gli anni trascorsi al college riuscii nonostante tutto a prendermi delle piccole soddisfazioni personali. Ero una studentessa modello, una di quelle ragazze sempre in ordine, con il colletto della divisa pulito e ben stirato, preparata, sempre al passo con le lezioni e i compiti ben fatti. Oltre a tutto ciò io non comunicavo. Per mia scelta, ma anche per necessità, non entrai mai a far parte di uno dei tanti branchi che popolavano il campus. E per questo motivo, credo, venni invidiata e additata come una ruffiana dalla maggior parte delle mie compagne, una di quelle che dietro una faccia d’angelo nasconde tanti interessi personali e secondi fine. Alcune di queste voci si fecero sempre più insistenti nel tempo e una di queste, forse la più infamante per una donna di quell’epoca, arrivò all’orecchio del rettore. Lui conosceva bene il mio percorso di studi, i miei successi scolastici e il mio comportamento, sia in istituto che fuori. Ma soprattutto conosceva bene mio padre e il suo carattere. Avevano combattuto insieme, anche lui ricordava la scena straziante di mio padre che teneva l’amico e compagno di battaglia morente tra le sue braccia, cercando di trattenere le lacrime, la disperazione e la paura. Ma quell’uomo una volta ritornato a casa dai suoi cari era riuscito a dimenticare tutto, aveva intrapreso una brillante carriera accademica per poi diventare il rettore di quello stesso istituto. Forse proprio per questo motivo si preoccupò di tenermi sotto la sua ala protettrice, difendendomi da tutto e da tutti. Ma per la carica che copriva nell’istituto non poteva darlo a vedere pubblicamente. Un giorno mi chiamò nel suo ufficio con la banale scusa di chiedermi quali intenzioni avessi per il mio futuro e per propormi un’attività di ricerca da svolgere in istituto al completamento dei miei studi. Mi parlò delle brutte voci che aveva sentito sul mio conto e che le erano state riferite da una inserviente, a detta sua.
«Melanie, girano strane voci qui dentro che tendono a metterti in cattiva luce. Volevo chiederti se ne sei al corrente e cosa ne pensi. Io ti conosco piuttosto bene e so chi sei e come ti comporti. Queste voci però devono essere messe a tacere e in fretta, prima che sia troppo tardi».
Ero perfettamente a conoscenza di quelle voci, una delle tante capobranco me le aveva praticamente sbattute in faccia una volta, dandomi della “puttana” in seguito ad un piccolo battibecco che avevamo avuto. Ma decisi di non ammettere nulla perché volevo rimanere al di fuori di tutto. Credevo di essere molto abile nel nascondere la verità, sicura del fatto che nessuno mai avrebbe scoperto le mie menzogne. O meglio, le mie “non verità”. Non avrei accettavo l’aiuto di nessuno, soprattutto se offertomi da un amico di mio padre o da chiunque altro avesse condiviso anche la minima cosa con lui. Scossi il capo ammettendo la mia ignoranza.
«Si dice in giro che sei stata vista mentre praticavi prestazioni poco convenienti per una ragazza nubile della tua età ad uno dei ragazzi del nostro servizio di sicurezza».
«Pura fantasia di qualche sgualdrina da quatto soldi».
«Bene. Ne ero sicuro ma preferivo avere una conferma direttamente da te. Ti pregherei però di mantenere un tono e delle espressioni più adeguate in questa sede».
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