Морган Райс

Un Regno D’acciaio


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sotto di lui, così vicine da poterle toccare. Erano come una coperta colorata. Thor volava con Micople nella più bella alba che mai avesse visto: i diversi colori dei soli filtravano tra le nuvole, i raggi lo colpivano da ogni direzione. Si sentiva come se stesse volando all’origine del mondo.

      Thor diresse Micople verso il basso e sentì l’umidità man mano che si immergevano nella coltre di nubi: momentaneamente il suo mondo fu pervaso da diversi colori, poi si trovò accecato. Quando uscirono dalle nuvole Thor si aspettava di vedere un altro oceano, un’altra distesa di nulla.

      Ma questa volta si trovò dinnanzi qualcosa di diverso.

      Il cuore iniziò a battergli forsennatamente in petto quando vide sotto di sé il panorama che aveva sempre desiderato trovarsi davanti, la veduta che aveva occupato i suoi sogni. Lì, sotto di lui, si vedeva una terra. Era un’isola avvolta dalla nebbia, nel mezzo di un incredibile oceano, ampio e profondo. Il suo amuleto vibrava e vide che la freccia lampeggiava indicando verso il basso. Ma non aveva bisogno di guardare il cimelio per capire. Lo sentiva, lo percepiva in ogni fibra del suo corpo. Lei era lì. Sua madre. La magica Terra dei Druidi esisteva e lui era arrivato.

      Giù, amica mia, pensò Thor.

      Micople puntò verso il basso e man mano che si avvicinavano l’isola appariva sempre più nitida. Thor vide infinite file di fiori molto simili ai prati che aveva visto alla Corte del Re. Non riusciva a capire. L’isola gli sembrava così familiare, come se fosse appena tornato a casa. Si era aspettato una terra più esotica. Era strano quanto gli fosse invece misteriosamente familiare. Come poteva essere?

      L’isola era contornata da una vasta spiaggia di sabbia rossa luccicante, con le onde che vi si infrangevano contro. Quando furono più vicini, Thor vide qualcosa che lo sorprese: sembrava esserci un ingresso all’isola: due enormi pilastri si levavano verso il cielo, erano le colonne più alte che avesse mai visto: scomparivano nelle nuvole. Un muro, alto quasi una decina di metri, racchiudeva l’intera isola e pareva che l’unico accesso fosse possibile passando a piedi attraverso quei pilastri.

      Dato che si trovava in groppa a Micople, Thor decise che non c’era bisogno per loro di passare per l’ingresso. Sarebbero semplicemente volati al di sopra delle mura per atterrare all’interno dell’isola, dove avrebbero voluto. Dopotutto lui non era a piedi.

      Thor diresse Micople a volare oltre le mura, ma quando si avvicinarono, improvvisamente lei lo sorprese: gracchiò e tirò indietro, sollevano gli artigli in aria fino a trovarsi quasi verticale. Si fermò di colpo, come se fosse andata a sbattere contro uno scudo invisibile e Thor si tenne stretto non cadendo per un pelo. Le chiese di continuare a volare, ma Micople si rifiutò di procedere.

      E lì Thor si rese conto di cosa si trattava: l’isola era circondata da una sorta di scudo di energia, tanto potente che addirittura Micople non poteva attraversarlo. Nessuno poteva volare oltre le mura: bisognava necessariamente passare attraverso le colonne, a piedi.

      Thor guidò Micople e i due atterrarono sulla spiaggia rossa. Scesero tra le colonne e Thor cercò di dirigere Micople a volare attraverso esse, oltrepassando quei grandi cancelli per poter accedere alla Terra dei Druidi.

      Ma di nuovo Micople tirò indietro sollevano gli artigli.

      Non posso entrare.

      Thor sentì il pensiero di Micople scorrergli dentro. La guardò e vide che chiudeva i suoi enormi occhi scintillanti, quindi capì.

      Gli stava dicendo che avrebbe dovuto entrare nella Terra dei Druidi da solo.

      Thor scese a terra sulla sabbia rossa e si fermò tra i pilasti esaminandoli.

      “Non posso lasciarti qui, amica mia,” le disse Thor. “È troppo pericoloso per te. Se devo andare da solo, allora devo andare. Tu torna sana e salva a casa. Aspettami lì.”

      Micople scosse la testa e la abbassò a terra, rassegnata.

      Ti aspetterò sempre.

      Thor vide che era determinate a rimanere. Sapeva che era cocciuta e che non si sarebbe mossa da lì.

