delle due sorelle Swanson interessava molto crescere.
Bryn le si avvicinò e la sgomitò. “Quindi… primo giorno di lavoro dopo la pausa. Come ti senti?”
“Sto bene,” rispose lei. “Sarà tutto diverso senza Joshua a rovinare l’atmosfera. Soprattutto non vedo l’ora di rivedere Nina. E ovviamente sono in ansia di scoprire quale sarà il prossimo progetto che Elliot mi affiderà.”
“Sarà un altro viaggio all’estero?” ipotizzò Bryn.
“Ne dubito,” commentò Keira. “Anche se un po’ di sole mi farebbe bene!” Scoppiò a ridere e lanciò uno sguardo fuori dalla finestra verso il cielo autunnale di New York, carico di nubi.
“E anche tornare al tuo letto,” scherzò Bryn, dando una pacca sul divano.
“A questo proposito…” esordì Keira. “Voglio assicurarti che non ho intenzione di rimanere qui per sempre. È solo che ci sto mettendo un po’ più di quanto avevo pensato per trovare un appartamento. E prima mi servirebbe anche riavere la cauzione della casa che dividevo con Zach. Lo sai quanto la sta tirando per le lunghe.”
“Non è un problema,” disse Bryn, accantonando la sua giustificazione. “Rimani tutto il tempo che ti serve. Basta che non mi giudichi per gli uomini che mi porto a casa.” Fissò la sorella con uno sguardo severo. “Ho visto come mi guardi certe volte.”
Keira scoppiò a ridere. “Credo solo che se riuscissi a vedere quanto sei bella veramente, non perderti tutto questo tempo con degli uomini orrendi.”
Bryn roteò gli occhi. “Lasciamo perdere. Dunque, perché pensi che non ti manderanno di nuovo all’estero?”
“Non lo so.” Keira alzò le spalle. “Perché non sarebbe giusto nei confronti degli altri scrittori, tanto per iniziare. Sembrerebbe favoritismo.”
“Non dimenticarti che ormai sei a un livello più alto.” Le sottolineò Bryn. “E favoritismo è una parola molto infantile da usare. Si tratta di lavoro. Se sei più brava degli altri, allora è così e basta. Impara ad accettarlo.”
Keira non condivideva la sicurezza di sua sorella. Si agitò a disagio. “Beh, in ogni caso, anche se fosse all’estero, non potrei andarci.” Pensò a Shane e sorrise con aria sognante. “Ho dei progetti qui.”
“Ah, sì,” disse Bryn, sogghignando. “Il fidanzato. Tra quanto arriverà?”
La mente di Keira evocò l’immagine dell’affascinante volto di Shane, la barba incolta sulla sua mascella scolpita, i meravigliosi occhi blu, e fluttuò attraverso una miriade di fantastici ricordi del mese che avevano passato a innamorarsi l’uno dell’altra.
“Una settimana,” rispose con un sospiro estatico, ripensando alla sensazione delle sue labbra sulle proprie, il tocco di quelle dita sulla pelle. “E a questo proposito, devo proprio chiamarlo.”
Doveva essere quasi mezzanotte in Irlanda, dove viveva Shane, e quindi sarebbe stata la sua ultima possibilità di parlare con lui prima che andasse a dormire. Così avrebbe dovuto sopportare otto ore senza Shane, mentre il ragazzo dormiva. Nessuna comunicazione, niente messaggi provocanti o battute buffe. Quelle otto ore erano quasi insopportabili per Keira, tanto era intensa la sua voglia di lui al momento.
“Lo chiami tutte le mattine?” chiese Bryn, sorpresa.
Keira percepì un accenno di disprezzo nella voce della sorella. Era una single perenne e una maniaca degli appuntamenti, cosa che la rendeva immediatamente sospettosa di chiunque dichiarasse di aver trovato l’amore.
“Già,” rispose Keira. “Di solito stai ronfando e quindi non te ne accorgi.”
“Beh, secondo me non è sano,” iniziò Bryn. “Dipendi già troppo da lui.”
Keira si alzò roteando gli occhi verso il cielo. L’attività preferita di Bryn era dare aria alla bocca, nonostante fosse un modello di comportamento tremendo. Invece lei era convinta che se solo avesse saputo, se solo avesse visto, ciò che condivideva con Shane, non sarebbe stata tanto sicura di sé.
