Andrea Lepri

La Macchina Per Scrivere


Скачать книгу

posso fare? Ormai dormo poco, le giornate si stanno facendo sempre più interminabili. Ci penserò domani, adesso è ora di dormire.

      Sulla scia delle sue riflessioni rientrò, diretto verso la camera, attraversando la sala passò davanti alla scrivania sulla quale aveva sistemato in bella mostra la macchina per scrivere e si fermò.

      «Maledizione, che diavolo succede adesso?» grida il Vigile del Fuoco nella ricetrasmittente, sporgendosi a guardare i suoi colleghi dabbasso. La scala si era bloccata d’improvviso e aveva ondeggiato violentemente, se lui non avesse indossato la cintura di sicurezza sarebbe stato sbalzato giù dal contraccolpo.

      «Abbiamo un problema… la cinghia di sicurezza gira a vuoto perché si è allentata una puleggia, mi serve qualche minuto per tirarla e stringere un paio di dadi» gli risponde una voce confusa nel gracchiare della radiolina.

      «Qualche minuto? Io non ho qualche minuto, accidentaccio! Se non lo raggiungo subito, quell’uomo si lascerà cadere. Ha lo sguardo allucinato e ha appena gridato come un matto per cacciarmi via, mi sembra proprio che di cadere giù non gliene freghi niente. Vedi di muoverti, e intanto preparate il telone!»

      «Il telone non c’è! L’hai mandato in manutenzione ieri, non te lo ricordi?» replica dopo qualche istante la voce dalla trasmittente.

      «E nessuno ha pensato a mettere sul mezzo quello di scorta?» chiede incredulo il caposquadra sporgendosi ancora di più dalla scala, per frugare con gli occhi nel vano che solitamente ospitava il telone.

      «A quanto pare no. Lo sai, in periodo di ferie c’è sempre confusione» mormora imbarazzata la voce nella radiolina, strappando un’altra imprecazione al Vigile del Fuoco. Torna a guardare l’uomo, che sta inesorabilmente scivolando verso il basso lungo stecche della ringhiera, le sue mani sudano a contatto col metallo e stentano a fare presa.

      «Ehy» gli grida, Franco si volta a guardarlo distrattamente.

      «Ehy, amico! Non mollare. Hai capito? Non mollare, mi raccomando. Tra poco sarò da te, devi soltanto tenere duro un altro po’. Tieni duro ancora un po’!» gli ripete, ma Franco non lo ascolta nemmeno. Gli risponde con un sorriso vago e incomprensibile, poi torna a fissare la macchina per scrivere e la pila di fogli dattiloscritti accatastati al suo fianco, il portacenere traboccante e la sedia girata con lo schienale verso la scrivania.

      E’ cominciato tutto quella sera, quando mi sono seduto a quella dannata scrivania riprende a ricordare, mentre inconsapevolmente stringe forte le mani alla ringhiera viscida per non cadere.

      Si, non c’è altra spiegazione: la macchina è maledetta…. e ormai è tardi… la punizione….

      LA PRIMA PAGINA

      Quasi inconsciamente, come guidato da una forza misteriosa, Franco tolse il foglio imbrattato che aveva usato per provare la macchina e ne inserì uno pulito. Lo centrò per bene e cominciò a battere goffamente sui tasti, ripensando alla vista di cui si era compiaciuto poco prima.

      CAPITOLO I (LA CASA DI CARPETTI)

      Il cielo della sera era tanto pulito che le stelle si potevano quasi contare una ad una, mentre una mezza Luna affilata e lucente sembrava appesa a un filo invisibile, che andava a perdersi nell’infinito. Dalla finestra al terzo piano di un palazzone di periferia si notava, riflesso sulle tende, il baluginare delle immagini di un televisore. Era piccolo, in bianco e nero, di quelli rivestiti di plastica bianca con la classica antenna circolare attaccata sopra in modo sbilenco. Era poggiato sopra un massiccio mobile di colore marrone scuro, sul quale il tempo aveva impresso segni prepotenti. Accanto, una brutta statuetta di terracotta raffigurava chissà quale divinità africana.

      Però, come inizio non è niente male. forse ho finalmente trovato la maniera di ingannare il tempo, si disse Franco rileggendo quello che aveva appena scritto. Ma dopo diversi fogli gettati nel cestino, e un altro paio di birre, allontanò la macchina per scrivere e si strofinò gli occhi, poi si alzò con uno scatto stizzito. Guardò l’orologio e decise di andare a dormire perché era già a corto di idee, come tutte le sere si addormentò con il pensiero rivolto alla moglie e ai bambini.

