Powell Michael

Quattro Destini


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la staffilata di dolore proveniente dalla sua costola incrinata gli ricordò prontamente le sue ferite. Si lamentò e lasciò che lei mettesse il suo braccio attorno alle sue spalle e lo rimettesse in una posizione comoda.

      Lei divenne molto professionale, aprendogli il pigiama, pulendo e applicando un linimento giallo sulle sue ferite e le sue ammaccature. Poi si assicurò che stesse bene dandogli un'aspirina per calmare il dolore. “Ho della pasta, ce la fa ad alzarsi?”

      Sembrò essersi presa automaticamente la responsabilità di lui. Cucinò la pasta e gliela servì a letto, poi, dopo essersi assicurata che Giuseppe stesse bene si alzò per andarsene.

      “Se ne sta già andando?” chiese.

      “Sì, certo” disse lei.

      “Non può restare? Potrei aver bisogno di lei di notte. Posso dormire sul divano se vuole.”

      “Non so. Non è proprio corretto. Ci conosciamo a malapena.”

      “Io so che lei sale in autobus ogni mattina e scende ogni sera. L'ho osservata per settimane.”

      Lei sembrò leggermente scioccata. “Cosa? Mi ha osservata? Perché?”

      “Oh, non lo so. Lei è diversa, ecco tutto. Si nota.”

      “Straniera, intende” si stava trattenendo e cominciò ad alzarsi per andarsene.

      “No, per favore, non se ne vada. Sinceramente l'ho notata perché pensavo fosse bella. Differente. E lei lo è, no? Non intendo straniera – intendo solo, lo sa, attraente.” Ora era lui che stava arrossendo.

      Lei però lo stava guardando con affetto. “Lei è un po' strano, vero? Quello che ha detto è stato molto dolce. Ne sono commossa. E fare quello che ha fatto per me è stato veramente eroico.” Si abbassò e gli diede un bacio gentile sulle labbra. Lui cercò di evitare di saltare quando il suo labbro ferito gli fece male al contatto. “Mi dispiace, mi dispiace. Non avrei dovuto farlo. Non stavo pensando. Ora vado ma passerò domani mattina a controllare che lei stia bene.”

      Nel corso dei giorni successivi lei venne ogni giorno nel suo piccolo appartamento prima di andare a lezione e ritornò ogni sera per preparare la cena. Si occupò delle sue ferite mentre guarivano e, mentre preparava la cena, tenne l'appartamento pulito.

      Quando la sua salute migliorò, Giuseppe fu in grado di fare più cose da solo. Durante il giorno zoppicava, andava nei negozi lì vicino a comprare il cibo e ritornava a casa a prepararlo in modo che quando lei arrivava di sera poteva sedersi e mangiare il pasto che aveva preparato per lei.

      “Sembra che tu non abbia più bisogno di me,” gli disse una sera.

      “Cosa? Certo che ho bisogno di te” disse lui. “Come posso farcela senza di te?”

      “Ce la facevi prima, no? Stai molto meglio e credo sia tempo che tu torni ai tuoi corsi.”

      “Sì, sto meglio ed è così. credo. Ma possiamo incontrarci più tardi?”

      “Perché no? So dove abiti e tu sai dove prendo l'autobus.”

      Quella sera andarono in un bar insieme e poi tornarono nel suo appartamento per mangiare insieme la cena che lei insistette di cucinare. “Domani tocca a me” disse lui.

      Nel corso delle settimane che seguirono si incontrarono quasi ogni giorno. Lui andava alla fermata dell'autobus per salutarla quando arrivava o, se le sue lezioni finivano tardi, lei lo aspettava in un bar vicino al suo appartamento. Lui le presentò alcuni dei suoi amici del suo corso ma continuarono a mantenere le loro vite separate.

      Quando il suo corso stava per arrivare al termine, con l'avvicinarsi degli esami finali, gli ultimi ripassi e la preparazione impedì loro di incontrarsi così spesso. Tuttavia, colsero tutte le opportunità possibili per incontrarsi. Condividevano una passione per l’opera e comprarono i biglietti in piedi più economici a teatro per vedere una delle vecchie opere da loro preferite di Verdi, Bellini o Rossini, o una delle opere più moderne del maestro Puccini.

      Il giorno del suo esame finale la portò fuori, mangiarono insieme per festeggiare bevendo champagne.

