Луиджи Пиранделло

La giara


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neanche questa volta colui si mosse; e allora egli esalò in un sospiro d'estrema stanchezza tutto l'orgasmo della disperazione e abbandonò per terra il peso morto della testa come se veramente non avesse più forza né voglia di sorreggerlo. Lì, con la faccia nella rena, con la rena che gli entrava nella bocca come a una bestia morta, senza più curarsi del divieto che colui gli aveva fatto di parlare, né della minaccia d'una schioppettata, si mise allora a parlare, a farneticare senza fine. Parlò della bella luna che ora, addio, sarebbe tramontata; parlò delle stelle che Dio aveva fatto e messo così lontane perché le bestie non sapessero ch'erano tanti mondi più grandi assai della terra; e parlò della terra che soltanto le bestie non sanno che gira come una trottola e disse, come per uno sfogo personale, che in questo momento ci sono uomini che stanno a testa all'ingiù e pure non precipitano nel cielo per ragioni che ogni cristiano che non sia più creta della creta, cretaccia ma proprio di quella vile su cui Dio santo ancora non ha soffiato, dovrebbe almeno curarsi di sapere.

      E in mezzo a questo farnetichio si ritrovò d'improvviso che parlava davvero d'astronomia come un professore a colui che, a poco a poco, gli s'era accostato, ch'era anzi venuto a sederglisi accanto, lì presso l'entrata della grotta, e ch'era proprio lui, sì, Fillicò di Grotte, che le voleva sapere da tanto tempo quelle cose, benché non se ne persuadesse bene e non gli paressero vere: lo zodiaco… la via lattea… le nebulose…

      Già. Così. Ma perché quando uno non ne può più, che le ha proprio esaurite tutte nella disperazione le sue forze, altro che questo gli può avvenire di buffo! si può mettere come niente, anche sotto la mira di un fucile, a nettarsi le unghie attentamente con un fuscellino, badando che non si spezzi e non si pieghi, o a tastarsi in bocca, sissignori, i denti che gli sono rimasti, tre incisivi e un canino solo; e sissignori, a pensare seriamente se sono tre o quattro i figliuoli del bottajo, suo vicino di casa, a cui da quindici giorni è morta la moglie.

      – Parliamo sul serio. Ma dimmi un po': che ti pare che sono, per la Madonna, un filo d'erba?… questo filo d'erba qua che si strappa così, come niente? Toccami! Di carne sono, per la Madonna! e un'anima ho, che me l'ha data Dio come a te! Che mi volete scannare mentre dormo? No… sta' qua… senti… te ne vai? Ah, finché ti parlavo delle stelle… Senti che ti dico: scannami qua a occhi aperti, non mi scannare a tradimento nel sonno… Che dici? Non vuoi rispondere? Ma che aspetti? Che aspettate, si può sapere? Denari, non ne avrete; tenermi qua, non potrete; lasciarmi andare, non volete… Volete ammazzarmi? E ammazzami, corpo di Dio, e non se ne parli più!

      A chi diceva? Quello era già andato a riaccoccolarsi sul greppo come un gufo, per dimostrargli che di questo – era inutile – non voleva sentir parlare.

      Ma dopo tutto, che bestia anche lui! Non era meglio che lo uccidessero nel sonno, se dovevano ucciderlo? Anzi, più tardi, se ancora non si fosse addormentato, sentendoli entrare carponi nella grotta, avrebbe chiuso gli occhi per fingere di dormire. Ma già, che occhi! al bujo, poteva anche tenerli aperti. Bastava che non si movesse, quando sarebbero venuti a cercargli la gola, a tasto, come a un pecoro.

      Disse:

      – Buona notte.

      E si ritrasse.

      Ma non lo uccisero.

      Riconosciuto lo sbaglio, né liberare lo vollero e neppure uccidere. Lo tennero lì.

      Ma come, per sempre?

      Finché Dio avrebbe voluto. Si rimettevano a Lui: presto o tardi, a seconda che Egli avrebbe voluto fare più o meno lunga la penitenza per lo sbaglio d'averlo catturato.

      O che intendevano insomma? che egli morisse da sé, lassù, di morte naturale? Intendevano questo?

      Questo, sì.

      – Ma che Dio e Dio, allora! Pezzi d'animali, non m'ucciderà mica Dio, m'ucciderete voi così, tenendomi qua, morto di fame, di sete, di freddo, legato come una bestia, in questa grotta, a dormire per terra, a fare per terra qua stesso, come una bestia, i miei bisogni!

      A chi diceva? S'erano rimessi a Dio, tutti e tre; e come se parlasse alle pietre.

