materiale che non aveva mai visto prima e che aveva permesso loro di mantenere la velocità per tutto il giorno e per tutta la notte, di sgusciare nel buio nel mezzo della flotta pandesiana e di procedere nel Mare dei Dispiaceri e arrivare poi al Mare di Lacrime.
Mentre Alec rifletteva, riportava alla mente quanto quel viaggio fosse stato tormentoso: un viaggio navigando giorno e notte, le vele mai calate, le lunghe nottate in mezzo al mare nero piene di rumori ostili, di cigolii e stridii della barca e delle esotiche creature che lì intorno balzavano e volavano. Più di una volta si era svegliato vedendo un serpente luccicante che cercava di salire a bordo, fermato dal suo compagno di viaggio che lo rispediva in acqua con un calcio.
Ma l’elemento più misterioso di tutti, anche più di qualsiasi esotica forma di vita marina, era Sovos, l’uomo che si trovava al timone della nave. Quell’uomo che aveva tratto Alec fuori dalla forgia, che lo aveva portato su quella barca, che lo stava portando in qualche posto lontano, un uomo che Alec si chiedeva se fosse follia seguire. Fino a quel momento almeno Sovos gli aveva già salvato la vita. Alec ricordava di aver guardato verso la città di Ur mentre si allontanavano in mare, provando dolore, sentendosi inutile mentre vedeva la flotta pandesiana avvicinarsi. Dall’orizzonte aveva visto le palle di cannone volare in aria, aveva udito il lontano rimbombo, aveva visto il crollo dei grandiosi edifici, edifici nei quali lui stesso era stato solo poche ore prima. Aveva cercato di abbandonare la nave, di andare a prestare il suo aiuto, ma in quel momento erano tutti troppo distanti ormai. Aveva insistito perché Sovos si girasse, ma le sue implorazioni erano andate a sbattere contro un muro sordo.
Alec si sentiva straziato all’idea che tutti i suoi amici si trovassero lì, soprattutto Marco e Dierdre. Chiuse gli occhi e cercò, senza successo, si scacciare quei ricordi dalla mente. Gli si stringeva il petto al pensiero di averli traditi e abbandonati tutti.
L’unica cosa che lo spingeva ancora avanti, che lo scuoteva dal suo scoraggiamento, era la sensazione che altrove ci fosse bisogno di lui, come Sovos aveva insistito. Il pensiero di avere un destino sicuro, di poterlo usare per distruggere i Pandesiani da qualche altra parte. Dopotutto, come Sovos aveva detto, essere morto là dietro con il resto della gente non avrebbe aiutato nessuno. Eppure sperava e pregava ancora che Marco e Dierdre fossero sopravvissuti e che un giorno si sarebbero ritrovati.
Curioso di sapere dove stessero andando, Alec aveva tormentato Sovos con domande, ma questi era rimasto testardamente in silenzio, sempre al timone – giorno e notte – dandogli le spalle. Per quanto potesse aver visto non aveva mai dormito né mangiato. Se ne stava semplicemente lì a guardare il mare con i suoi alti stivali in pelle e il cappotto nero, le sete scarlatte avvolte attorno alle spalle, la tunica con la sua curiosa insegna. Con la sua barba corta e castana e i lampeggianti occhi verdi che fissavano le onde come se fossero un tutt’uno con lui, il mistero attorno a quell’uomo si faceva sempre più fitto.
Alec guardava l’insolito Mare di Lacrime, con il suo colore chiaro, e si sentiva sopraffatto dall’urgenza di sapere dove lo stessero portando. Incapace di sopportare oltre il silenzio, si voltò verso Sovos, disperatamente desideroso di avere delle risposte.
“Perché io?” chiese spezzando il silenzio, tentando ancora una volta, determinato questa volta ad avere una risposta. “Perché scegliere me in tutta la città? Perché dovevo essere destinato io a sopravvivere? Avresti potuto salvare cento persone ben più importanti di me.”
Alec aspettava, ma Sovos restava in silenzio, dandogli la schiena, studiando il mare.
Alec decise di tentare per un’altra via.
“Dove stiamo andando?” chiese di nuovo. “E come fa questa nave ad andare così veloce? Di cos’è fatta?”
