di un lavoro a Milano per sei mesi. Era un’opportunità grandiosa, ma era anche mezzo mondo di distanza dalla vita pericolosa di Jessie.
Quando Jessie uscì dall’autostrada, pochi minuti prima di raggiungere il DNR, ricordò come Crutchfield avesse tirato alla fine il colpo decisivo della tacita minaccia che era sempre rimasta sospesa durante i loro incontri.
Forse l’aveva fatto perché sentiva che lei se ne sarebbe andata per diversi mesi. Forse era solo per dispetto. Ma l’ultima volta che lei aveva guardato attraverso il vetro fissando i suoi occhi infidi, lui le aveva scagliato addosso una bomba.
“Farò una piccola chiacchierata con tuo padre,” le aveva detto con quel suo raffinato accento meridionale. “Non voglio rovinare le cose dicendo quando, ma sarà una cosa adorabile, ne sono certo.”
Lei era riuscita a malapena a pronunciare la parola: “Quando?”
“Oh, non preoccuparti di questo, signorina Jessie,” le aveva risposto con tono mirato a darle sollievo. “Sappi solo che quando parleremo, mi assicurerò di portargli i tuoi saluti.”
Mentre entrava nella proprietà dell’ospedale, Jessie si pose la stessa domanda che l’aveva divorata da allora, quella che era capace di levarsi dalla testa solo quando si concentrava intentamente su altri lavori: l’aveva fatto davvero? Mentre lei era stata via a imparare come catturare gente come lui o suo padre, i due si erano veramente incontrati una seconda volta, nonostante tutte le precauzioni di sicurezza progettate per prevenire proprio quel genere di cose?
Aveva la sensazione che quel mistero fosse sul punto di essere risolto.
CAPITOLO CINQUE
Entrare nell’unità DNR era proprio come ricordava. Dopo aver ottenuto l’autorizzazione all’accesso nel campus interno all’ospedale attraverso un cancello sorvegliato, portò l’auto dietro all’edificio principale avvicinandosi a una struttura più piccola e anonima sul retro.
Era uno stabile in cemento e acciaio a un solo piano, in mezzo a un parcheggio asfaltato. Si vedeva solo il tetto da dietro un’altra recinzione in filo spinato colorato di verde che circondava l’intera proprietà.
Jessie passò attraverso il secondo cancello sorvegliato per accedere al DNR. Dopo aver parcheggiato, proseguì a piedi fino all’accesso principale, fingendo di ignorare le numerose videocamere di sicurezza che seguivano ogni suo passo. Quando arrivò alla porta esterna, aspettò che venisse aperta per farla entrare. Diversamente dalla prima volta che era stata lì, ora la conoscevano e la ammettevano solo vedendola.
Ma questo valeva solo per la porta esterna. Dopo aver attraversato un piccolo cortile, raggiunse l’ingresso principale della struttura, che aveva delle spesse porte in vetro antiproiettile. Strisciò la sua carta personale e la luce del pannello divenne verde. Poi l’agente addetto alla sicurezza dietro al bancone, che poteva vedere a sua volta il colore della luce, la fece entrare completando così il processo.
Jessie si trovava ora in un piccolo vestibolo in attesa che la porta esterna si chiudesse. L’esperienza le aveva insegnato che la porta interna si poteva aprire solo quando quella esterna si era chiusa del tutto. Quando si sentì il sonoro scatto della serratura, la guardia di sicurezza sbloccò la porta interna.
Jessie entrò, e qui trovò ad attenderla un secondo agente armato. L’uomo raccolse i suoi effetti personali, che erano minimi. Aveva imparato nel tempo che era meglio lasciare quasi tutto in macchina, dove non c’era nessun pericolo che qualcuno facesse irruzione.
La guardia la perquisì e poi le fece cenno di andare verso lo scanner a onde millimetriche in stile aeroporto che dava una visione dettagliata del suo corpo. Dopo esservi passata attraverso, i suoi oggetti le venivano restituiti senza una parola. Era l’unica indicazione che le era consentito proseguire.
“Incontrerò l’agente Gentry?” chiese all’agente dietro al banco.
La donna sollevò lo sguardo e la guardò con espressione di completo disinteresse. “Esce tra un momento. Aspettala vicino alla porta dell’Area preparatoria di transizione.”