      Intanto, morto di fame, non era vero; dormire per terra, non era vero. Gli avevano portato lassù tre fasci di paglia per fargliene una lettiera, e anche un loro vecchio cappotto d'albagio, perché si riparasse dal freddo. Poi, pane e companatico ogni giorno. Se lo levavano di bocca, lo levavano di bocca alle loro creature e alle loro mogli per darlo a lui. E pane faticato col sudore della fronte, perché uno, a turno, restava lì di guardia, e gli altri due andavano a lavorare. E in quello ziretto là di terracotta c'era acqua da bere, che Dio solo sapeva che pena a trovarla per quelle terre assetate. Quanto poi a far lì per terra i suoi bisogni, poteva uscire dalla grotta, la sera, e farli all'aperto.

      – Ma come? davanti a te?

      – Fate. Non vi guardo.

      Di fronte a quella durezza stupida e irremovibile si sarebbe messo a pestare i piedi come un bambino. Ma che erano, macigni? che erano?

      – Riconoscete d'avere sbagliato, sì o no?

      Lo riconoscevano.

      – Riconoscete di doverlo scontare, questo sbaglio?

      Sì, non uccidendolo, aspettando da Dio la sua morte e sforzandosi d'alleviargli per quanto potevano il martirio che gli davano.

      – Benissimo! Ma questo è per voi, pezzi d'animali, per il male che voi stessi riconoscete d'aver commesso! Ma io? che c'entro io? che male ho commesso io? Sono sì o no la vittima del vostro sbaglio? E fate scontare anche a me, che non c'entro, il male che voi avete commesso? Devo patire io così, perché voi avete sbagliato? Così ragionate?

      Ma no: non ragionavano affatto, loro. Stavano ad ascoltarlo, impassibili, con gli occhi fermi e vani, nelle dure facce cretose. E qua la paglia… e lì il cappotto… e lo ziretto dell'acqua… e il pane col sudore della fronte… e venite a cacare all'aperto.

      Non si sacrificavano forse, uno alla volta, a star lì di guardia e a tenergli compagnia? E lo facevano parlare delle stelle e delle cose della città e della campagna, delle buone annate d'altri tempi, quando c'era più religione, e di certe malattie delle piante che prima, quando c'era più religione, non si conoscevano. E gli avevano portato anche un vecchio Barbanera, trovato chi sa dove, perché ingannasse l'ozio, leggendo; lui che aveva la bella fortuna di saper leggere.

      – Che diceva, che diceva quello stampato, con tutte quelle lune e quella bilancia e quei pesci e quello scorpione?

      Sentendolo parlare, si svegliava in loro un'ingorda curiosità di sapere, piena di meraviglie grugnite e di sbalordimenti bambineschi, a cui egli, a poco a poco, cominciava a prender gusto, come a una cosa viva che nascesse da lui, da tutto ciò che in quei discorsi con loro traeva, come nuovo, anche per sé, dal suo animo ormai da tanti anni addormentato nella pena della sua incresciosa esistenza.

      E sentiva, sì, che ormai cominciava a essere una vita anche per lui, quella; una vita a cui aveva preso ad adattarsi, caduta la rabbia davanti a una ineluttabilità che non gliela faceva più pensare precaria, quantunque incerta, strana e come sospesa nel vuoto.

      Già per tutti là, al suo podere lontano affacciato sul mare, e nella città di cui nella notte vedeva i lumi, egli era morto. Forse nessuno s'era mosso a far ricerche, dopo la sua scomparsa misteriosa; e seppur lo avevano ricercato, lo avevano fatto senza impegno, non premendo a nessuno di ritrovarlo.

      Col cuore ridotto più arido e squallido della creta di quella grotta, che gl'importava ormai di ritornare vivo là, a quella vita di prima? aveva veramente qualche ragione di rimpianto per tutte le cose che qua gli mancavano, se il riaverle là doveva essere a costo dell'amara noja di prima? Non si trascinava là, in quella vita col peso addosso, d'un tedio insopportabile? Qua, almeno, ora stava sdrajato per terra e non si trascinava più.

      Le giornate gli passavano, in quel silenzio d'altura, quasi fuori del tempo, vuote d'ogni senso e senza scopo. In quella vacuità sospesa anche la stessa intimità della coscienza gli cessava: guardava la sua spalla e la creta accanto della grotta, come le sole cose che esistessero; e la sua mano, se vi fissava gli occhi, come se esistesse, così solo per se stessa; e quel sasso e quello sterpo, in un isolamento spaventoso.

      Se