Alec guardava la schiena dell’uomo. I minuti passavano.
Alla fine l’uomo scosse la testa, sempre con la schiena girata.
“Stai andando dove devi andare, dove è destino che tu vada. Ho scelto te perché è di te che abbiamo bisogno, e di nessun altro.”
Alec era pensieroso e dubbioso.
“Bisogno di me per che cosa?” insistette.
“Per distruggere Pandesia.”
“Perché io?” chiese Alec. “Come posso essere di aiuto?”
“Tutto sarà chiaro quando arriveremo,” rispose Sovos.
“Arriveremo dove?” insistette Alec, frustrato. “I miei amici si trovano ad Escalon. È gente cui voglio bene. Una ragazza.”
“Mi spiace,” sospirò Sovos, “ma non è rimasto nessuno laggiù. Tutti quelli che un tempo conoscevi e amavi non ci sono più.”
Seguì un lungo silenzio e nel mezzo del fischiare del vento Alec pregava che si sbagliasse, anche se dentro di sé sapeva bene che aveva ragione. Come poteva la vita cambiare così repentinamente?
“Però tu sei vivo,” continuò Sovos. “E questo è un dono molto prezioso. Non sprecarlo. Puoi aiutare molti altri, se passerai la prova.”
Alec corrugò la fronte.
“Quale prova?” chiese.
Sovos finalmente si girò a guardarlo con occhi perforanti.
“Se sei il prescelto,” disse, “la nostra causa ricadrà sulle tue spalle; altrimenti sarai completamente inutile per noi.”
Alec cercava di capire.
“Stiamo navigando da giorni e non siamo ancora arrivati da nessuna parte,” osservò. “Solo sempre più in mezzo al mare. Non riesco neanche più a vedere Escalon.”
L’uomo fece un sorrisetto.
“E dove pensi che stiamo andando?” chiese.
Alec scrollò le spalle.
“Pare che siamo diretti verso nord-est. Forse da qualche parte verso Marda.”
Alec scrutò l’orizzonte esasperato.
Finalmente Sovos rispose.
“Quanto ti sbagli, ragazzo,” rispose. “Quanto ti sbagli davvero.”
Una forte folata di vento si levò e Sovos si girò nuovamente verso l’elmo. La barca navigava tra la schiuma delle onde. Alec guardò oltre e per la prima volta fu sorpreso di scorgere una sagoma all’orizzonte.
Sopraffatto dalla sorpresa e dall’eccitazione corse in avanti e si aggrappò al corrimano.
In lontananza emergevano lentamente delle masse di terra che iniziavano appena a prendere forma. La terra sembrava luccicare, come se fosse fatta di diamanti. Alec sollevò una mano e se la portò agli occhi, scrutò davanti a sé, chiedendosi di cosa si potesse trattare. Quale isola poteva esistere là fuori, nel mezzo del nulla? Si scervellò, ma non gli venne in mente nessuna terra che conoscesse dalle mappe. Era forse un qualche paese di cui non aveva mai sentito parlare?
“Cos’è?” chiese di getto, fissando pieno di curiosità.
Sovos si voltò e, per la prima volta da quando Alec lo conosceva, sorrise.
“Benvenuto, amico mio,” disse, “alle Isole Perdute.”
CAPITOLO SETTE
Aidan si trovava in piedi legato a un palo, incapace di muoversi mentre guardava suo padre inginocchiato a pochi passi da lui, affiancato da soldati pandesiani. Stavano lì vicino con le spade sollevate sopra la sua testa.
“NO!” gridò Aidan.
Cercò di liberarsi, di correre avanti per salvarlo, ma non contava con quanta tenacia ci provasse: non riusciva a spostarsi, le funi affondavano nei polsi e nelle caviglie. Era costretto a guardare suo padre inginocchiato lì, gli occhi pieni di lacrime che lo fissavano in cerca di aiuto.
“Aidan!” gridò suo padre allungando una mano.
“Padre!” gridò Aidan in risposta.
Le lame scesero e un attimo dopo Aidan si sentì spruzzare il volto di sangue mentre la testa di suo padre veniva mozzata.
“NO!” gridò Aidan sentendo