a cedere alla legge pandesiana. Se farai questo, io farò in modo che Pandesia ti metta in libertà.”
Duncan se ne stava lì seduto, talmente furioso da non sapere cosa dire.
“Sei una marionetta dei Pandesiani adesso?” gli chiese alla fine, furente. “Stai cercando di fare impressione su di loro? Di mostrare che puoi fare di me ciò che vuoi?”
Bant sorrise.
“Fallo, Duncan,” rispose. “Non fai del bene a nessuno qua sotto, meno che meno a te stesso. Di’ al supremo Ra ciò che vuole sentirsi dire, confessa ciò che hai fatto e crea la pace per questa città. La nostra capitale ha bisogno della pace adesso, e tu sei l’unico che possa generarla.”
Duncan fece diversi profondi respiri, fino a che riuscì a raccogliere la forza per parlare.
“Mai,” rispose.
Bant avvampò.
“Non per la mia libertà,” continuò, “non per la mia vita e a nessun prezzo.”
Duncan lo fissò, sorridendo di soddisfazione vedendolo arrossire, quindi aggiunse: “Ma sii sicuro di una cosa: se mai fuggirò da qui, la mia spada troverà un posto nel tuo cuore.”
Dopo un lungo e scioccato silenzio, Bant si alzò in piedi, accigliato. Fissò Duncan e scosse la testa.
“Vivi ancora qualche giorno per me,” disse, “in modo che possa assistere alla tua esecuzione.”
CAPITOLO NOVE
Dierdre remava con tutta la sua forza, Marco accanto a lei, entrambi lanciati nel mezzo del canale, diretti verso il mare, dove l’ultima volta aveva visto suo padre. Aveva il cuore lacerato dall’ansia al ricordo dell’ultima volta che l’aveva visto, impavido all’attacco dell’esercito pandesiano, anche di fronte alle peggiori aspettative. Dierdre chiuse gli occhi e scacciò l’immagine, remando ancora più forte e pregando che non fosse già morto. Tutto ciò che desiderava era di riuscire a tornare in tempo per salvarlo, o almeno per avere l’occasione di morire al suo fianco.
Accanto a lei Marco remava con uguale intensità e lei lo guardava con gratitudine e curiosità.
“Perché?” gli chiese.
Lui si voltò a guardarla.
“Perché sei venuto con me?” insistette lei.
Lui la fissò in silenzio, poi distolse lo sguardo.
“Saresti potuto andare con gli altri laggiù,” aggiunse. “Ma hai scelto di non farlo. Hai scelto di venire con me.”
Marco guardava dritto davanti a sé, continuava a remare con forza e a restare in silenzio.
“Perché?” insistette lei, desiderosa di sapere e capire e remando furiosamente.
“Perché il mio amico ti ammirava moltissimo,” disse Marco. “E questo è abbastanza per me.”
Dierdre remò più intensamente, svoltando tra i canali serpeggianti, e i suo pensieri andarono ad Alec. Era così amareggiata nei suoi confronti. Li aveva abbandonati tutti, lasciando Ur insieme a quel misterioso straniero prima dell’invasione. Perché? Non poteva che domandarselo. Era stato così devoto alla loro causa, alla forgia, ed era sicura che sarebbe stata l’ultima persona a fuggire nel momento del bisogno. Eppure l’aveva fatto, e proprio quando avevano più bisogno di lui.
Questo le faceva riconsiderare i suoi sentimenti per Alec, che dopotutto conosceva appena. E allo stesso tempo le sorgevano sentimenti ancora più forti per l’amico Marco, che si era sacrificato per lei. Già provava un forte legame nei suoi confronti. Mentre le palle di cannone continuavano a fischiare sopra le loro teste, mentre gli edifici continuavano ad esplodere e crollare tutt’attorno a loro, Dierdre si chiedeva se Marco veramente sapesse in cosa si stava imbarcando. Sapeva che seguendola, tornando nel cuore del caos, non ci sarebbe stata possibilità di ritorno?
“Remiamo verso la morte, lo sai,” disse lei. “Mio padre e i suoi uomini sono su quella spiaggia, al di là del muro di macerie, e io intendo trovarlo e combattere al suo fianco.”
Marco annuì.
“Pensi sia tornato in questa città per vivere?” le chiese. “Se volevo fuggire, la mia possibilità l’ho avuta.”
