e silenzio misero fine allo slancio giocoso del loro incontro.
*
Quindici minuti dopo, Kat condusse Jessie alla porta che connetteva l’ala di sicurezza del DNR ad alcune delle persone più pericolose del pianeta. Erano già state nel suo ufficio per un aggiornamento riguardante gli ultimi mesi, che erano stati sorprendentemente privi di eventi.
Kat l’aveva informata che non appena Crutchfield l’aveva minacciata di un imminente incontro con suo padre, la già serrata sicurezza era stata aumentata ancora di più. La struttura aveva aggiunto ulteriori videocamere di sicurezza e ancora più verifiche dell’identità dei visitatori.
Non c’erano prova che Xander Thurman avesse tentato di fare visita a Crutchfield. I suoi soli ospiti erano stati il medico che veniva ogni mese a controllare le sue funzioni vitali, lo psichiatra con cui non parlava quasi mai e un detective del Dipartimento di Polizia di Los Angeles che aveva sperato, inutilmente, che Crutchfield condividesse informazioni su un caso congelato su cui stava lavorando, e il suo avvocato d’ufficio che si era presentato solo per assicurarsi che non lo stessero torturando. Aveva a malapena dialogato con tutti loro.
Secondo Kat, non aveva parlato di Jessie con il personale, e neppure con Ernie Cortez, il simpatico agente che faceva da supervisore alle sue docce settimanali. Era come se lei non fosse esistita in questo periodo. Jessie si chiese se fosse arrabbiato con lei.
“So che ricordi come funziona,” disse Kat mentre stavano vicino alla porta di sicurezza. “Ma sono passati un po’ di mesi, quindi diamo una ripassata alle procedure di sicurezza come precauzione. Non avvicinarti al prigioniero. Non toccare la barriera di vetro. So che non ti interessa, ma ufficialmente, non dovresti condividere nessuna informazione personale. Chiaro?”
“Sì,” disse Jessie, felice dei promemoria. Le servivano per predisporsi nel giusto assetto mentale.
Kat fece strisciare il proprio badge e annuì guardando la videocamera sopra alla porta. Qualcuno fece scattare la serratura automatica facendole entrare. Jessie fu subito travolta dal sorprendente via vai di attività. Invece delle solite quattro guardie di sicurezza, ce n’erano sei. Inoltre c’erano tre uomini con uniformi da operai che andavano in giro con diversi pezzi di attrezzature tecniche.
“Cosa sta succedendo?” chiese Jessie.
“Oh, mi sono dimenticata di dirtelo: ci arriveranno alcuni nuovi residenti a metà settimana. Avremo tutte e dieci le celle piene. Quindi stiamo controllando l’attrezzatura di sorveglianza nelle celle vuote per essere certi che tutto funzioni bene. Abbiamo anche aumentato il personale addetto alla sicurezza in ogni turno da quattro a sei agenti durante il giorno, compresa me, e da tre a quattro durante la notte.”
“Mi pare… rischioso,” disse Jessie diplomaticamente.
“Ero contraria,” ammise Kat. “Ma la contea aveva necessità e noi avevamo celle disponibili. È stata una battaglia persa da subito.”
Jessie annuì mentre si guardava attorno. I fondamenti del posto sembravano gli stessi. L’unità era progettata come una ruota con un centro di comando nel mezzo e raggi che si allungavano in ogni direzione, portando alle celle dei detenuti. Al momento c’erano sei agenti nello spazio ora affollato del centro di comando, che assomigliava a una stazione infermieristica decisamente piena.
Alcuni volti le erano nuovi, ma la maggior parte apparivano invece familiari, incluso Ernie Cortez. Ernie era un omone grande e grosso, circa due metri per oltre cento chili di muscoli. Era sulla trentina e aveva i primi segni grigi nei capelli corti e neri. Quando vide Jessie, le rivolse un ampio sorriso.
“Signorina elegante,” le disse, usando l’affettuoso soprannome che le aveva affibbiato la prima volta che si erano visti, quando aveva tentato di fare colpo su di lei, suggerendole che avrebbe potuto fare la modella. Lei lo aveva fermato praticamente subito, ma lui non sembrava essersela presa.
“Come va, Ernie?” gli chiese con un sorriso.
