disse lei. “La prego di chiamarmi se le venisse in mente qualcos’altro di utile” aggiunse lasciandogli un biglietto da visita.
Lui lo prese, la salutò con un lento cenno della mano e chiuse la porta. Mackenzie si sentì come se avesse appena informato dell’omicidio i parenti della vittima, non un bravo ragazzo che sembrava avere davvero a cuore entrambe le vittime.
Quasi lo invidiava... provare sincero dispiacere per degli sconosciuti. Ultimamente vedeva i morti solo come cadaveri – ammassi di carne senza nome, ricchi di potenziali indizi.
Non era il modo migliore di vivere la sua vita, lo sapeva. Non poteva permettere che il lavoro cancellasse in lei la compassione. O la sua umanità.
CAPITOLO SETTE
Mackenzie accostò davanti alla casa per non vedenti di Treston alle 11:46, impiegandoci meno tempo di quanto avesse previsto il navigatore. Una volta davanti all’edificio, però, Mackenzie ricontrollò che l’indirizzo che Clarke le aveva fornito fosse giusto. La casa di cura sembrava troppo piccola, non era più grande di un negozio. Era situata nella parte più occidentale di Treston, che, anche se molto più grande di Stateton, non era comunque nulla di eccezionale. Anche se la città era molti passi avanti rispetto allo squallore provinciale di Stateton, aveva solo due semafori. L’unica cosa che la rendeva più urbana era il McDonald’s su Main Street.
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