ribatté Strom. “Ho vissuto con lui, sono cresciuto con lui sull’isola per tutta la vita, mentre tu bighellonavi in giro per l’Anello. Lo conoscevi appena. E io dico che nostro padre avrebbe combattuto.”
Erec scosse la testa.
“Sono parole semplici per un soldato,” ribatté. “Se fossi un comandante le tue parole potrebbero essere diverse. Conoscevo abbastanza bene nostro padre da sapere che avrebbe salvato i suoi uomini a ogni costo. Non era avventato, né impetuoso. Era orgoglioso, ma non traboccante di fierezza. Nostro padre il soldato, da giovane, come te, magari avrebbe combattuto; ma nostro padre il re sarebbe stato prudente e avrebbe preferito vivere per combattere piuttosto un altro giorno. Ci sono cose che capirai, Strom, quando crescerai e diventerai un uomo.”
Strom arrossì.
“Sono più uomo di te.”
Erec sospirò.
“Non capisci veramente cosa significhi battaglia,” gli disse. “Non fino a quando perdi. Non fino a quando vedi i tuoi uomini morire davanti ai tuoi occhi. Tu non hai mai perso. Sei rimasto al riparo sull’isola per tutta la vita. E questo ha plasmato la tua arroganza. Ti voglio bene in quanto fratello, ma non da comandante.”
Fecero silenzio, una sorta di tesa tregua, mentre Erec sollevava lo sguardo verso la notte guardando le infinite stelle e contemplando la situazione. Amava veramente suo fratello, ma troppo spesso nella vita avevano litigato su ogni cosa. Non vedevano proprio le cose nello stesso modo. Erec si concesse del tempo per raffreddarsi, per respirare profondamente, poi si voltò verso Strom.
“Non intendo che ci arrendiamo,” aggiunse con maggiore calma. “Non da prigionieri e non da schiavi. Devi guardare la situazione da un punto di vista più ampio: la resa a volte è solo il primo passo verso la battaglia. Non ti scontri sempre con un nemico con le spade già sguainate: a volte il miglior modo per combattere è a braccia aperte. Puoi sempre brandire la spada più tardi.”
Strom lo guardò confuso.
“E poi come prevedi di tirarci fuori da tutto ciò?” gli chiese. “Abbiamo ceduto le nostre armi. Siamo prigionieri, legati, incapaci di muoverci. Siamo accerchiati da una flotta di mille navi. Non abbiamo alcuna possibilità.”
Erec scosse la testa.
“Non stai guardando il quadro intero,” gli disse. “Nessuno dei nostri uomini è morto. Abbiamo ancora le nostre navi. Saremo anche prigionieri, ma vedo poche guardie dell’Impero su ciascuna delle nostre navi, il che significa che siamo in strepitosa maggioranza. Tutto ciò che serve è una scintilla per appiccare il fuoco. Possiamo prenderli di sorpresa, quindi possiamo scappare.”
Strom scosse la testa.
“Non possiamo batterli,” gli disse. “Siamo legati, inermi, quindi i numeri non contano nulla. E anche se potessimo, verremmo annientati dalla flotta che ci circonda.”
Erec si voltò ignorando su fratello, non interessato al suo pessimismo. Guardò invece Alistair, seduta a qualche metro da lui, legata a un palo dall’altra parte. Gli si spezzò il cuore a guadarla: era lì seduta prigioniera, tutto a causa sua. Per se stesso non gli interessava essere prigioniero: era il prezzo della guerra. Ma a guardare lei gli si spezzava il cuore. Avrebbe dato qualsiasi cosa per non vederla in quello stato.
Erec si sentiva talmente in debito con lei: gli aveva salvato la vita un’altra volta al Dorso del Drago, contro il mostro marino. Sapeva che era ancora debole per lo sforzo, sapeva che sarebbe stata incapace di raccogliere ogni genere di energia. Ma Erec sapeva anche che Alistair era la loro unica speranza.
“Alistair,” la chiamò di nuovo, come aveva fatto tutta la notte, a intervalli di pochi minuti. Si chinò verso di lei e con il piede sfiorò il suo, esortandola delicatamente. Avrebbe fatto ogni cosa per sciogliere le corde, per essere capace di avvicinarsi a lei, per abbracciarla, per liberarla. Era la peggiore sensazione di inutilità starle vicino e non poter fare nulla.
