Морган Райс

Messaggi dallo Spazio


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seguirono la dottoressa Levin dall’edificio del SETI a un’auto che sembrava un po’ troppo piccola per appartenere a qualcuno di quella posizione.

      “È una macchina rispettosa dell’ambiente,” disse in un tono che suggeriva che avesse già affrontato quel genere di curiosità. “Venite, sarà più facile se venite tutti e due con me. Sono piuttosto severi in materia di sicurezza.”

      “Chi?” chiese la madre di Kevin.

      “La NASA.”

      Kevin rimase senza fiato. Stavano andando a parlare con la NASA? Parlando di alieni, era ancora meglio del SETI.

      Il tragitto attraverso Mountain View fu molto breve, al massimo una manciata di minuti. Lo stesso, per Kevin fu abbastanza lungo da permettergli di fissare fuori dai finestrini guardando le aziende altamente tecnologiche che si trovavano nella zona, ovviamente attirate da NASA e Berkeley. Era la presenza di un sacco di gente così intelligente che le aveva raggruppate lì.

      “Stiamo davvero andando alla NASA?” chiese Kevin. Quasi non ci poteva credere, il che non aveva senso, date tutte le cose a cui aveva dovuto credere negli ultimi giorni.

      Il campus della NASA era totalmente diverso dagli edifici del SETI. Era grande e costituito da diversi caseggiati disposti in uno spazio da cui si poteva avere una visuale sia delle colline circostanti che della baia. C’era un centro visitatori che era essenzialmente una tenda costruita su una scala che pareva difficile da contemplare, di colore bianco chiaro e contrassegnata dal marchio NASA. Andarono oltre però, arrivando a uno spazio che era chiuso al pubblico, dietro a una recinzione metallica e a una barriera dove la dottoressa Levin dovette mostrare un documento per poter accedere.

      “Mi aspettano,” disse.

      “E loro chi sono, signora?” chiese la guardia.

      “Questo è Kevin McKenzie con sua madre,” disse la dottoressa Levin. “Sono con me.”

      “Non sono sul…”

      “Sono con me,” disse ancora la dottoressa Levin, e per la prima volta Kevin ebbe la sensazione del genere di durezza legata alla sua posizione. La guardia esitò un momento, poi tirò fuori un paio di pass per visitatori che la dottoressa porse loro. Kevin appese il proprio attorno al collo, e gli parve come un trofeo, come un talismano. Con questo poteva andare dove voleva. Con questo la gente effettivamente gli credeva.

      “Dovremo andare nell’area ricerca,” disse la dottoressa Levin. “State attenti a non toccare niente, per favore, perché alcuni degli esperimenti sono delicati.”

      Fece strada all’interno di un edificio che appariva essere composto per lo più da delicate curve di acciaio e vetro. Era il genere di luogo che Kevin si era aspettato quando erano venuto a Mountain View. Era così che doveva essere un posto da dove si osservava lo spazio. C’erano laboratori dappertutto, con il genere di attrezzatura avanzata che lasciava immaginare che potessero testare quasi qualsiasi cosa lo spazio lanciasse dalla loro parte. C’erano laser e computer, panche e strumenti che sembravano appartenere all’ambito della chimica. C’erano laboratori pieni di attrezzi per la fusione e componenti forse di automobili, ma che Kevin voleva credere fossero veicoli da utilizzare su altri pianeti.

      La dottoressa Levin faceva domande alla gente man mano che passavano, tentando di capire dove si trovassero coloro che erano coinvolti nella novità del messaggio dalla Pioneer 11. Ogni volta che passavano vicino a qualcuno, si fermava, e Kevin ebbe l’impressione che conoscesse tutti lì. Il SETI poteva essere separato da tutto questo, proprio come diceva lei, ma era ovvio che la dottoressa Levin passasse lì un sacco di tempo.

      “Ehi, Marvin, dove sono tutti?” chiese a un uomo con la barba e una camicia a quadri.

      “Sono quasi tutti riuniti nel centro di ricerca del supercomputer,” disse. “Con una cosa del genere, vogliono vedere cosa si inventeranno le buche.”

      “Le buche?” chiese Kevin.

      La dottoressa Levin sorrise. “Vedrai.”

      “Loro chi sono?” chiese l’uomo con la barba.

      “Cosa diresti se ti raccontassi che il nostro Kevin qui può vedere gli alieni?” chiese la dottoressa Levin.

      Marvin rise. “Puoi giocare alla cacciatrice di alieni quanto vuoi, Elise. Sappiamo che sei scettica quanto tutti noi.”

      “Magari non su questo,” disse la dottoressa Levin. Guardò verso Kevin e sua madre. “Da questa parte.”

      Li condusse verso un’altra ala dell’edificio, e ora Kevin ebbe la sensazione di una sicurezza maggiore, con scanner di documenti e videocamere quasi in ogni angolo. E poi era probabilmente il posto più pulito in cui lui fosse mai stato. Molto più pulito, per esempio, della sua camera. Sembrava che neanche un granello di polvere avesse il permesso di accedervi senza un permesso, senza parlare dei mucchi di abiti vecchi che riempivano camera sua fino a che sua mamma non gli diceva di riordinare.

      I laboratori erano quasi vuoti in quel momento, e vuoti in un modo che suggeriva che fossero stati abbandonati di fretta perché stava accadendo qualcosa di più eccitante. Era facile vedere dove fossero andati tutti. C’era parecchia gente nei corridoi mentre loro si avvicinavano alla destinazione, intenti a scambiarsi pettegolezzi di cui Kevin colse solo qualche frammento qua e là.

      “C’è un segnale, un segnale vero.”

      “Dopo tutto questo tempo.”

      “Non sono solo dati telemetrici, o scansioni. C’è qualcosa… di diverso.”

      “Eccoci,” disse la dottoressa Levin quando arrivarono a una stanza dove la porta era stata lasciata aperta, ovviamente per permettere alla folla di persone di entrarvi. “Fateci passare, per favore. Dobbiamo parlare con Sam.”

      “Ecco.” Si rivelò essere un stanza ampia, piena di luci lampeggianti e circondata da passaggi che la facevano assomigliare un po’ a un teatro dove gli attori stavano ai computer. Kevin riconobbe che si trattava di computer, anche se non assomigliavano per niente al piccolo portatile a malapena funzionante che sua madre gli aveva comprato per la scuola. Questi erano dispositivi grandi come tavolini, come automobili, come stanze, tutti di colore nero opaco e con lucine lampeggianti. Le persone che vi stavano vicino, in piedi o sedute, indossavano dei camici come quelli degli scienziati negli show televisivi.

      “Impressionato?” chiese la dottoressa Levin.

      Kevin poté solo annuire. Non aveva parole per un posto come quello. Era… incredibile.

      “Cos’è questo posto?” chiese sua madre, e Kevin non sapeva dire se fosse un bene o un male che neanche sua madre riuscisse a capire.

      “È dove la NASA fa le sue ricerche al supercomputer,” spiegò la dottoressa Levin. “Si lavora su IA, computazione quantistica, superconduttori più avanzati. Sono anche strumenti che vengono usati per lavorare su… questioni complesse. Venite, dobbiamo parlare con Sam.”

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