Soddisfatta e toccata dalla sua forza, Dierdre continuò a remare e i due proseguirono in silenzio, evitando le macerie che cadevano man mano che si avvicinavano sempre più alla costa.
Alla fine svoltarono a un angolo e in lontananza Dierdre scorse il muro di detriti dove aveva visto suo padre per l’ultima volta. Subito dietro ad esso, le imponenti navi nere. Sapeva che dall’altra parte si trovava la spiaggia dove lui stava combattendo contro i Pandesiani e remò con tutta se stessa, con il sudore che lo scivolava dalla fronte e lungo il viso, ansiosa di raggiungerlo in tempo. Udì il rumore della battaglia, degli uomini che ansimavano, e pregò che non fosse troppo tardi.
La loro barca aveva appena raggiunto il lato del canale che lei balzò a terrà, facendola dondolare, e Marco la seguì mentre correva verso il muro. Si arrampicò aggrappandosi ai grossi massi, graffiandosi i gomiti e le ginocchia, ma senza curarsene. Senza fiato, continuò a salire, scivolando sulle rocce e pensando solo a suo padre, al dovere di raggiungerlo dall’altra parte, ben capendo che quelle macerie erano un tempo le grandiose torrette di Ur.
Si guardò alle spalle udendo delle grida e, avendo una veduta completa della città da lassù, fu scioccata di vedere che metà di essa era in rovine. Gli edifici erano caduti, c’erano montagne di macerie nelle strade, ricoperte da nuvole di polvere. Vide la gente di Ur che fuggiva in ogni direzione per cercare salvezza.
Si rigirò e continuò ad arrampicarsi, andando nella direzione opposta rispetto a quelle persone, determinata ad accogliere la battaglia e non a fuggire da essa. Alla fine raggiunse la cima del muro di roccia e guardandosi attorno le si fermò il cuore. Rimase pietrificata sulla sommità, incapace di muoversi. Non era per niente ciò che si era aspettata.
Pensava che avrebbe visto una grandiosa battaglia lì sotto, suo padre che combatteva valorosamente, i suoi uomini attorno a lui. Si aspettava di poter correre giù e unirsi a lui, salvarlo, combattere al suo fianco.
Invece ciò che vide le fece venire voglia di rannicchiarsi e morire.
Suo padre era lì, a faccia in giù nella sabbia, ricoperto di sangue, con un’ascia conficcata nella schiena.
Morto.
Tutt’attorno a lui giacevano decine di altri soldati, pure loro morti. Migliaia di soldati pandesiani si precipitavano fuori dalle navi come formiche, si sparpagliavano e ricoprivano la spiaggia pugnalando ogni corpo per assicurarsi che fossero tutti privi di vita. Calpestarono il corpo di suo padre e anche gli altri dirigendosi verso il muro di macerie, proprio dove si trovava lei.
Dierdre abbassò lo sguardo udendo un rumore e vide che alcuni Pandesiani erano già sopraggiunti e stavano risalendo il versante, verso di lei, ora ad appena dieci metri di distanza.
Straripante di disperazione, angoscia e rabbia, Dierdre si protese in avanti e tirò la sua lancia contro il primo Pandesiano che vide. Quello sollevò lo sguardo, chiaramente non aspettandosi di vedere qualcuno in cima al muro, non aspettandosi che nessuno fosse tanto folle da affrontare di petto un esercito in avanzata. La lancia di Dierdre gli si conficcò nel petto facendolo scivolare indietro sulla roccia, portando con sé diversi altri soldati nella caduta.
Gli altri soldati si riorganizzarono e decine di loro sollevarono le lance e le scagliarono contro di lei. Accadde troppo rapidamente e Dierdre rimase ferma in piedi, inerme, desiderosa di essere colpita, pronta a morire. Era arrivata troppo tardi, suo padre era morto là sotto e ora lei, sopraffatta dal senso di colpa, voleva morire con lui.
“Dierdre!” gridò una voce.
Dierdre udì Marco accanto a lei e un attimo dopo lo sentì che la afferrava e la tirava indietro verso l’altro versante della pila di macerie. Le lance sibilarono vicino alla sua testa, proprio nel punto in cui si era trovata poco fa, e la mancarono di pochi centimetri. Dierdre inciampò indietro, sulla pila di detriti, insieme a Marco.
Provò