Jessie seguì le istruzioni. L’Area preparatoria di transizione era la stanza dove tutti i visitatori andavano a cambiarsi prima di interagire con un paziente. Una volta entrati, veniva loro richiesto di indossare un camice grigio stile ospedale, togliersi ogni gioiello e levarsi eventuale trucco dal viso. Come le avevano raccomandata, questi uomini non avevano bisogno di ulteriori stimoli.
Un momento dopo l’agente Katherine ‘Kat’ Gentry uscì dall’area preparatoria per salutarla. Era bello vederla. Sebbene non fossero esattamente andate d’amore e d’accordo da subito quando si erano conosciute la scorsa estate, ora le due donne erano amiche, unite dalla condivisa consapevolezza dell’oscurità che si celava dentro a certe persone. Jessie era arrivata a fidarsi così tanto di lei che Kat era una delle cinque o sei persone al mondo che sapevano che lei era la figlia del Boia dell’Ozarks.
Mentre Kat veniva verso di lei, Jessie notò ancora una volta la perfezione del capo della sicurezza del DNR. Fisicamente imponente nonostante fosse alta poco più di un metro e settanta, il suo corpo da 65 chili era quasi interamente fatto di muscoli e volontà d’acciaio. Ex Ranger dell’esercito, aveva eseguito due tour in Afghanistan e portava i resti di quei giorni stampati sul volto, butterato per le bruciature da frammenti di proiettile e con una lunga cicatrice che partiva subito sotto l’occhio sinistro e percorreva il volto verticalmente fino al lato della guancia. Gli occhi grigi erano misurati, attenti nell’osservare ogni minimo dettaglio e valutare se fosse o meno una minaccia.
Chiaramente non considerava tale Jessie. Sorrise e la strinse in un solido abbraccio.
“Da quanto tempo, signora FBI,” le disse con entusiasmo.
Jessie annaspò per riprendere fiato dopo quella stretta possente, parlando solo quando se ne fu liberata.
“Non appartengo all’FBI,” le ricordò. “Ho solo preso parte al programma di addestramento. Sono ancora affiliata al Dipartimento di Polizia di Los Angeles.”
“Come vuoi,” disse Kat chiudendo il discorso. “Stavi a Quantico, hai lavorato con le autorità del tuo campo, hai imparato belle cose sulle tecniche dell’FBI. Se ho voglia di chiamarti signora FBI, lo faccio.”
“Sei significa che non mi spaccherai la schiena a metà, puoi chiamarmi come ti pare.”
“Detto questo, penso che non potrò più farlo,” puntualizzò Kat. “Mi sembri più forte di prima. Mi pare di capire che non ti hanno fatto lavorare solo di cervello mentre stavi lì.”
“Sei giorni alla settimana,” le raccontò Jessie. “Lunghe corse, percorsi a ostacoli, autodifesa e addestramento con le armi. Diciamo che mi hanno veramente fatto il culo dandomi una forma piuttosto decente.”
“Mi devo preoccupare?” chiese Kat con finta preoccupazione, facendo un passo indietro e sollevando le braccia sulla difensiva.
“Non penso di essere una minaccia per te,” ammise Jessie. “Ma mi sento in grado di potermi proteggere contro qualsiasi persona sospetta, cosa che non era decisamente possibile prima. In retrospettiva, sono stata fortunata ad essere sopravvissuta ad alcuni dei miei più recenti incontri.”
“È meraviglioso, Jessie,” disse Kat. “Magari dovremmo allenarci un giorno o l’altro. Giusto un paio di round per tenerti in forma.”
“Se con un po’ di round intendi un po’ di round di spari, ci sto. Così potrei prendermi una piccola pausa dalla corsa e ginnastica quotidiana.”
“Ritiro tutto quello che ho detto,” disse Kat. “Sei sempre la solita pappamolle di sempre.”
“Oh, ecco la Kat Gentry che ho imparato a conoscere e ammirare. Sapevo che c’era un motivo per cui eri la prima persona che volevo vedere quando sono tornata in città.”
“Sono lusingata,” disse Kat. “Ma penso che entrambe sappiamo che non sono io la persona per