annuì, ma esitò ad uscire.
"Papà, ti devo confessare una cosa. E' stata anche mamma a spingermi a venire con te oggi, perché pensava che tu avessi un'altra donna e voleva saperlo".
Ecco, lo squallore del mondo quotidiano tornava ad affacciarsi nella mia vita, cercando di rovinarmi il Natale, pensai.
"E tu cosa le dirai?"
"Non lo so esattamente, ci devo pensare. Di certo le dirò che è proprio una stupida." Mi abbracciò a lungo, forte: poi, prima di uscire, cercò di cancellare le lacrime dal suo volto. Figlia mia, resterai sempre la mia bambina, pensai tra me, anche se stai davvero diventando grande.
BUON NATALE, BERNARD!
(2014)
Quasi per caso, la mattina di Natale dovetti passare nel mio ufficio a prendere un pacchetto regalo che avevo già preparato e dimenticato sulla mia scrivania. La sede della mia azienda, e tutto l'edificio che la ospitava, era insolitamente deserta sin dal vasto atrio; non mi ricordavo di averla mai vista così vuota. C'era solo l'addetto alla sorveglianza, che ben conoscevo, alla sua solita postazione.
“Buongiorno signor Pinkle. Come mai da queste parti?”, mi fece lui senza alzare gli occhi dalla sua rivista. Questo suo strano modo di fare, parlando senza guardare negli occhi ma al tempo stesso riuscendo a far capire che non gli era sfuggito nessun dettaglio di quanto avveniva nei paraggi, era il suo modo unico e inconfondibile per infondere sicurezza e tranquillità a chi passava di lì, o perlomeno a me.
“Ciao Mike. Ho dimenticato su una cosa. Tanti auguri di nuovo”, lo salutai.
“Guardi che c'è chi sta ancora dormendo. Credo che sia il caso di non svegliarlo. Non so se è d'accordo con me.”
Trovai queste parole, che mi raggiunsero mentre arrivavo all'ascensore, difficili da capire; ma poi guardandomi in giro ne compresi il vero significato. Seminascosto da un pilastro, la testa - capelli barba e baffi lunghi incolti e bianco grigiastri - poggiata su un sacco di iuta a mo' di cuscino, un signore con abito e cappello rosso bordato di bianco dormiva profondamente.
Un Babbo Natale addormentato. Non una bella immagine per la mia azienda, proprio nel giorno in cui egli avrebbe dovuto essere impegnato al massimo, a portar pacchi per il mondo. Ma guardandolo meglio mi trovai d'accordo con Mike: meglio non svegliarlo. Dormiva così bene. E poi io quel Babbo Natale lo conoscevo bene.
Sentivo sempre molto lo spirito del Natale, e quell'anno, seguendo i suggerimenti di un mio caro collaboratore che aveva un bimbo piccolo, avevo voluto introdurre degli ulteriori segni natalizi nel mio reparto.
Ecco quindi le novità che avevo provato ad introdurre. I regali per i bambini dei dipendenti sarebbero stati consegnati, la vigilia di Natale, non ai loro genitori ma direttamente ai bimbi da Babbo Natale in persona, durante un'apposita festicciola natalizia nei nostri uffici. Insieme ai regalini dell'azienda (che, ricordo, ha anche dei giocattoli nel suo catalogo), potevano essere consegnati anche pacchi e pacchetti affidatici dai genitori stessi. E poi la festicciola Natalizia sarebbe stata allietata non solo da addobbi, dolcetti e panettoni, ma anche da un gruppo di animatori vestiti da gnomi che avrebbero intrattenuto i piccini con spettacolini di magia.
Era riuscito tutto alla perfezione, mi ritrovai a pensare tra me e me al termine della festa, mentre con gli ultimi collaboratori rimasti riordinavamo la sala riunioni e raccoglievamo, in contenitori distinti, gli avanzi e la spazzatura. Essendomi riservato il ruolo di Babbo Natale, mi ero anche divertito molto nel consegnare i regali ai piccoli. Eppure mi sembrava che mancasse ancora qualcosa al mio Natale, meditavo mentre mi liberavo del mio costume bianco e rosso e di barba e capelli finti.
