qualcosa che tutti i cavalieri in armatura scintillante non avrebbero mai avuto. Loro erano al di sopra di tutto e Godfrey li ammirava per questo. Ma si rendeva anche conto che c’era un certo vantaggio a stare più in basso. Gli dava una diversa prospettiva sull’umanità e a volte c’era bisogno di entrambe le prospettive per comprendere la gente appieno. Dopotutto i più grandi errori che il re aveva fatto erano sempre stati generati dalla mancanza di contatto con la gente comune.
“Questi McCloud sanno come si beve,” disse Akorth.
“Non deludono per niente,” aggiunse Fulton mentre due altri boccali venivano fatti scivolare sul tavolo davanti a loro.
“Questa birra è troppo forte,” disse Akorth, ruttando sonoramente.
“Non sento per niente la mancanza della nostra madrepatria,” aggiunse Fulton.
Godfrey sentì un colpo alle costole e sollevando lo sguardo vide alcuni uomini dei McCloud che iniziavano a ondeggiare troppo forte, a gridare con voce troppo alta, ubriachi mentre coccolavano le loro donne. Capiva che quei McCloud erano ben più oltre il loro limite rispetto ai MacGil. I MacGil erano grezzi, ma i McCloud… c’era qualcosa in loro, qualcosa che dava a vedere una mancanza di civiltà. Mentre osservava la stanza con occhio esperto, Godfrey vide che i McCloud tenevano le loro donne un po’ troppo strette, che sbattevano i boccali un po’ troppo forte, che si davano gomitate un po’ troppo violentemente. C’era qualcosa in quegli uomini che faceva stare Godfrey in tensione, nonostante tutti i giorni trascorsi tra loro. In qualche modo non si fidava pienamente di quella gente. E più tempo trascorreva con loro, più iniziava a capire perché le due famiglie fossero così divise. Si chiese se potessero realmente essere unite un giorno.
Il bere raggiunse il suo picco e altri boccali vennero fatti passare tra la gente, il doppio di prima, e i McCloud non si arrestavano come generalmente i soldati facevano giunti a quel punto. Bevevano invece addirittura di più, addirittura troppo. Godfrey stava iniziando a sentirsi nervoso.
“Pensi che un uomo possa mai bere così tanto?” chiese Godfrey ad Akorth.
Akorth ridacchiò.
“Domanda sacrilega!” disse con superficialità.
“Cosa ti prende?” chiese Fulton.
Ma Godfrey era molto attento mentre un McCloud, ubriaco a tal punto, andò ad inciampare contro dei compagni facendoli cadere a terra.
Per un secondo ci fu una pausa e tutti si voltarono a guardare il gruppo di soldati al suolo.
Ma poi i soldati balzarono di nuovo in piedi, gridando e ridendo, esultando e – con sollievo di Godfrey – i festeggiamenti proseguirono.
“Direste che ne hanno avuto abbastanza?” chiese Godfrey iniziando a domandarsi se quella fosse stata una cattiva idea.
Akorth lo guardò con occhi vacui.
“Abbastanza?” chiese. “Esiste una cosa del genere?”
Godfrey notò che anche lui biascicava mentre parlava e che la sua mente non era pronta e reattiva come avrebbe voluto. Eppure iniziava a percepire che qualcosa stava cambiando nella stanza, come se le cose non stessero andando come avrebbero dovuto. Era tutto un po’ troppo, come se la gente là dentro avesse in parte perso il senso del controllo.
“Non toccarla!” gridò improvvisamente qualcuno. “È mia!”
Il tono di quella voce era cupo, pericoloso, e squarciò l’aria facendo voltare Godfrey.
Dalla parte opposta della sala un MacGil si alzò in piedi, con il petto in fuori, litigando con un McCloud. Il McCloud aveva afferrato e tirato a sé una donna che sedeva in grembo al MacGil.
“Era tua! Adesso è mia! Va’ a trovartene un’altra!
L’espressione del MacGil si fece più cupa e l’uomo sguainò la spada. Il caratteristico suono metallico risuonò nella stanza e tutti si voltarono.
“Ho detto che è mia!” gridò.
