto su qualcosa, e non penso che abbia a che fare con la morte di nostro padre. Penso sappia qualcosa che potrebbe aiutarci, ma ho la sensazione che metterlo alle strette lo farebbe solo tacere ancora di più.”
“E allora cosa dovremmo fare?” chiese Godfrey.
Gwen rifletté. Ricordava un amico, quando era piccola, che era stato una volta scoperto a mentire. Ricordava che i suoi genitori avevano fatto pressione su di lei in ogni modo per farle dire la verità, ma lei non si era piegata. Solo settimane dopo, quando tutti avevano deciso di lasciarla finalmente in pace, lei si era fatta avanti di propria volontà e aveva rivelato tutto. Gwen percepiva lo stesso genere di energia provenire da Steffen, e pensava quindi che metterlo alle strette gli avrebbe solo chiuso la bocca. Aveva bisogno di spazio per farsi avanti da solo.
“Diamogli tempo,” disse. “Cerchiamo da qualche altra parte. Vediamo cosa riusciamo a trovare e torniamo da lui quando abbiamo più dettagli. Credo che si aprirà. Solo non è pronto ora.”
Gwen si voltò a guardarlo mentre dall’altra parte della stanza controllava i liquami che riempivano la vasca. Si sentiva sicura che li avrebbe condotti dall’assassino di suo padre. Solo non sapeva come. Si chiese quali segreti si celassero nei meandri della mente di quell’uomo.
Era un tipo strano, pensò Gwen. Proprio strano.
CAPITOLO QUATTRO
Thor tentava di respirare mentre cercava di levare l’acqua che gli copriva gli occhi, il naso, la bocca, e che continuava a scrosciare tutt’attorno a lui. Dopo essere scivolato dall’altra parte della nave era riuscito alla fine ad aggrapparsi al parapetto di legno e vi si teneva stretto con tutte le forze mentre quella pioggia inarrestabile cercava di fargli allentare la presa. Ogni singolo muscolo del suo corpo tremava e non sapeva quanto a lungo avrebbe potuto resistere.
Tutt’attorno a lui i suoi compagni facevano lo stesso, disperatamente aggrappati a qualsiasi cosa potessero trovare mentre l’acqua tentava di spingerli fuori dalla barca. In qualche modo resistettero.
Il frastuono era assordante, ed era difficile vedere a più di un metro davanti a sé. Nonostante la calda giornata estiva, la pioggia era fredda e l’acqua dava al suo corpo una sensazione di gelo impossibile da scrollarsi di dosso. Kolk era in piedi, le mani sui fianchi come indifferente al muro di pioggia e gridava in ogni direzione.
“TORNATE AI VOSTRI POSTI!” urlò. “REMATE!”
Kolk stesso si sedette e iniziò a remare, e nel giro di pochi istanti i ragazzi scivolarono e strisciarono sul ponte, diretti verso le loro postazioni. Il cuore di Thor batteva a mille mentre avanzava lui stesso, combattendo per attraversare il ponte. Krohn, dentro la sua camicia, piagnucolò quando Thor scivolò e cadde, atterrando pesantemente sul ponte.
Proseguì strisciando e presto si ritrovò al suo posto.
“LEGATEVI!” gridò Kolk.
Thor abbassò lo sguardo e vide le funi nodose che si trovavano accanto alla sua panca, capendo finalmente a cosa servissero: se ne annodò una attorno al polso, assicurandosi così alla panca e al remo.
Funzionò. Smise di scivolare. E presto fu in grado di remare.
Tutt’attorno a lui anche gli altri ragazzi si rimisero a remare, Reece seduto davanti a lui, e Thor poté sentire che la barca si rimetteva in movimento. Nel giro di pochi minuti il muro di pioggia smise di essere così battente.
Mentre continuava a remare, la pelle bruciante a causa di quella strana pioggia e ogni muscolo del corpo dolorante, finalmente il suono della pioggia iniziò a placarsi, e Thor cominciò a sentire che una quantità minore di pioggia gli cadeva sulla testa. Dopo pochi altri momenti si ritrovarono sotto un bel cielo illuminato dal sole.
Thor si guardò in giro scioccato: non pioveva per niente, tutto era luminoso.