Wise?»
Kate si voltò quando stava per tornare su per le scale e vide Missy percorrere il corridoio nella sua direzione. «Sì?»
«Se dobbiamo parlare, facciamolo subito. Non so quanto ancora riuscirò a non andare a pezzi.» Stava già ricominciando a emettere piccoli gemiti e lamenti. Dato che la notizia della morte del marito era vecchia di appena un’ora, Kate la ammirò per la sua forza.
Missy non disse altro, ma salì le scale con un rapido sguardo all’indietro verso il soggiorno dove erano riuniti i bambini e i parenti. DeMarco le raggiunse dal bagno di sopra, dove stava controllando l’armadietto dei medicinali, e le tre andarono nella camera padronale – la camera che Kate e DeMarco avevano già controllato.
Missy sedette sul bordo del letto come una donna che si risveglia da un bruttissimo incubo solo per accorgersi che l’incubo era ancora in corso.
«Prima mi avete chiesto perché si trovava a New York City» disse. «Jack lavorava come senior accountant per un’azienda piuttosto grossa – la Adler and Johnson. Lavorano giorno e notte alla modernizzazione di un’azienda di smantellamento degli impianti nucleari della Carolina del Sud. Nelle ultime notti restava in centro.»
«Si aspettava che stasera tornasse o pensava che avrebbe dormito in un hotel?» chiese DeMarco.
«Ci ho parlato circa alle sette di stamattina, prima che uscisse per la corsa mattutina. Ha detto non solo che aveva in programma di essere a casa oggi, ma probabilmente anche sul presto – verso le quattro o giù di lì.»
«Presumo che lei si sia messa a chiamarlo o scrivergli a un certo punto, quando si è accorta che stava tardando, giusto?» chiese Kate.
«Sì, ma non prima delle sette, più o meno. Quando quelli lì si buttano sul lavoro, il tempo finisce fuori dalla finestra.»
«Signora Tucker, sull’omicidio di suo marito è stato chiamato a indagare l’FBI perché la situazione riflette i dettagli e le circostanze di un caso di otto anni fa. La vittima era un altro uomo che viveva qui ad Ashton, ucciso anche lui a New York» spiegò Kate. «Non c’è nessuna prova solida a supportarlo, però è abbastanza da aver allarmato il bureau. Quindi è molto importante che cerchi di pensare a persone di cui suo marito potrebbe essere diventato il nemico.»
Kate capì che Missy ancora una volta stava combattendo le lacrime. Mandò giù il bisogno di lasciar uscire il dolore, cercando di farcela.
«Non riesco a pensare a nessuno. Non lo dico perché lo amo, ma era estremamente gentile. A parte qualche piccola discussione al lavoro, penso che non abbia mai avuto una discussione accesa in tutta la sua vita.»
«E i suoi amici intimi?» chiese Kate. «Ci sono degli amici con cui usciva, uomini in particolare, che potrebbero aver visto un lato diverso di suo marito?»
«Be’, faceva un po’ lo scemo col suo gruppo di amici dello yacht club, però non penso che lo descriverebbero in modo negativo.»
«Ha i nomi di alcuni di questi amici con cui potremmo parlare?» chiese DeMarco.
«Sì. Aveva un gruppetto… lui e altri tre. Si vedono allo yacht club o al cigar bar e guardano lo sport. Più che altro il football.»
«Per caso sa se qualcuno di loro ha dei nemici, o persone che si potrebbero considerare tali?» chiese DeMarco. «Persino ex mogli gelose o parenti con cui non hanno più gran rapporti.»
«Non lo so. Non li conosco così bene e…»
Il suono di singhiozzi incontrollabili dal piano di sotto la interruppe. Missy guardò in direzione della porta della camera con un cipiglio che fece male al cuore di Kate.
«È Dylan, il mio secondo figlio. Lui e suo padre erano…»
Si fermò lì, il labbro che tremava mentre cercava di riprendersi.
«Non c’è problema, signora Tucker» disse DeMarco. «Vada dai suoi figli. Abbiamo abbastanza per cominciare.»
