gli rispose lei.
Dario sapeva che doveva fare qualcosa: non poteva stare lì e aspettare che lo raggiungessero. Sapeva che doveva sorprenderli, fare qualcosa che non si aspettavano.
Improvvisamente si lanciò all’attacco scegliendo uno dei due soldati e correndo verso di lui. Si scontrarono nel mezzo della radura polverosa e Dario lanciò un forte grido di battaglia. Il soldato fece roteare la propria spada verso la sua testa, ma Dario parò il colpo. Le loro spade sprizzarono scintille nel primo impatto di metallo contro metallo che Dario avesse mai provato. La lama era più pesante di quanto si aspettasse, il colpo del soldato più forte e lui sentì una forte vibrazione, sentì tutto il braccio che gli tremava fino al gomito e alla spalla. Questo lo prese alla sprovvista.
Il soldato si voltò velocemente intenzionato a colpire Dario di lato, ma anche lui si voltò e parò il colpo un’altra volta. Non aveva niente di simile ai combattimenti con i suoi compagni: Dario sentiva che si stava muovendo più lentamente del solito e che la spada era troppo pesante. Gli ci voleva tempo per abituarcisi e sembrava che l’altro soldato si stesse muovendo al doppio della sua velocità.
Il soldato colpì di nuovo e Dario si rese conto che non sarebbe riuscito a batterlo colpo dopo colpo: avrebbe dovuto fare affidamento sugli altri poteri che possedeva.
Si fece da parte schivando il colpo anziché pararlo e poi diede una gomitata nella gola al soldato. Lo prese perfettamente. L’uomo tossì e barcollò indietro, chinandosi e portandosi le mani al collo. Dario sollevò l’elsa della spada e gli diede un colpo alla schiena mandandolo a faccia in giù nella terra.
In quel momento anche l’altro soldato attaccò e Dario si voltò, sollevò la spada e bloccò il potente colpo che stava scendendo verso il suo volto. Il soldato continuò a lanciarsi contro di lui mandando Dario a terra.
Dario sentì la cassa toracica che quasi gli si spezzava mentre il soldato si trovava sopra di lui ed entrambi atterravano al suolo sollevando una grossa nuvola di polvere. Il soldato lasciò andare la spada e allungò le mani cercando di accecare Dario con le dita.
Dario gli afferrò i polsi, tenendoli fermi con mani tremanti ma perdendo terreno. Capì che doveva fare presto qualcosa.
Sollevò un ginocchio e si girò, riuscendo a portare l’uomo di lato. Con lo stesso movimento estrasse il lungo pugnale che aveva visto alla cintura dell’avversario e lo sollevò spingendolo nel petto dell’uomo mentre rotolavano a terra.
Il soldato gridò e Dario rimase sopra di lui guardandolo morire davanti ai suoi occhi. Rimase immobile e scioccato. Era la prima volta che uccideva un uomo. Era un’esperienza surreale. Si sentiva vittorioso e rattristato allo stesso tempo.
Dario udì un grido da dietro che lo riportò alla realtà si voltò vedendo l’altro soldato, quello che aveva atterrato per primo, che si era rimesso in piedi e correva verso di lui. Sollevò la spada facendola roteare intenzionato a colpirgli la testa.
Dario attese, concentrato, poi schivò il colpo all’ultimo momento e il soldato inciampò passando oltre.
Dario prese il pugnale dal petto dell’uomo morto e si voltò mentre anche il soldato si girava e tornava indietro. Dario, in ginocchio, si chinò e lanciò il coltello.
Lo vide roteare in aria e andare a conficcarsi nel cuore del soldato, perforandogli l’armatura. Lo stesso metallo dell’Impero, secondo a nessuno, usato contro loro stessi. Forse, pensò Dario, avrebbero dovuto forgiare armi meno affilate.
Il soldato cadde in ginocchio con gli occhi strabuzzati e cadde di lato, morto.
Dario udì un grido alle sue spalle e balzò in piedi voltandosi di scatto vedendo che il supervisore scendeva dalla zerta. Gli lanciò uno sguardo torvo e sguainò al spada lanciandosi contro Dario urlando.
“Ora ti dovrò uccidere io stesso,” gli disse. “Ma non mi limiterò ad ammazzarti: torturerò lentamente te, la tua famiglia e tutto il tuo villaggio!”
Si lanciò contro Dario.