“Alistair,” la chiamò. “Per favore. Sono Erec. Svegliati. Ti imploro. Ho bisogno di te, abbiamo tutti bisogno di te.”
Attese, come aveva fatto tutta la notte, perdendo le speranze. Non sapeva se sarebbe mai tornata da lui dopo il suo ultimo sforzo.
“Alistair,” la implorò ancora e ancora. “Per favore. Alzati per me.”
Erec attese, guardandola, ma lei non si mosse. Era così ferma, priva di conoscenza, bella come non mai alla luce della luna. Erec avrebbe voluto che tornasse in vita.
Poi distolse lo sguardo, abbassò la testa e chiuse gli occhi. Forse era tutto perduto, dopotutto. Semplicemente a quel punto non c’era altro che potesse fare.
“Sono qui,” disse una voce leggera, risuonando nella notte.
Erec sollevò lo sguardo pregno di speranza e si voltò vedendo Alistair che lo guardava. Il cuore iniziò a battergli con maggior forza, sopraffatto di amore e gioia. Appariva esausta, gli occhi aperti a malapena, e lo guardava con sguardo assonnato.
“Alistair, amore mio,” le disse con urgenza. “Ho bisogno di te. Solo quest’ultima volta. Non posso fare questa cosa senza di te.”
Lei chiuse gli occhi a lungo, poi li riaprì appena.
“Cosa ti serve?” gli chiese.
“Le nostre funi,” le disse. “Abbiamo bisogno che ci liberi. Tutti.”
Alistair chiuse ancora gli occhi e trascorse parecchio tempo durante il quale Erec non poté sentire altro che il vento che accarezzava la nave, il gentile sciabordio delle onde contro lo scafo. Un pesante silenzio riempì l’aria e mentre passava altro tempo, Erec ebbe la certezza che non li avrebbe più riaperti.
Alla fine, lentamente, la vide aprire gli occhi di nuovo.
Con quello che apparve essere uno sforzo estremo, Alistair sollevò le palpebre, alzò il mento e si guardò attorno nella nave, osservando tutto con attenzione. Vide che i suoi occhi cambiavano colore, brillando di blu e accendendo la notte come due torce.
Improvvisamente le funi di Alistair si ruppero. Erec le sentì spezzarsi nella notte, poi la vide sollevare le mani davanti a sé. Fece scaturire da esse una luce intensa.
Un attimo dopo Erec sentì un intenso calore dietro la schiena, lungo i polsi. Erano incredibilmente caldi, poi improvvisamente le funi iniziarono ad allentarsi. Con uno strappo alla volta Erec sentì che tutte le corde si rompevano fino a che fu capace di finire il lavoro da solo.
Erec sollevò i polsi e li guardò incredulo. Era libero. Era veramente libero.
Udì uno schiocco di corde e si voltò vedendo che anche Strom si liberava dalle funi. Gli schiocchi continuarono in tutta la nave e anche sulle altre ed Erec vide tutti i suoi uomini liberarsi, uno alla volta.
Guardarono tutti Erec che si portò un dito alle labbra facendo loro segno di fare silenzio. Erec vide che le guardie non si erano accorte di nulla. Tutte davano loro le spalle, in piedi al corrimano, parlando tra loro e guardando la notte. Ovviamente nessuno di loro era allerta.
Erec fece cenno a Strom e agli altri di seguirlo e in silenzio fece strada strisciando verso le guardie.
“Ora!” ordinò.
Scattò in azione e tutti lo seguirono, correndo all’unisono fino a che raggiunsero le guardie. Quando furono vicini alcuni dei soldati, allertati dagli scricchiolii del legno sul ponte, si voltarono iniziando a sguainare la spada.
Ma Erec e gli altri, tutti duri guerrieri, tutti disperatamente desiderosi di ottenere una possibilità di sopravvivenza, li batterono sul tempo muovendosi velocissimi nella notte. Strom balzò addosso a uno di essi e gli afferrò il polso prima che potesse girarsi. Erec portò una mano alla cintura dell’uomo, sguainò il suo pugnale e gli tagliò la gola mentre Strom gli prendeva la spada. Nonostante tutte le loro differenze i due fratelli lavoravano perfettamente insieme, combattendo come fossero una persona sola.
Gli uomini di Erec strapparono le armi alle guardie, uccidendole