      “C'è qualcosa che volevo chiederti” disse. Lei lo guardò in attesa. “Siamo buoni amici?”

      “Certo che lo siamo! Che cosa te lo fa chiedere?”

      “Beh, è che, sai, vorrei molto essere più di un semplice amico” arrossì violentemente. “Vedi, sono molto legato a te – sai? E spero che tu possa essere, sai, anche tu molto legata a me?”

      “Sì, Giuseppe, ti sono molto affezionata. Mi hai salvato la vita, ricordi?”

      “No, non in quel senso” fece una pausa, “voglio dire, credo che…”

      “Cosa?” Lei lo guardò intensamente. “Cosa stai dicendo?”

      Uscì tutto di getto: “Ora ho finito il mio corso di studi e può essere che debba andare lontano per trovare un lavoro – o chissà per quali altri motivi. Non riesco a sopportare il pensiero di non vederti più.” La guardò tristemente, in attesa di una risposta, ma lei restituì lo sguardo pensierosa.

      “Cioè?” chiese. “Cosa vuoi che ti dica?”

      “Solo, beh, ecco, credi che se io dovessi andare da qualche altra parte, saresti in grado, magari, sai – di venire con me?”

      Lei sorrise gentilmente. “Perché lo vorresti? Non hai più bisogno di un'infermiera, giusto?”

      “No, certo che no. Lo stai rendendo molto difficile. Quello che sto dicendo è” fece una pausa, “quello che sto chiedendo è; credi, sai, credi che potresti. Oh, maledizione, sto facendo un sacco di confusione. Quello che intendo è, io credo – no, io so – di amarti e voglio che tu stia con me, in futuro. Se capisci cosa voglio dire.”

      “Beh, credo di sì. Non so come possa essere accaduto, ma neppure io riesco realmente a immaginare di stare senza di te. Perciò sì, voglio stare con te. Ma la mia famiglia…”

      “La tua famiglia, cosa vuoi dire?”

      “Sono piuttosto severi. I miei genitori sono morti. Sono stata allevata da mio zio. É molto rigido. Suo figlio, mio cugino Kurt, è appena tornato dalla guerra. Lo zio dice che devo tornare per prendermene cura.”

      “Oh, è ferito, vero?”

      “No, non credo. É molto depresso. Crede che lui e i suoi compagni siano stati traditi – che avrebbero potuto vincere.”

      “Vuoi andare?”

      “No, certo che no. Dovrebbe accettare quello che è successo e dimenticare la guerra. Abbiamo perso ed è tutto. Francamente è stato fortunato a tornare indietro vivo e senza ferite. Dovrebbe accettarlo e proseguire con la sua vita – è uno dei fortunati. Ma mio zio…”

      “Bene, dipende da te. Tutto quello che posso dire è che sarò infelice se tu te ne andrai – e credo che anche tu lo sarai. Ti sto chiedendo” fece una pausa, “sì. in realtà ti sto chiedendo,” fece un'altra pausa “se tu saresti d'accordo nello sposarmi?”

      Per Maria fu abbastanza. Si sporse sopra il tavolo e lo baciò. “Certo che lo sarei. Dovrò solo dire allo zio che dopo tutto non potrò venire.”

      Poche settimane dopo, nel settembre del 1919, si sposarono con una cerimonia civile a cui parteciparono pochi vecchi amici della marina di Giuseppe oltre a sua madre e suo padre. Il suo testimone fu il tenente Gramatika. Non venne nessuno della famiglia di Maria, suo zio disse che erano troppo occupati. Le scrisse una lettera piuttosto dura augurandole il meglio ma criticandola per aver deluso la famiglia. Kurt, invece, fu più gentile. Nella sua lettera si congratulò con lei e le augurò il meglio. “Non preoccuparti di mio padre. Io starò bene. Devo solo abituarmi. Spero che riusciremo a restare in contatto e ti auguro ogni bene.”

      Gramatika era stato di recente nominato governatore di Lero dopo l'acquisizione italiana. Alla festa dopo il matrimonio, parlò del suo nuovo lavoro, dicendo a Giuseppe degli interessanti sviluppi previsti per l'isola. “Lì stiamo costruendo una nuova base aeronautica e navale – non riusciresti a credere quanto sono cambiate le cose da quando