Stephen Goldin

Attacco Agli Dei


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rispetto alla conduzione della nave, e su questi posso camminare molto delicatamente.”

      Larramac ruminò per un attimo, accarezzandosi il pizzetto. Si avvicinò ad una pila di carte ed estrasse un foglio che Dev riconobbe essere la domanda che aveva inviato la settimana precedente. “Secondo il suo curriculum, ha fatto un sacco di lavori diversi. Non è mai rimasta sulla stessa nave più di un anno. Perché?”

      Dev sospirò. C’era sempre qualcuno che faceva questa domanda, sebbene la risposta sembrasse sempre così ovvia. “Pregiudizio. Un sacco di uomini non amano servire sotto un capitano donna. Quelli a cui non interessa, sono a disagio per il semplice fatto che io sia una Eoana. Lei noterà, se controlla la mia presentazione, che i miei datori di lavoro hanno dato in genere il massimo delle referenze. Sono un buon capitano che è stato vittima delle circostanze.”

      “Io non pago molto; non posso permettermelo. Seicento galacs al mese, più benefit standard.”

      Per un capitano con la sua formazione e la sua esperienza, si trattava di un importo ridicolo; sfortunatamente, la sua situazione finanziaria non lo era. “Dovrei guadagnare almeno il doppio di questa somma,” disse. “Ma gli affari, immagino siano tirati.”

      “Non sono proprio nella stessa categoria di Lenning TransSpacial o deVrie Shipping,” ammise Larramac. “Vado sui piccoli pianeti che loro scartano, quelli con il rapporto profitto-costo più basso. Devo leccare la ciotola che mi porgono, per così dire. Tiro avanti e sono stato in grado di costruire. La società è cresciuta negli ultimi due anni, e non vedo alcuna ragione per cui questa crescita non dovrebbe continuare. Tengo le persone se riescono a fare il lavoro che chiedo loro, e sono abbastanza bravo con gli aumenti. Se mi piace il modo in cui farà il primo viaggio, possiamo parlare di un aumento.”

      Dev guardò il suo futuro datore di lavoro. Sembrava un tipo onesto; un po’ sopra le righe in quanto a sincerità, un po’ troppo entusiasta e spavaldo, ma molto lontano dal capo peggiore per cui le era capitato di lavorare.

      “Mi sono permesso,” continuò Larramac, “di guardare il suo nome sul mio schema.”

      “Schema?”

      “Sì, i modelli delle lettere hanno tutti dei significati, che tu lo sappia o no. Lei ha un bel nome; si fonde bene con tutto.”

      “Sono sicura che i miei genitori La ringrazierebbero: è stata una loro scelta,“ rispose lei seccamente. Lei si chiese brevemente se qualcuno che inseriva il nome di una persona in uno schema prima di decidere se assumere o meno, potesse essere sano di mente. Oh, bene, chiunque gestisca la Elliptic Enterprises deve avere alcune eccentricità.

      “C’è solo una cosa che vorrei specificare,” continuò lei. “Devo avere autorità disciplinare completa sul mio equipaggio.”

      “E perché?”

      “Per prima cosa, è tradizione. Ma più ancora di quello, l’equipaggio deve sapere che voi mi sostenete su tutta la linea. Come ho detto, alcuni uomini si risentono di prendere ordini da una donna. La mia parola deve essere legge – legge assolutamente applicabile – diversamente non posso garantire il funzionamento della nave senza problemi.”

      “Sembra ragionevole. Affare fatto, quindi?”

      Dev annuì. “Affare fatto. Quando le serve che io cominci?”

      “La Foxfire deve partire fra due settimane. Suppongo che vorrà venire a vederla di prima mano, prima di allora.”

      Solo due settimane per conoscere una nave cargo da cima a fondo? “Spazio, sì! Sarebbe meglio che io parta già domani a familiarizzare con lei, ad imparare le sue capacità e le sue idiosincrasie.”

      Larramac la guardò in modo strano. “Pensavo che voi Eoani non giuraste sullo Spazio.”

      “Convinzione errata popolare. Non siamo particolarmente rispettosi dei mistici poteri dell’universo, è vero; ma quando parlo Galingua devo arrangiarmi con le frasi che esprimono i miei pensieri, ivi compresi i cliché conversazionali. La purezza ideologica non è un sostituto della comprensione.”

