Морган Райс

Un Regno D’acciaio


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fin da ragazzo.

      Si mise velocemente a sedere, allerta, guardandosi attorno. Si voltò e vide Alistair profondamente addormentata accanto a lui. Era ancora buio e la nave veniva cullata dalle onde, eppure c’era qualcosa che non andava. Guardò da ogni parte, ma non vide alcun segno che qualcosa fosse storto.

      Si chiese quale pericolo potesse esserci in agguato, lì nel mezzo del nulla. Era stato solo un sogno?

      Erec, fidandosi del suo istinto, portò la mano alla spada, ma prima di riuscire ad afferrare l’elsa, si sentì avvolgere completamente da una pesante rete. Era la rete più pesante che avesse mai sentito addosso, tanto pesante da poter schiacciare un uomo, e gli cadde addosso all’improvviso bloccandolo a terra.

      Prima che potesse reagire si sentì sollevare in aria, come un animale catturato e intrappolato, le maglie della rete così strette da non permettergli neppure di muoversi. Spalle, braccia, polsi e piedi erano immobilizzati. Venne issato sempre più in alto fino a che si ritrovò a quasi dieci metri dal ponte della nave, penzolando, come una bestia presa in trappola.

      Il cuore gli batteva in petto mentre cercava di capire ciò che stava accadendo. Abbassò lo sguardo e vide Alistair sotto di lui che si stava svegliando.

      “Alistair!” la chiamò.

      In basso lei si stava guardando attorno cercandolo ovunque e quando finalmente sollevò lo sguardo vedendolo, la sua espressione si fece sgomenta.

      “EREC!” gridò confusa.

      Erec vide diverse decine di membri della ciurma avvicinarsi a lei con delle torce in mano. Sorridevano tutti in modo grottesco, con la malvagità negli occhi, accerchiandola.

      “È ora che la condivida con noi,” disse uno di essi.

      “Ho intenzione di insegnare a questa principessa cosa vuol dire vivere con un marinaio,” disse un altro.

      Tutti scoppiarono a ridere.

      “Dopo di me,” disse un altro.

      “Non prima che io me la sia spassata per primo,” ribatté un altro.

      Erec lottava per liberarsi con tutte le sue forze mentre quegli uomini si facevano sempre più vicini. Ma non valse a nulla. Le sue spalle e le braccia erano intrappolate così saldamente da non riuscire neppure a muoverle.

      “ALISTAIR!” gridò disperato.

      Non poteva fare altro che restare a guardare continuando a penzolare lassù.

      Tre marinai improvvisamente balzarono addosso ad Alistair alle sue spalle. Lei gridò mentre la tiravano in piedi, le strappavano la camicia e le stringevano le braccia dietro al schiena. La tennero stretta mentre numerosi altri marinai si avvicinavano.

      Erec osservò attentamente la nave cercando dove fosse il capitano: lo vide sulla parte più alta del ponte, intento a osservare la scena.

      “Capitano!” gridò Erec. “Questa è la tua nave. Fai qualcosa!”

      Il capitano lo guardò, poi lentamente si voltò dando le spalle a ciò che stava accadendo, come se non volesse esserne testimone.

      Erec guardò, disperato, mentre un marinaio prendeva un pugnale e lo puntava alla gola di Alistair, che strillò.

      “NO!” gridò Erec.

      Era come guardare un incubo che si dispiegava davanti ai suoi occhi, e la cosa peggiore era che lui non poteva fare nulla.

      CAPITOLO CINQUE

      Thorgrin affrontava Andronico: i due erano soli sul campo di battaglia e attorno a loro giacevano i corpi di soldati morti. Sollevò la spada in aria e la calò contro il petto di Andronico. Nello stesso istante Andronico lasciò cadere le proprie armi, sorrise e allungò le braccia per stringerlo a sé.

      Figlio mio.

      Thor cercò di bloccare il colpo, ma era troppo tardi. La spada trapassò suo padre e lui subito si sentì assalito dal dolore.

      Thor sbatté le palpebre e si ritrovò a camminare verso un lontanissimo altare, tenendo Gwen per mano. Si rese conto che era la loro processione di nozze. Camminavano verso un sole rosso sangue e guardando da entrambi i lati Thor vide che i posti a sedere erano tutti vuoti. Si voltò a guardare Gwen e quando lei si girò verso di lui la sua pelle si fece secca e raggrinzita e lei divenne uno scheletro che si sbriciolò poi lasciando solo un cumulo di cenere ai suoi piedi.