Il supervisore dell’Impero era indubbiamente un grandioso soldato, migliore degli altri, più alto e robusto, con una spessa armatura. Era un duro guerriero, il più forte contro il quale Dario si fosse mai battuto. Dario dovette ammettere di provare paura di fronte a quel formidabile avversario, ma si rifiutò di darlo a vedere. Era invece determinato a combattere oltre la sua paura, rifiutando di permettere a se stesso di sentirsi intimidito. Era solo un uomo, si disse Dario, e tutti gli uomini possono cadere.
Tutti gli uomini possono cadere.
Dario sollevò la spada mentre il supervisore si lanciava su di lui facendo roteare la propria, che scintillava al sole, con entrambe le mani. Dario si spostò e bloccò il colpo. L’uomo tirò un altro fendente.
Destra e sinistra, destra e sinistra, il soldato colpiva e Dario parava mentre il forte rumore del metallo gli risuonava nelle orecchie e le scintille volavano ovunque. L’uomo lo spinse indietro, sempre più in là, e Dario serviva tutta la sua forza per tenerlo a bada. L’uomo era rapido e forte e Dario era preoccupato di rimanere in vita.
Si ritrovò a bloccare un colpo un po’ troppo lentamente e gridò di dolore quando il supervisore trovò uno spazio e lo colpì al bicipite. Era una ferita leggere, ma dolorosa e Dario sentì i sangue, la sua prima ferita di combattimento. Rimase un attimo pietrificato.
Fu un errore. Il supervisore prese vantaggio della sua esitazione e gli diede un manrovescio con il guanto di ferro. Dario sentì un forte dolore alla guancia e alla mascella quando gli colpì la faccia e mentre il ceffone lo spingeva indietro facendolo barcollare per diversi metri, Dario si tenne a mente di non fermarsi mai e controllare la situazione in ogni secondo in battaglia.
Mentre assaggiava il sangue sulle labbra si sentì pervadere dalla furia. Il supervisore lo attaccò di nuovo lanciandosi contro di lui, grosso e forte, ma questa volta, con il dolore che gli vibrava sulla guancia e il sangue sulla lingua, Dario non si lasciò intimidire. I primi colpi di battaglia erano stati incisivi e Dario si era reso conto che, per quanto fossero dolorosi, non erano poi così male. Era ancora in piedi, respirava ancora, era ancora vivo.
E questo significava che poteva ancora combattere. Poteva ancora colpire e andare avanti. Essere feriti non era così male come aveva temuto. Poteva anche essere più piccolo, avere meno esperienza, ma si rendeva conto che le sue abilità erano buone come quelle di qualsiasi altro uomo, quindi potevano essere altrettanto mortali.
Dario lanciò un forte grido gutturale e si lanciò in avanti, questa volta tuffandosi nel combattimento invece di schivarlo. Non aveva più paura di essere ferito: sollevò la spada gridando e la calò contro il suo avversario. L’uomo parò il colpo, ma Dario non si arrese, continuando a roteare e colpire ripetutamente, spingendo il supervisore indietro nonostante la sua stazza e la sua forza.
Dario combatteva per la propria vita, per loti, per tutto il suo popolo, i suoi fratelli d’armi e, colpendo a destra e a sinistra più veloce che mai, senza lasciarsi rallentare dal peso dell’acciaio, trovò finalmente un varco. Il supervisore gridò di dolore mentre Dario lo colpiva al fianco.
Si voltò e lanciò a Dario un’occhiata torva, prima di sorpresa, poi di vendetta.
Gridò come un animale ferito e si lanciò contro di lui. L’uomo gettò a terra la spada, corse in avanti e prese Dario in una sorta di abbraccio. Lo sollevò da terra stringendolo con tale forza da fargli cadere la spada di mano. Accadde tutto così rapidamente e fu una mossa così inaspettata che Dario non riuscì a reagire in tempo. Si era aspettato che l’avversario usasse la spada, non i suoi pugni.
Dario, sospeso in aria, sbuffando, sentì che ogni osso del suo corpo stava per spezzarsi e gridò di dolore.
Il supervisore lo strinse con maggiore forza, così forte che Dario fu certo di morire. Poi l’uomo si inarcò e gli diede una testa colpendogli il naso.
Dario sentì il sangue che sgorgava, provò un dolore orribile al volto e agli occhi, un dolore pungente che lo accecò. Era una mossa che non si era aspettato e mentre il supervisore