“Ci sono”, pensai. Mi disturbava il pensiero di essere tuttora in non buoni rapporti col signor Brown, il responsabile dell'ufficio vendite. Avevamo avuto un'accesa discussione di lavoro ormai più di un anno fa, e da allora lo strappo non era stato ancora ricucito. Per tanto tempo ci eravamo ignorati, boicottati, fatto una reciproca guerra silenziosa, forse per uno stupido orgoglio o un banale malinteso. Ora, sotto Natale, questa situazione mi sembrava assurda e insostenibile. Una vecchia macchia da dover finalmente lavare.
Presi in mano tutto il mio coraggio e la mia umiltà e mi decisi a contattarlo, via chat.
“Che ne diresti finalmente di fare pace e scambiarci un augurio sincero di Buone feste, qui da me, davanti ad una fetta di pandoro?”
“Grazie, buona idea. Però adesso ho da fare col signor Pepper. Magari più tardi.”
La lista dei colleghi ancora al computer era ormai ridotta al minimo, quasi tutti erano già giustamente andati a casa. L'iconcina del signor Brown da verde divenne rossa, “in riunione”. Anche il signor Pepper lavorava ancora.
“Aspetterò ancora un po'”, pensai.
“Cosa dobbiamo farne di questi pandori e panettoni avanzati?”, mi chiese intanto la signora Lisa. In effetti, eravamo stati molto abbondanti ed era avanzata parecchia roba.
“Uno lo prenda e lo porti a casa lei. Anche gli altri li dia ai colleghi. Anzi, no. Me ne lasci tre o quattro. Uno per il signor Brown. E un altro per ...”
Ecco un'altra cosa che mancava al mio Natale, pensai. Lo chiamavamo tutti “Bernard le clochard”, per la sua inflessione che denotava origini francofone. Quando non pioveva era solito passare la notte in quell'angolino del marciapiede con le grate, da cui evidentemente usciva aria calda o tiepida. Disgraziatamente era una posizione che qualcuno con una certa influenza giudicava poco dignitosa e poco consona al prestigio dell'edificio: era troppo in vista e troppo vicino al bancomat ed al distributore automatico di snack. Per questo ogni mattina, con poche eccezioni, l'addetto alla security che montava col turno delle sette lo svegliava e lo obbligava a spostarsi con tutta la sua roba almeno venti metri più in là, al di fuori della sua competenza di sorveglianza.
“Prima di andartene ti dispiacerebbe portarmi qui Bernard le clochard? Vorrei offrire anche a lui una fetta di panettone?”, chiesi a un mio collaboratore di fiducia.
“Bernard le clochard? Veramente ho i minuti contati per prendere il treno, e proprio oggi non vorrei fare tardi, con mezzo parentado a casa che mi aspetta per la cena. Mi dispiace, capo, magari un'altra volta”.
“E lei, signora Lisa? Lo farei io, ma sto aspettando che si liberi e arrivi il signor Brown.”
“Bernard? Quel coso fetido e puzzolente? Ma neanche per sogno. Neppure se mi dessero un aumento di stipendio”, mi rispose lei con la sua solita franchezza.
Constatai che dopo la mia richiesta si era fatto il vuoto intono a me, tutti gli altri all'improvviso si erano eclissati o, se non avevano potuto farlo, erano impegnatissimi in qualcos'altro.
“Ho capito. E' un incarico troppo difficile e di troppa responsabilità, che dovrò portare a termine personalmente. Ci sarà pure un motivo se qui il capo sono io”, dissi ad alta voce un po' stizzito per il comportamento dei miei collaboratori. “Spero che almeno sarà in grado di avvisarmi telefonicamente se il signor Brown arriva!”, dissi rivolgendomi alla signora Lisa.
“Naturalmente, ci può contare. Almeno fin quando non vado via”, mi rispose.
Così scesi io a cercare Bernard. Insieme a un po' di dolciumi avevo infilato, nel sacco di iuta ormai vuoto dei regali, il costume di Babbo Natale, con l'idea di farlo lavare nella vicina lavanderia automatica. Ma quando trovai Bernard, e dopo avergli offerto qualcosa da mangiare prontamente accettato, cambiai i miei propositi riguardo alla lavanderia. In effetti Bernard puzzava da morire. “Ti regalo un panettone intero se vieni con me alla lavanderia. I tuoi abiti meritano finalmente una lavata.”
Mugugnò qualcosa di incomprensibile, per me che non conosco il francese; ma poi, facendogli vedere un panettone nel sacco e quasi sollevandolo di peso per farlo alzare, Bernard acconsentì a seguirmi.
Nella lavanderia quasi deserta, benché impregnata di odore di detersivo, i