      “Lei è una strana donna, Capitano Korrell.”

      “Lo prenderò come un complimento Signor Larramac.” Sorrise. “Qualsiasi cosa che non sia un insulto diretto è più facile da accettare come complimento.”

      “Insisto per essere chiamato Roscil.”

      “E personalmente, per quanto riguarda me preferisco Dev.”

      “E Dev sia! Vorrebbe pranzare con me?”

      Dev esitò. Quello, anche se non ne aveva fatto parola, era un altro dei motivi che l’aveva fatta passare da un lavoro all’altro – dipendenti eccessivamente amorosi che pensavano che i doveri di un capitano donna fossero orizzontali oltre che verticali. Non era una puritana e nemmeno una vergine, ma aveva imparato, per esperienza personale molto amara, che il sesso frequentemente incasinava le relazioni di lavoro. D’altronde, la sua situazione finanziaria era tale da non poterle consentire di rinunciare a un pasto gratis. La sincerità di Larramac era una boccata di aria fresca, ma sarebbe potuta diventare proprio detestabile come una pacca sul sedere da parte di qualcuno. Suppongo che dovrò sapere qualcosa su di lui, presto o tardi, pensò. Potrebbe essere anche prima che non dopo. “Mi sembra una buona idea,” disse lei.

       ***

      Mentre arrancava nella pioggia Daschamese, Dev pensava con ardore a quel pranzo. L’aspetto spavaldo esterno di Larramac poteva intimidire la maggior parte della gente, ma lei aveva visto oltre a questo. Larramac, un uomo solo dentro di sé, avrebbe rifiutato piuttosto che essere rifiutato. Lui non fece un solo passo verso di lei quella volta, e lei gli era stata grata per quello. Ne aveva fatto uno circa una settimana dopo, che lei era stata in grado di respingere abilmente, senza ferirlo. Stabilite in questo modo le regole di base, lui si era tenuto all’interno di esse.

      Naturalmente, c’erano altre cose per cui lei avrebbe potuto strangolarlo – come ad esempio la sua insistenza nell’unirsi a loro nel primo viaggio per “vedere se ti saresti comportata bene”. Nonostante questo, lei era ragionevolmente soddisfatta di lui.

      Le luci di un altro bar Daschamese luccicavano debolmente di fronte a lei, mentre si voltava. Mentre si avvicinava, poteva vedere di fianco all’edificio il carro che i Daschamesi avevano prestato alla nave – un piccolo segnale che i suoi ribelli uomini dell’equipaggio erano proprio lì. Allungò il passo.

      I due uomini erano facilmente identificabili nell’istante in cui lei entrò nel bar – erano la sola macchia di colore sul posto. Gros Dunnis, il tecnico, era un uomo mastodontico, due metri buoni di altezza e vestito con una tuta spaziale di colore verde scuro e argento. I capelli rossi e il barbone, anch’esso rosso, erano abbinati – al momento – ad una faccia altrettanto rossa, che dichiarava la sua intossicazione. Dmitor Zhurat, il mandriano robot, era un uomo molto più basso, nativo abusivo —infatti, aveva circa la stessa altezza e la stessa forma dei nativi. Tuttavia, la sua uniforme rossa e blu spiccava facilmente fra i colori grigiastri e ocra usati per i vestiti Daschamesi.

      Zhurat fu il primo a scorgerla. “Bene, se non è la nostra piccola graziosa capitana che sta arrivando qui, scesa dalla sua torre per unirsi a noi. Gros, abbiamo un visitatore onorevole. Dobbiamo mostrarle stima.”

      Dunnis, un ubriaco più simpatico, le sorrise. “Salve, Capitano, le va di bere qualcosa con noi?”

      “Voi due dovevate tornare alla nave due ore e mezzo fa,” disse Dev in modo piatto. “penso che sarebbe meglio che veniste via con me.”

      “Dobbiamo avere dimenticato l’ora,” sogghignò Zhurat. “Ma unisciti a noi per una bevuta e poi andiamo.”

      “Sai che non bevo.”

      “È vero. Tu sei troppo brava per bere con noi, giusto?”

      “‘La mente sana non ha bisogno di stimoli esterni per rilassarsi,’” citò Dev.

      “Mi accusi