spada di andare da lei. L’arma si sollevò dal suo fodero e volò in aria, proprio verso il suo palmo aperto.
Con un solo movimento Alistair la afferrò con forza, ruotò, la sollevò in aria e la calò dietro al collo esposto di Bowyer.
La folla sussultò scioccata mentre la lama tagliava la carne e Bowyer, decapitato, collassava al suolo privo di vita.
Rimase morto a terra, nel preciso punto dove pochi attimi prima avrebbe voluto vedere Alistair morta.
Dalla folla si levò un grido e Alistair vide Dauphine che si liberava dalla presa del soldato, poi afferrava un pugnale dalla cintura dello stesso e gli tagliava la gola. Con lo stesso movimento si voltò e tagliò le funi che tenevano legato Strom. Strom afferrò subito una spada dalla mano di un altro soldato, ruotò e tagliò la gola a tre degli uomini di Bowyer prima che questo potessero neanche reagire.
Con Bowyer morto vi fu un momento di esitazione: la folla chiaramente non sapeva cosa fare. Le grida si levarono tra la gente, dando forza a tutti quelli che si erano trovati ad allearsi con lui con riluttanza. Stavano ora riconsiderando la loro posizione, specialmente mentre decine di uomini leali ad Erec rompevano i ranghi e correvano al fianco di Strom combattendo insieme a lui, corpo a corpo, contro i fedeli di Bowyer.
Lo slancio passò presto in favore degli uomini di Erec man mano che un uomo alla volta, una fila alla volta, le alleanze di riformavano. Gli uomini di Bowyer, presi alla sprovvista, si voltarono e fuggirono attraversando la piana fino al versante roccioso della montagna. Strom e i suoi uomini li seguirono da vicino.
Alistair rimase ferma, con la spada ancora in mano, guardando la grandiosa battaglia che si stava scatenando nella campagna, le grida e i corni che riecheggiavano mentre l’intera isola sembrava lanciarsi alla carica, scatenando la guerra da una parte e dall’altra. Il suono delle armature sferraglianti e delle grida di morte degli uomini riempirono l’aria e Alistair capì che era appena scoppiata una guerra civile.
Alistair sollevò la propria spada che brillava al sole, e capì di essere stata salvata dalla grazia divina. Si sentì rinata, più potente che mai, e sentì che il suo destino la stava chiamando. Era traboccante di ottimismo. Gli uomini di Bowyer sarebbero stati uccisi, lo sapeva. La giustizia avrebbe vinto. Erec sarebbe salito al trono. Si sarebbero sposati. E presto lei sarebbe stata la regina delle Isole del Sud.
CAPITOLO SEI
Dario correva lungo il sentiero di terra battuta che portava fuori dal villaggio e seguiva le impronte che conducevano a Volusia. Aveva nel cuore la determinazione di salvare Loti e uccidere gli uomini che l’avevano presa. Correva con una spada in mano: una spada vera, fatta di vero metallo. Era la prima volta che ne impugnava una. Solo quello era sufficiente, lo sapeva bene, per far uccidere lui e tutto il suo villaggio. Il metallo era un tabù, anche se suo padre e il padre di suo padre temevano possederne e Dario sapeva di aver oltrepassato un confine dal quale non c’era via di ritorno. Ma a Dario non interessava più. Aveva subito troppe ingiustizie nella sua vita. Con la scomparsa di Loti non poteva pensare ad altro che a recuperarla. Aveva avuto appena un’occasione per conoscerla, ma paradossalmente gli pareva che lei fosse tutta la sua vita. Una cosa era che lui venisse preso e portato via come schiavo, ma che fosse lei ad essere portata via…questo era troppo. Non poteva permettere che venisse portata via e continuare a considerarsi un uomo. Era ancora un ragazzo, lo sapeva, ma stava diventando uomo. Ed erano proprio queste decisioni, se ne rendeva conto, queste dure decisioni che nessun altro avrebbe preso, a renderlo veramente un uomo.
Dario correva solo lungo la strada, con il sudore che gli scorreva negli occhi, respirando affannosamente, un uomo pronto ad affrontare un esercito, una città intera. Non c’era alternativa. Aveva bisogno di trovare Loti e portarla indietro, oppure morire nel tentativo. Sapeva che se avesse fallito – o anche se avesse avuto successo – questo avrebbe scatenato la vendetta contro tutto il suo villaggio, contro tutto il suo popolo. Se si fosse fermato a pensarci avrebbe anche potuto tornare indietro.