Keira si chiuse in bagno con il telefono, consapevole che quello fosse l’unico luogo dove avrebbe potuto avere un po’ di privacy nel minuscolo appartamento di Bryn, e fece il numero di telefono di Shane. Un familiare brivido di eccitazione la attraversò tutta mentre aspettava, ascoltando il segnale di libero, in attesa di sentire di nuovo la sua voce affascinante. Non vedeva l’ora di raccontargli delle cose interessanti che aveva organizzato per la sua visita, tutte le attrazioni di New York che voleva svelargli, dagli assaggi di cibo lungo il Restaurant Row alle passeggiate sul fiume a Tribeca, per poi passare al Tenement Museum, ai giardini a Battery Park, al frutteto fuori città e le gallerie d’arte a Chelsea. L’itinerario era strapieno e sapeva che Shane sarebbe stato emozionato dalla sua visita della città quanto lei lo era di mostrargliela.
Finalmente rispose alla chiamata e il cuore di Keira prese a battere forte. Invece della solita voce allegra, Shane aveva un tono provato. E piuttosto che iniziare la chiamata con un nomignolo esagerato e buffo, come coniglietta o fiorellino, usò il suo vero nome.
“Keira, ehi,” disse, sembrando esausto, come se avesse avuto la giornata peggiore che si potesse immaginare.
La gioia di Keira si trasformò subito in angoscia. In lontananza sentiva suoni poco familiari, diverse conversazioni sovrapposte e telefoni che squillavano.
“Che cosa è successo?” chiese, iniziando a spaventarsi. “Dove sei?”
“All’ospedale.”
“Oh, mio Dio, perché?” Il cuore di Keira perse un colpo per la paura, e una miriade di possibilità le riempì la mente. “Sei ferito? Malato?”
“Non è per me,” rispose lui. “Io sto bene. È per mio padre.”
Un’immagine del padre di Shane, Calum Lawder, le apparve davanti agli occhi. Era una delle persone più gentili e dolci che avesse mai avuto la fortuna di incontrare. L’idea che gli fosse successo qualcosa era agghiacciante.
“Sta bene? Dimmi che cosa sta succedendo!”
Shane fece un profondo sospiro. “Starà bene adesso che è stato operato.”
A Keira si gelò il sangue nelle vene. “Operato?” ripeté in uno strillo.
“Sono stato tutto il giorno al Pronto Soccorso. Ha avuto un attacco di cuore. Gli hanno dovuto mettere uno stent. È un miracolo che sia ancora vivo. Se non ci fosse stato un chirurgo cardiaco qua all’ospedale per un altro appuntamento, non ce l’avrebbe fatta.”
“Oh, Shane, mi dispiace così tanto,” disse Keira, con il petto stretto dall’ansia. Avrebbe voluto poter attraversare la linea telefonica e raggiungere Shane, per stringerselo al cuore e dimostrargli tutto il suo affetto. “Come sta tua madre? E le tue sorelle?”
“Stiamo bene,” rispose Shane. “Siamo ancora tutti sotto shock, a dir la verità. Specialmente Hannah.”
Keira ripensò alla sua sorella minore, la sedicenne dai capelli dorati a cui si era tanto affezionata. “Povera ragazza,” disse. All’improvviso quello non le sembrò il momento giusto per discutere della sua futura visita a New York. Non era corretto parlare di progetti emozionanti dopo la giornata spaventosa che doveva aver appena passato. “E ora come adesso Calum?”
“È sveglio e fa delle battute, ma si capisce che sta fingendo di essere coraggioso per tutti noi.“
“Mi dispiace così tanto, tesoro,” disse Keira. “Vorrei essere lì con te per sostenerti, ma immagino di dover conservare tutti i miei abbracci per quando arriverai, la prossima settimana.”
Dall’altro capo del telefono, Shane rimase in silenzio. Gli unici suoni che Keira riusciva sentire erano gli squilli dei telefoni dell’ospedale in piena attività, i bip delle macchine, il rumore lontano delle sirene e il viavai generale dello staff medico che si dedicava ai propri compiti.
“Sembra