      Le prime di lame di luce che filtravano dalle persiane lo sorpresero a fissare il soffitto, aveva un’espressione leggermente preoccupata sulla faccia dalla barba già un po’ troppo lunga.

      Accidenti alle buone abitudini, non posso continuare a svegliarmi così presto! Se mi alzo adesso cosa mi metto a fare? si disse preoccupato. Allungò un braccio verso il comodino, prese l’ultima sigaretta dal pacchetto vuoto e lo accartocciò. Lo gettò a terra e guardò la piccola montagna di spazzatura che si era formata ai piedi del letto, si domandò se avesse voglia di raccoglierla e di andare fino in cucina per buttarla nella pattumiera. Si rispose di no con un’alzata di spalle e mise la sigaretta in bocca, si lasciò ricadere pesantemente e una volta disteso cercò di resistere alla tentazione di accenderla. Sto fumando troppo, è colpa della noia. Vorrei uscire un po’, ma con questo caldo devo essere prudente. Anche se si è trattato solo di un banale malore, non voglio rischiare di dover allungare questa convalescenza. I passerotti appostati sui cornicioni stavano salutando l’arrivo del nuovo giorno con una bella melodia e da là osservavano i movimenti giù in cortile, sapevano che di lì a qualche minuto l’anziana signora avrebbe buttato dalla finestra la loro colazione. E’ inutile, non riuscirò mai a riprendere sonno… è meglio se mi alzo si rassegnò dopo aver sperato per un po’ di riuscire a riaddormentarsi. Intanto, un senso di inquietudine si stava lentamente ma prepotentemente impadronendo di lui, aveva come la sensazione di aver lasciato qualcosa a metà ma non riusciva a ricordare cosa. Poco dopo era di nuovo seduto davanti alla macchina per scrivere con la sigaretta ancora spenta in bocca. Guardò a lungo la macchina, incerto, domandandosi se era davvero in grado di scrivere una storia. Squillò il telefono, quel suono improvviso a rompere il suo tentativo di concentrarsi lo disturbò. Per qualche istante pensò di non rispondere.

      «Ciao, come state? … scusa, ero nel bagno» mentì storcendo la bocca, con gli occhi rivolti al soffitto. «Si, io sto bene, e voi? Vi state divertendo? Magnifico… passatemi la mamma… Allora, come ve la passate?… e i ragazzi? Si, io mi annoio da morire e sono ansioso di rivedervi….. ah ho una sorpresa per te… no, non te lo dico cos’è, altrimenti che sorpresa sarebbe? Va bene ci sentiamo presto… salutami i tuoi…”. tagliò corto, poi riattaccò il telefono e corse a sedersi, sbuffando ancora scocciato per quell’inattesa interruzione. Ho trovato: scriverò la storia di un uomo che vive solo si disse.

      Squillò il telefono, l’uomo emerse con un sospiro dalla vecchia poltrona di pelle e si trascinò di malavoglia verso l’apparecchio.

      «Pronto? Gianni! Io bene, tu come stai? Mi fa piacere sentirti… domani sera? No, domani sera proprio non posso. Ti dico che non è una scusa, lo sai che con voi due non mi sentirei mai di troppo… va bene, alla prossima non mancherò, lo prometto. Dai un bacio a Marta da parte mia» concluse l’uomo, poi ripose la cornetta e gettò un’occhiata ansiosa in salotto, verso il televisore. Ormai stavano scorrendo i titoli di coda.

      Accidenti, mi sono perso il finale, si disse innervosito, ma sarà finito sicuramente bene. I film finiscono quasi sempre bene.

      Dopo aver spento il televisore, sistemò per bene le sedie sotto il tavolo rivestito di formica verde, in modo che le zampe cadessero esattamente sugli angoli delle mattonelle. Sparecchiò e andò a dare due mandate alla porta di casa, dopo aver poi controllato due volte che il rubinetto del gas fosse chiuso, si recò in camera. Come tutte le sere, passando davanti al grande specchio posto in corridoio, smise di trascinare i piedi a terra e drizzò le spalle per verificare lo spessore della propria pancia. Costituzione pensò rassegnato ancora una volta, scotendo la testa. Più di una volta aveva provato ad eliminare la fascia di grasso che gli contornava addome e fianchi, vietandogli di indossare come si deve le camicie. Erano il capo di abbigliamento che amava di più, ma non aveva mai avuto abbastanza forza di volontà per seguire seriamente una dieta fino in fondo. E così come questa,