      Thor si ritrovò quindi davanti al castello di sua madre. In qualche modo aveva attraversato il ponte sopraelevato ed era ora di fronte a un’immensa porta doppia, alta tre volte lui, dorata e splendente. Non c’era maniglia e lui vi picchiò contro le mani fino a farle sanguinare. Il rumore dei colpi risuonava ovunque, ma nessuno venne ad aprire.

      Thor lanciò la testa indietro e gridò: “Madre!”

      Cadde in ginocchio e nello stesso istante il terreno divenne fango. Thor scivolò in un dirupo, cadendo sempre più in basso, dimenandosi mentre scendeva di decine di metri verso un oceano che infuriava di sotto. Sollevò le mani al cielo e guardò il castello di sua madre che scompariva. Gridò.

      Thor aprì gli occhi, senza fiato, il vento che gli sferzava il volto. Si guardò attorno cercando di capire dove si trovava. Abbassò lo sguardo e vide un oceano che scorreva sotto di lui a velocità vertiginosa. Guardò in alto e vide che si stava tenendo stretto a qualcosa di ruvido: quando udì il suono delle ali che sbattevano capì che era aggrappato alle scaglie di Micople, le mani ghiacciate per il freddo della notte, il volto intorpidito dalle folate di vento provenienti dal mare. Micople volava rapida, le ali che sbattevano senza tregua, e guardando davanti a sé Thor si rese conto di essersi addormentato in groppa a lei. Stavano ancora volando, come facevano ormai da giorni, sfrecciando nel cielo della notte, sotto un milione di luccicanti stelle rosse.

      Thor sospirò e si asciugò il collo sotto la nuca, dove era madido di sudore. Aveva giurato di rimanere sempre allerta, ma erano passati talmente tanti giorni, camminando e volando, cercando la Terra dei Druidi. Fortunatamente Micople, conoscendolo bene, aveva capito che si era addormentato e aveva volato stabilmente, assicurandosi che non cadesse. I due avevano viaggiato così tanto insieme che erano diventati un tutt’uno. Se da una parte Thor sentiva la mancanza dell’Anello, dall’altra era elettrizzato di essere di nuovo insieme alla cara amica: solo loro due nel mezzo di quel lungo viaggio. Da come faceva le fusa poteva dire con certezza che anche lei era felice di essere insieme a lui. Thor sapeva che Micople non avrebbe mai permesso che gli accadesse qualcosa di brutto e lui provava per lei gli stessi sentimenti.

      Thor guardò in basso e osservò le acque verdi, luminescenti e schiumanti del mare: era uno strano ed esotico oceano, mai visto prima, uno dei tanti che avevano oltrepassato durante la loro ricerca. Continuavano a volare verso nord, seguendo la direzione indicata dalla freccia sul cimelio che aveva trovato nel suo villaggio. Thor sentiva che si stavano avvicinando a sua madre, alla sua terra, alla Terra dei Druidi. Lo poteva percepire.

      Thor sperava che la freccia fosse precisa, ma dentro di sé era convinto che era così. Sentiva in ogni fibra del proprio essere che quell’oggetto lo stava portando vicino a sua madre, verso il suo destino.

      Thor si strofinò gli occhi, determinato a rimanere sveglio. Aveva creduto che a quell’ora avrebbero già trovato la Terra dei Druidi; gli pareva di aver già attraversato mezzo mondo. Per un momento si preoccupò: e se era tutta una fantasia? E se sua madre non esisteva? E se neppure la Terra dei Druidi esisteva? Magari era condannato a non trovarla mai.

      Cercò di scrollarsi di dosso tali pensieri e spinse Micople a proseguire.

      Più veloce, pensò.

      Micople mugolò e sbatté le ali con maggiore impeto, abbassando la testa e tuffandosi nella nebbia, dirigendosi verso un qualche punto all’orizzonte che – Thor lo sapeva bene – poteva anche non esistere.

      *

      Si fece giorno in un modo che Thor non aveva mai visto: il cielo era inondato