Морган Райс

Solo chi è coraggioso


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      “Te lo dico io,” disse Matilde. “Era un grande eroe. Ha lottato contro i nobili.”

      “Era un nobile,” ribatté Neave. “E poi ha perso contro i nobili.”

      “Ha combattuto contro dei mostri.”

      “Anche noi abbiamo combattuto contro dei mostri,” sottolineò Neave.

      “Ha dato la caccia ai banditi per tenere le strade sicure.”

      “Alcuni di loro erano Picti.”

      “È questo il problema? Non ti piace perché ha combattuto contro i Picti? Perché pure io ho combattuto contro i Picti. Ti ho battuta, ricordatelo.”

      “Va tutto bene?” chiese Royce, prima che la discussione potesse decollare e andare oltre. Era sempre difficile dire se quelle due stessero davvero discutendo o meno.

      “Neave non pensa che tuo padre sia qualcuno che vale la pena di seguire,” disse Matilde.

      Neave scosse la testa. “Sei tu quella che pensa che dovremmo seguirlo alla cieca, senza pensare.”

      “Neave?” disse Royce accigliandosi. La ragazza Picti aveva qualche genere di problema con il ritorno di suo padre?

      “Sono felice che l’abbiamo trovato,” disse lei, “e so che ci tornerà utile nelle battaglie che ci saranno, ma Mark e Matilde lo stanno guardando come… è quasi il modo in cui guardavamo Lethe. Niente discussioni, nessuno pensiero: solo meraviglia.”

      “Perché abbiamo ritrovato il re legittimo!” insistette Matilde. “Cosa vuoi di più? Pensavo che i Picti seguissero sempre coloro che davano mostra dei giusti segni magici.”

      “Coloro che possono far cantare le pietre e che sanno manovrare la vecchia magia hanno tutto il nostro rispetto,” confermò Neave. “Ma non li seguiamo alla cieca. A volte c’è qualcuno che deve fare da guida, ma ciò non vuol dire che noi ci andiamo dietro senza pensarci, senza decidere con le nostre teste cosa sia giusto.”

      “Il ritorno di mio padre porterà dei problemi tra i Picti?” le chiese Royce.

      “Non lo so,” ammise Neave. “È un uomo che ha fatto un sacco di cose impressionanti, ma è stato anche quello che ha lasciato il regno nelle mani di re Carris e dei suoi nobili. Avrebbe potuto restituirci il nostro posto nel mondo e non l’ha fatto. Avrebbe potuto fare di più.”

      “Magari questa volta lo farà,” suggerì Royce.

      “Forse,” disse Neave. “In ogni caso, continuerò a seguire te. Ho sentito che tu fai cantare le pietre, almeno, e mi hai mostrato che sei una persona che fa le cose giuste, Royce.”

      Royce provò un certo orgoglio davanti a quelle parole. Era riconoscente della fiducia di Neave dopo tutto quello che avevano passato. Dopotutto forse era un bene che ci fosse qualcuno di meno ammaliato rispetto a Mark e Matilde, perché così le cose sarebbero rimaste sotto controllo, aiutandoli ad assicurarsi di seguire la strada giusta e per i giusti motivi.

      Intanto si accontentò di proseguire lungo la barca, portandosi al punto dove suo padre stava seduto, intento a guardare davanti a loro, insieme al bhargir Gwylim che gli stava accanto. Sembrava quasi che suo padre stesse discutendo qualcosa con la bestia, con la testa di Gwylim che si muoveva come in segni di assenso man mano che l’uomo parlava.

      “Se potrò farti tornare ciò che eri, lo farò,” diceva suo padre. “Ma devi anche conoscere i pericoli delle cose che verranno. Senza la tua pelle, potrai anche essere in trappola ma sei pur sempre potente.

      “Padre?” disse Royce, avvicinandosi di più.

      Suo padre si voltò e gli sorrise. “È bello sentire che mi chiami così. Stavo giusto discutendo i piani con il nostro amico qui.”

      “E pensi che abbia capito ogni cosa?” chiese Royce. Gli sembrava davvero strano parlare con un essere che assomigliava a un lupo.