Aveva il volto rosso, i capelli impiastricciati di sudore e tutti nella stanza guardavano la scena attirati da quel tono truce.
Tutto si fermò improvvisamente e calò il silenzio mentre entrambe le parti osservavano immobili. Il McCloud, un uomo grosso e nerboruto guardò l’avversario con sguardo torvo, prese la donna e la scagliò con impeto dalla parte opposta. La malcapitata volò tra la folla, inciampando e cadendo a terra.
Al McCloud chiaramente non interessava della donna, ora era ovvio che lo spargimento di sangue era ciò che desiderava veramente.
Il McCloud sguainò la spada e si preparò all’attacco.
“Dovrai passare sul mio corpo per averla!” disse.
I soldati da entrambe le parti si allargarono, facendo spazio perché i due potessero combattere. Godfrey notò che tutti erano tesi. Sapeva che doveva fermare tutto prima che si trasformasse in una guerra vera e propria.
Godfrey saltò sul tavolo, scivolando tra boccali di birra, si fece strada attraversando al sala e corse dove si trovavano i due contendenti allargando le braccia per tenerli a bada.
“Uomini!” gridò con voce biascicante. Cercava di rimanere concentrato e di costringere la sua mente a pensare chiaramente. Si pentì sinceramente di aver bevuto così tanto.
“Siamo tutti uomini qui!” gridò. “Siamo tutti un unico popolo! Un esercito! Non c’è bisogno di un duello! Ci sono un sacco di donne in giro. Nessuno di voi voleva fare un torto all’altro!”
Godfrey si voltò verso il MacGil che stava lì fermo, torvo, con la spada in mano.
“Se mi porgerà le sue scuse, le accetterò,” disse il MacGil.
Il McCloud rimase fermo, confuso. Poi improvvisamente la sua espressione si ammorbidì e sorrise.
“E allora mi scuso!” gridò, porgendo la mano sinistra.
Godfrey si fece da parte e il MacGil prese la mano in modo incerto.
Ma quando lo fece, il McCloud strinse e tirò l’uomo verso di sé, sollevò la spada e lo trafisse dritto al petto.
“Mi scuso,” aggiunse, “per non averti ucciso prima! Schifoso MacGil!”
Il soldato cadde al suolo, floscio, tra il sangue che si riversava ovunque sul pavimento.
Morto.
Godfrey rimase fermo e scioccato. Era a neanche un metro dal soldato e non poteva evitare di sentirsi come se fosse in parte colpa sua. Lui aveva incoraggiato il MacGil ad abbassare la guardia. Lui aveva cercato di negoziare la tregua. Lui stesso era stato tradito da quel McCloud che si era preso gioco di lui di fronte a tutti i suoi uomini.
Godfrey non era in grado di pensare chiaramente e, caricato dal bere, qualcosa dentro di lui si spezzò.
In un unico movimento si chinò a terra, prese la spada del MacGil morto, fece un passo avanti e colpì il McCloud al cuore.
Il McCloud lo guardò con gli occhi sgranati, poi si accasciò al suolo, morto, la spada ancora conficcata nel petto.
Godfrey abbassò lo sguardo sulla propria mano insanguinata non riuscendo a credere a ciò che aveva appena fatto. Era la prima volta che uccideva un uomo in un confronto corpo a corpo. Non sapeva di poterne essere capace.
Non aveva programmato di ucciderlo, non ci aveva neppure pensato. Era stata una parte nascosta di sé che lo aveva sopraffatto, una parte che aveva richiesto vendetta per quell’ingiustizia.
Subito esplose il caos nella stanza. Da tutte le parti gli uomini iniziarono a gridare e attaccare, furiosi. Presto il rumore delle spade riempì la stanza e Godfrey stesso si sentì spingere con forza da Akorth, proprio un attimo prima che una spada lo colpisse alla testa.
Un altro soldato – Godfrey non ricordava chi o perché – lo afferrò e lo gettò oltre il tavolo e l’ultima cosa che Godfrey ricordò fu di scivolare lungo il tavolo colpendo ogni boccale di birra fino ad atterrare al suolo sbattendo la testa e desiderando di trovarsi in qualsiasi altro posto purché non lì.
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