Ma c’era qualcosa a guidarlo che era più forte del suo stesso istinto di sopravvivenza, dell’istinto di sopravvivenza della sua famiglia e della sua gente. Era guidato da un desiderio di giustizia. Per la libertà. Da un desiderio di eliminare l’oppressore ed essere libero, anche se solo per un momento nella sua vita. Se non per se stesso, allora per Loti. Per la sua libertà.
Dario era guidato dalla passione e non dal pensiero logico. C’era l’amore della sua vita là fuori e lui aveva sofferto un po’ troppe volte per mano dell’Impero. Qualsiasi fossero le conseguenze, non gli interessava più. Aveva bisogno di mostrare loro che c’era un uomo tra la sua gente, anche se era solo un uomo, addirittura solo un ragazzo che non aveva intenzione di abbassarsi al loro trattamento.
Dario continuò a correre, girando e svoltando facendosi strada attraverso campi che gli erano familiari, fino ad arrivare nella periferia del territorio di Volusia. Sapeva che solo essere scovato lì, così vicino a Volusia, gli sarebbe costato la vita. Seguiva le tracce raddoppiando la velocità, vedendo le orme di zerta vicine e sapendo che si stavano muovendo lentamente. Sapeva che se avesse proseguito abbastanza velocemente avrebbe potuto prenderli.
Dario svoltò dietro a una collina e finalmente, in lontananza, scorse ciò che stava cercando: lì a forse cento metri da lui, c’era Loti incatenata al collo con spesse catene di ferro lunghe quasi dieci metri che la tenevano legata ai finimenti della zerta. Sulla zerta sedeva il supervisore dell’Impero, quello che l’aveva rapita. Le dava le spalle e al suo fianco, a piedi, si trovavano altri due soldati dell’Impero con addosso la tipica armatura nera e oro che scintillava al sole. Erano grossi quasi il doppio di Dario, guerrieri formidabili, uomini con le armi migliori e una zerta al comando. Dario sapeva bene che ci sarebbe voluto un esercito di schiavi per sopraffare quei soldati.
Ma Dario non aveva paura di imbattersi in loro. Tutto ciò che aveva a trasportarlo era il suo spirito, la sua forte determinazione, e sapeva che doveva trovare un modo perché questo gli bastasse.
Continuò a correre avvicinandosi sempre più alla carovana che non si aspettava di averlo alle calcagna e presto fu alle loro spalle, correndo verso Loti da dietro, sollevando la spada in alto e colpendo con forza la catena che la teneva legata alla zerta mentre lei lo guardava con espressione sbalordita.
Loti gridò e fece un balzò indietro, scioccata mentre Dario tagliava le sue catene liberandola. Il caratteristico suo o del metallo squarciò l’aria. Loti rimase ferma, libera, le catene ancora attaccate al collo e penzolanti sul petto.
Dario si voltò e vide un’espressione di pari sbigottimento anche sul volto del supervisore dell’Impero che lo guardava dalla sua zerta. I soldati che camminavano a terra accanto a lui si fermarono, tutti sorpresi di vedere Dario.
Dario rimase lì con le braccia tremanti, tendendo verso di loro la sua spada di metallo e determinato a non mostrare paura, difendendo Loti.
“Non ti appartiene,” gridò con voce tremante. “È una donna libera. Siamo tutti liberi!”
I soldati guardarono il supervisore.
“Ragazzo,” disse questi a Dario, “hai appena fatto l’errore più grande della tua vita.”
Fece un cenno ai suoi soldati che sollevarono le loro spade contro di lui e lo attaccarono.
Dario rimase impassibile, tenendo la spada con mani tremanti, ed ebbe la sensazione che i suoi antenati lo stessero guardando. Sentiva che tutti gli schiavi uccisi in passato lo stavano guardando e sostenendo. E iniziò a sentire un forte calore crescere dentro di sé.
Percepì il suo potere nascosto che iniziava a muoversi, chiedendogli di essere usato. Ma Dario non voleva concedersi di utilizzarlo. Voleva combattere uomo contro uomo, batterli come li avrebbe battuti qualsiasi normale essere umano, mettere in pratica l’allenamento con i suoi fratelli d’armi. Voleva vincere da uomo, combattere come un uomo con reali armi di metallo e sconfiggerli con i loro stessi mezzi. Era sempre stato più veloce di tutti gli altri ragazzi più grandi, con le loro lunghe spade di legno e la struttura muscolosa, anche ragazzi che erano il doppio di lui. Rimase saldo al suo posto e