      “Sai cos’è un bhargir, Royce?” chiese suo padre. “Un uomo che ha potuto assumere le sembianze di una bestia imbevuta di magia e diventare essa. Una cosa antica, e potente. Una creatura come lui può guarire le proprie ferite, può combattere contro gli avversari più feroci e poi tornare al campo col corpo dell’uomo che era un tempo. Solo che questo non può.”

      Royce annuì. Lo capiva. Ad ogni modo era comunque difficile a volte pensare a Gwylim come alla creatura che sembrava essere.

      “Hai compagni strani e potenti,” disse suo padre, indicando la figura di Bragia, che disegnava cerchi in volo. “Dovrai presto parlare con la tua strega, perché vorrei sapere cosa pensa di fare adesso. Per quanto riguarda me… posso prendere in prestito la tua spada per un po’?”

      “È tua, se la vuoi,” disse Royce. Prese la spada ossidiana dalla cintura e la porse quasi con riverenza.

      Suo padre scosse la testa. “Non per tenerla. Vivere da solo così a lungo mi ha insegnato delle abilità, e penso di poter migliorare questa lama.”

      “Migliorare?” chiese Royce.

      “Un guerriero dovrebbe avere una buona spada,” disse suo padre. “Vai, parla con la tua strega. Io qui farò quello che posso.”

      Royce avrebbe voluto dire a suo padre che non era così facile, che Lori si presentava a parlargli solo raramente, quando voleva lei. Suo padre sembrava così sicuro, però, che Royce dispiegò i propri sensi verso Bragia, chiamando Lori.

      Ebbe l’immagine di uno spazio aperto, in mezzo a un gruppo di antiche rocce. C’era un fuoco acceso nel centro, che ardeva lentamente alimentato da torba, ma anche da qualcos’altro che donava alle fiamme laterali delle sfumature verdi e viola. A Royce parve di entrare nell’immagine, avanzando fino alla luce del fuoco.

      “Speravo che venissi,” disse Lori, la strega, fissandolo negli occhi. “Vieni, Royce, siediti accanto al fuoco. Dimmi quello che sta succedendo.”

      “Non lo sai?” le chiese. Si portò a sedere vicino al fuoco, in un punto dove c’era una pietra bassa che faceva da sedile. Royce aveva la sensazione di percepirla e allo stesso tempo no. Era come se esistesse e non esistesse allo stesso tempo.

      “No,” rispose Lory e Royce vide quanto sembrasse preoccupata. “È questo il problema.” Gettò qualcosa nel fuoco e il colore delle fiamme cambiò di nuovo, ora con le tonalità arancioni di una forgia. “Guarda il fuoco, Royce, e dimmi quello che vedi.”

      Royce fissò obbediente le fiamme, guardando sempre più a fondo, immaginando che più profondamente fosse riuscito a osservare, più probabile sarebbe stato trovare visioni di ciò che riservava il futuro. Confronto alle molte possibilità dello specchio, era un metodo più rozzo, ma Royce avrebbe accolto ogni aiuto possibile.

      “Vedo… solo fiamme,” ammise dopo qualche minuto di osservazione.

      “È questo il problema,” disse Lori. “Anche io. Dovrei vedere di più, ho visto di più, ma dal momento in cui hai guardato in quel tuo specchio, sono riuscita solo a cogliere qualche sprazzo di cose future.”

      “Stai dicendo che lo specchio interferisce con altre forme di magia?” chiese Royce, pensando al pezzo di vetro che ancora adesso si trovava al sicuro sulla loro barca.

      “Forse,” disse Lori scrollando le spalle. “O forse il fatto che ti abbia mostrato così tanto rende in un certo senso più incerto il mio genere di predizione.”

      “Non poter vedere nulla potrebbe essere sconcertante,” disse Royce, “ma non serve che lo facciamo diventare un problema. Ho guardato nello specchio. Ho visto…” Anche lì, in quelle condizioni, sapeva di non poter ammettere con esattezza ciò che aveva visto, e Lori stava già tendendo una mano per interromperlo.

      “No,” disse. “Il futuro è troppo fragile. Lo stai trattando come una specie di fune d’acciaio, quando invece è un filo delicatissimo. Stai più attento, Royce.”

      Ora la preoccupazione nella sua voce sembrava essersi