“Lo sai: il solito. Mi assicuro che pedofili, stupratori e assassini facciano i bravi. E tu?”
“Praticamente lo stesso,” disse, decidendo di non entrare nei particolari delle sue attività degli ultimi mesi con così tante facce non conosciute attorno.
“Quindi, adesso che hai avuto un po’ di mesi a disposizione per occuparti del tuo divorzio, vuoi passare un po’ di tempo di qualità con il buon vecchio Ernie? Questo week end ho in programma di andare a Tijuana.”
“Il buon vecchio Ernie?” ripeté Jessie, incapace di fare a meno di ridere.
“Cosa c’è?” disse lui sulla finta difensiva. “Non mi si addice come descrizione?”
“Scusami, buon vecchio Ernie, ma sono piuttosto certa di avere altri programmi per questo week end. Ma divertiti a fare festa! Comprami delle Chiclet, ok?”
“Ahi,” rispose lui, stringendosi il petto come se gli avessero tirato una freccia al cuore. “Anche i ragazzi grandi e grossi hanno dei sentimenti, sai? E siamo anche, capisci, grandi e grossi.”
“Va bene, Cortez,” si intromise Kat, “adesso basta. Mi hai fatto venire il vomito ormai. E Jessie ha i suoi affari di cui occuparsi.”
“Cattiva,” mormorò lui sottovoce mentre riportava la sua attenzione sul monitor davanti a sé. Nonostante le sue parole, il tono suggeriva che non era per niente ferito. Kat fece cenno a Jessie di seguirla verso l’ala con la cella di Crutchfield.
“Questo ti potrebbe servire,” le disse porgendole il piccolo telecomando con il pulsante rosso al centro. Si trattava del dispositivo “di emergenza”. Jessie la considerava un po’ una sorta di copertina di Linus digitale.
Se Crutchfield avesse ingarbugliato troppo le cose con lei e le fosse venuta voglia di uscire dalla stanza senza fargli sapere dell’impatto che stava avendo su di lei, doveva solo premere il pulsante che teneva nascosto in mano. Quello avrebbe allertato Kat, che avrebbe potuto mandarla fuori dalla stanza per un qualche motivo inventato. Jessie era piuttosto certa che Crutchfield fosse a conoscenza del dispositivo, ma era comunque contenta di averlo.
Afferrò il telecomando, fece un cenno di assenso a Kat per dirle che era pronta ad entrare e fece un profondo respiro. Kat aprì la porta e Jessie entrò.
A quanto pareva Crutchfield aveva anticipato il suo arrivo. Era in piedi a pochi centimetri dal vetro che divideva la stanza a metà, e le sorrideva.
CAPITOLO SEI
Jessie ci mise un paio di secondi a distogliere gli occhi dai suoi denti storti e valutare la situazione.
In superficie non sembrava per niente diverso da come lo ricordava. Aveva ancora i capelli biondi rasati corti. Indossava ancora la divisa obbligatoria azzurra. Aveva ancora il volto leggermente paffuto che ci si sarebbe aspettati da un uomo altro circa un metro e settantacinque per settanta chili di peso. Lo faceva sembrare più vicino ai venticinque anni che hai trentacinque che effettivamente aveva.
E aveva ancora gli stessi occhi castani inquisitori, quasi rapaci. Erano l’unico accenno che lasciasse intendere che l’uomo di fronte a lei aveva ucciso almeno diciannove persone, se non forse il doppio.
Neanche la cella era cambiata. Era piccola, con uno stretto letto senza lenzuola avvitato alla parete di fondo. Nell’angolo di destra si trovava una piccola scrivania con una sedia attaccata, accanto a un piccolo lavandino. Dietro c’era un gabinetto, disposto sul fondo, con una porta scorrevole in plastica per consentire un minimo di privacy.
“Signorina Jessie,” le disse con voce suadente. “Che sorpresa inaspettata imbattersi in te qui.”
“Eppure lei se ne sta lì in piedi come se stesse aspettando il mio arrivo,” ribatté lei, non volendo concedergli un solo secondo di vantaggio. Si avvicinò al tavolo accanto al vetro e si sedette sulla sedia. Kat assunse la sua solita posizione di controllo, in piedi nell’angolo della stanza.
“Ho