Missy si alzò rapida e si precipitò alla porta, cominciando già a piangere. DeMarco le andò dietro lentamente, lanciando un’occhiata rabbiosa a Kate. Kate rimase nella camera un attimo di più, riprendendosi dalle sue emozioni. No, quella parte del lavoro non si svolgeva mai davvero facilmente. E il fatto che avessero ottenuto così poche informazioni dalla visita la rendeva anche peggio.
Finalmente tornò in corridoio, capendo perché DeMarco ce l’avesse con lei. Cavolo, anche lei era un po’ arrabbiata con se stessa.
Kate scese di sotto e puntò alla porta. Vide che DeMarco stava già montando in macchina, asciugandosi con le mani le lacrime dagli occhi. Kate chiuse la porta dolcemente dietro di sé, col dolore e il pianto della famiglia Tucker che la spingevano come un usciere che la conduceva sempre più in profondità in un caso che sembrava già perso.
CAPITOLO QUATTRO
Per le nove del mattino seguente, la notizia dell’assassinio di Jack Tucker aveva cominciato a fare il giro di Ashton. Fu la ragione principale per cui fu così facile per Kate e DeMarco mettersi in contatto con gli amici di Jack – di cui Missy la sera precedente aveva dato loro i numeri e i nomi. Non solo gli amici avevano già sentito la notizia, ma avevano cominciato a organizzarsi per aiutare Missy e i bambini durante il lutto.
Dopo qualche rapida telefonata, Kate e DeMarco avevano organizzato un incontro con i tre amici di Jack allo yacht club. Era un sabato, perciò il parcheggio stava già cominciando a riempirsi, persino alle nove del mattino. Il club si trovava proprio lungo il Long Island Sound e aveva quella che Kate pensava fosse probabilmente la miglior vista del canale senza avere in mezzo tutto il pretenzioso traffico delle barche.
Il club di per sé era un edificio a due piani che sembrava quasi in stile coloniale, con una piega moderna, in particolare negli esterni e nei giardini. Kate venne accolta da un uomo che stava già sulle porte. Indossava una semplice camicia button-down e un paio di pantaloni cachi – probabilmente quel che passava per un casual da weekend per il socio di uno yacht club del genere.
«È lei l’agente Wise?» chiese.
«Sì. E lei è la mia partner, l’agente DeMarco.»
DeMarco fece solo un cenno del capo, la rabbia e l’amarezza della sera precedente ancora molto presenti. Quando il giorno prima si erano separate all’hotel, DeMarco non aveva detto neanche una parola. Era però riuscita a dire un semplice “buongiorno” durante la veloce colazione, ma non era andata più in là.
«Sono James Cortez» disse l’uomo. «Ho parlato con lei al telefono stamattina. Gli altri sono fuori sulla veranda, pronti e in attesa, con i caffè.»
Le accompagnò attraverso il club, dagli alti soffitti e caldi ambienti incredibilmente affascinanti. Kate si chiese quanto costasse essere membro di quel posto per un anno. Di sicuro era fuori dalle sue possibilità. Quando uscirono sulla veranda che dava sul Long Island Sound, ne fu certa. Era bellissima, dava direttamente sull’acqua con le alte forme e la foschia della città sull’altro lato.
C’erano altri due uomini seduti al tavolino in legno che ospitava un piatto di pasticcini e bagel e una caraffa di caffè. Entrambi alzarono lo sguardo sulle agenti e si misero in piedi per salutarle. Uno sembrava piuttosto giovane, sicuramente non superava i trent’anni, mentre James Cortez e l’altro uomo arrivavano facilmente ai quarantacinque.
«Duncan Ertz» disse il più giovane allungando la mano.
Kate e DeMarco strinsero le mani agli uomini durante il breve giro di presentazioni. Il più vecchio era Paul Wickers, appena andato in pensione dal suo lavoro di intermediario finanziario e più che disposto a parlarne, dato che fu la seconda cosa che gli uscì di bocca.
Kate e DeMarco presero posto al tavolo. Kate prese una delle tazze vuote di caffè e la riempì, alterandolo con lo zucchero e la crema disposti accanto al piatto di pasticcini della colazione.
«Duole pensare alla povera Missy e a