      Si chinò in avanti e le accarezzò le scaglie sul lungo naso, poi le diede un bacio. Lei sollevò la testa soddisfatta e la appoggiò sul suo petto.

      “Tornerò da te, amica mia,” disse Thor.

      Poi si voltò e si portò di fronte alle colonne, solide e dorate, splendenti al sole tanto da accecarlo quasi. Quindi fece il primo passo. Si sentiva vivo in un modo che non avrebbe mai immaginato mentre passava tra i pilastri, entrando nella Terra dei Druidi.

      CAPITOLO SEI

      Gwendolyn viaggiava in carrozza percorrendo la strada di campagna, conducendo la spedizione del suo popolo che si faceva strada verso occidente, allontanandosi dalla Corte del Re. Gwendolyn era felice che l’evacuazione fosse riuscita così ordinatamente fino a quel punto, soddisfatta per i progressi fatti dalla sua gente. Odiava il fatto di dover abbandonare la città, ma era fiduciosa che almeno avrebbero guadagnato abbastanza distanza per mettersi in salvo e portare a termine quella nuova missione: passare oltre l’Attraversamento Occidentale del Canyon, imbarcarsi sulla sua flotta di navi sulle sponde del Tartuvio e attraversare l’oceano per raggiungere le Isole Superiori. Sapeva che era l’unico modo per portare in salvo il suo popolo.

      Mentre marciavano – migliaia di persone a piedi attorno a lei, altre migliaia sui loro carri – il suono degli zoccoli dei cavalli le riempiva le orecchie insieme al rumore costante delle ruote dei carri e alle voci della gente. Gwen si ritrovò persa in quella monotona camminata, tenendo Guwayne al seno e cullandolo. Accanto a lei c’erano Steffen e Illepra che le tenevano compagnia da quando erano partiti.

      Gwendolyn guardò la strada davanti a sé e cercò di immaginarsi in un posto diverso da quello. Aveva lavorato così sodo per ricostruire il regno e ora eccola lì, in fuga. Stava mettendo in atto il suo piano di evacuazione di massa a causa dell’invasione dei McCloud, ma cosa più importante, a causa delle antiche profezie, degli indizi dategli da Argon, dei suoi stessi sogni e sensazioni di imminente sventura. E se si fosse sbagliata? Se si fosse trattato solo di sogni e preoccupazioni notturne? E se tutto nell’Anello fosse rimasto a posto? Se magari quella fosse solo una reazione esagerata, un’evacuazione non necessaria? Dopotutto lei avrebbe potuto portare il suo popolo in una qualsiasi altra città all’interno dell’Anello, come Silesia. Non doveva per forza portarli dall’altra parte dell’oceano.

      Eppure prevedeva una completa e totale distruzione dell’Anello. Da tutto quello che aveva letto e udito e da come si sentiva, quella distruzione era imminente. L’evacuazione era l’unico modo, ne era certa.

      Guardando l’orizzonte avrebbe volute che Thor potesse essere lì al suo fianco. Sollevò lo sguardo e fissò il cielo, chiedendosi dove si trovasse in quel momento. Aveva trovato la Terra dei Druidi? Aveva trovato sua madre? Sarebbe tornato da lei?

      E si sarebbero mai sposati?

      Gwen guardò Guwayne negli occhi e vide lo sguardo di Thor che la osservava, i suoi occhi grigi. Strinse il bambino a sé e cercò di non pensare al sacrificio che aveva dovuto decidere nel Mondo Inferiore. Si sarebbe avverato tutto? Il destino sarebbe stato così crudele?

      “Mia signora?”

      Gwen sobbalzò all’udire quelle voce. Si voltò a guardare Steffen che indicava il cielo. Notò che tutt’attorno a lei la sua gente si stava fermando, quindi improvvisamente anche la sua carrozza si immobilizzò. Rimase confusa, sbalordita che il cocchiere avesse fermato il carro senza un suo comando.

      Gwen seguì il dito di Steffen e lì, all’orizzonte, fu scioccata dal vedere tre frecce volare in aria, infuocate, a disegnare un arco andando ad atterrare come stelle cadenti. Era scioccata: tre frecce infuocate potevano significare solo una cosa: era il segno dei MacGil. Gli artigli del falco, usati per dichiarare vittoria. Era un segno utilizzato da suo padre e dal padre di suo padre, un segno inteso solo dai MacGil. Era impossibile sbagliarsi: significava che i MacGil avevano vinto. Avevano ripreso la Corte del Re.

      Ma