Giovanni Mongiovì

Le Tessere Del Paradiso


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Cosa cambiava nella sua condizione? Nulla… se non altro che se quel Vittore avesse parlato, lui avrebbe pagato con la giusta pena il suo peccato. Si prospettava quindi la possibilità di scontare le sue colpe e di far cadere la responsabilità pure sull’eunuco Mattia, vera mente e vero manovratore del delitto. Alessio decise quindi che non avrebbe mosso un dito e che sarebbe andato incontro al suo destino.

      «L’11 è fra due giorni!» esclamò il recluso tra i due.

      «Capite perciò che non c’è tempo da perdere!»

      «Domani, ma non stanotte, non oggi che i ricordi del gaito Luca morente sono ancora vividi nella mia testa.»

      Così, con una scusa, Alessio prendeva tempo. Avrebbe rimandato fino al termine dei suoi giorni, consapevole che in tale modo avrebbe messo fine al male, ed il male in questo caso era lui stesso.

      Capitolo 7

      Notte del 10 Novembre 1160 (Anno Mundi 6669), Balermus

      Alessio sapeva che Mattia si sarebbe ripresentato nel corso della giornata del dieci per persuaderlo ad agire proprio quella notte, così pensava a quale scusa avrebbe dovuto addurre questa volta per esimersi da quel compito ingrato.

      Durante la mattinata, in mezzo al suo intricato groviglio di pensieri, l’unico diversivo alla monotonia della quotidianità lo ebbe con la consegna di un cesto contenente alcune tessere dorate. Quelli erano i primi quadrelli che giungevano dalle officine dei mastri vetrai palermitani. Il maestro d’arte avrebbe dovuto adesso saggiarne la qualità e riportare la sua impressione al logotheta Basilio, patrocinatore dell’opera. Benché quelle tessere avessero perso su Alessio il loro precedente ascendente, questi non poté ignorare che si trattava di un prodotto ben fatto, degno del palazzo di un Re. Quindi, passato da poco mezzogiorno e congedati i manovali per il pranzo, venne fuori sulla loggia intento a valutare i riflessi che la lamina d’oro e la pasta vitrea che la ricopriva producevano alla luce del sole.

      «Sarebbe davvero un peccato che a completare questo mosaico non foste voi.» esordì Mattia, giunto silenziosamente alle spalle di Alessio.

      «Sarebbe un peccato per voi non vederlo finito.» rispose a tono l’artista, voltandosi.

      «Dunque è chiaro che non possiamo aspettare oltre questo giorno.»

      «Questa volta mandate qualcun altro, qualcuno il cui viso non getti sospetti. Vi ricordo che uno sconosciuto, probabilmente influente e sicuramente temibile, mi ha visto in faccia.»

      L’eunuco Mattia si avvicinò, l’afferrò con vigore per le spalle e disse:

      «Mastro Alessio, voi siete come un padre per me; di chi altri dovrei fidarmi?»

      «Assoldate qualcuno che lo fa per mestiere.»

      «Lo farò… sicuramente lo farò se vi rifiuterete di aiutarmi. Però, lasciatemelo dire: vi sottraete alla soluzione di un problema che riguarda anche voi… e questo mi delude.»

      Alessio tornò a voltarsi verso il panorama. Se era vero quanto diceva Mattia, in qualunque caso quell’uomo sarebbe morto. Pensò che non passava molta differenza tra l’essere l’esecutore materiale di un delitto e permetterlo pur potendolo impedire. Forse poteva riscattare quella vita dalla morte e riequilibrare davanti a Dio il peso dei suoi meriti con quello dei suoi torti.

      «Va bene, lo farò io!» esclamò d’impulso.

      Mattia sorrise e l’abbracciò.

      «Sapevo che non mi avreste deluso!»

      «Informatemi quando ritenete che il momento sia propizio.»

      Quel giorno, una volta rimasto solo, Alessio lo passò in preghiera e meditazione. Col cuore compunto e lo spirito contrito chiese a Dio di tener conto della buona azione che si accingeva a compiere in cambio dell’errore commesso poche sere prima. Ragionò che se quel giovane uomo, Vittore, fosse davvero un ricattatore, allora sarebbe andato incontro alla sua meritata fine portandosi dietro Mattia… Se invece ancora una volta quest’ultimo si era inventato tutto, allora avrebbe fatto all’eunuco lo sgarbo di salvare la vita al suo nemico.

      A buio inoltrato Mattia e Alessio uscirono dal Palazzo e si diressero verso il porto. In una delle case sulla punta del Cassaro, in una delle abitazioni più modeste, oltre le mura e dirimpetto al bacino del porto, viveva Vittore, il presunto testimone dell’omicidio del gaito Luca. Quando giunsero nei pressi della piazza in cui le navi in entrata e in uscita pagano all’ufficiale reale il dazio sulle merci, si accorsero che tirava un forte vento di tramontana proveniente dal mare e dovettero ripararsi nei loro mantelli. Alessio si guardò intorno, l’ambiente non era certo quello della locanda… qui normalmente si muovevano brutti ceffi da porto e criminali; ringraziò il Cielo che quella notte il vento gelido spazzasse via anche la mala gente e i loro affari notturni.

      Mattia dunque si fermò sull’ingresso della piazza e da qui indicò l’abitazione di Vittore.

      «Eccola lì in fondo, tra le case dei pescatori. Vi basterà sfondare una finestra per essere dentro. Io vi aspetterò qui…»

      «Perché dovrei penetrare in casa di quell’uomo con la violenza, col rischio di finire in una lotta in cui potrei avere la peggio? Dirò di essere venuto a consegnare quanto ha chiesto e poi rivelerò l’inganno a suo discapito.»

      «No, non vi fidate di quell’uomo. Egli è più infido delle vipere!»

      «È lui che non dovrebbe fidarsi di me. Non preoccupatevi.»

      Alessio si diresse lentamente verso le case che danno sulla discesa per il mare, mentre Mattia lo supplicava ancora di starlo ad ascoltare circa il metodo migliore per risolvere la questione. Dopo nemmeno un minuto Alessio era ormai troppo lontano per avvertire la voce dell’altro e il fischio del vento nelle sue orecchie copriva ogni raccomandazione. Attraversò quindi la piazza e giunse davanti alla porta dell’uomo da colpire. Dopo qualche secondo da uno spiraglio si affacciò un’anziana donna con gli occhi semichiusi e la capigliatura scompigliata; dietro di essa si potevano intravedere almeno tre uomini. Anche se Alessio avesse avuto cattive intenzioni, con molta probabilità non ne sarebbe uscito vivo.

      «Vittore.» disse spaesato e con un filo di voce.

      Si fece allora avanti un giovane uomo dall’aspetto forzuto.

      «Chi siete?»

      Chiaramente, se quello era Vittore, quel “chi siete” la diceva lunga sulle menzogne di Mattia, in quanto il presunto ricattatore avrebbe dovuto riconoscere l’assassino dell’eunuco del Re. Alessio tirò un sospiro di sollievo e raccolse tutta la sua determinazione per fare quel torto a Mattia.

      «Parlate greco?» chiese il maestro d’arte.

      «Sono un pescatore e un commerciante, non esiste lingua di questa terra che io non comprenda e parli.» rispose l’altro.

      «Vittore, il venditore di conchiglie, siete voi?»

      «Forse lo sono, o forse no, dipende da chi siete voi.»

      «I vostri nemici progettano il male per colpirvi… sono venuto a dirvelo.»

      «Chi vi manda?»

      «Io sono il tramite di quel progetto che ha come risultato la vostra morte. Tuttavia non avete nulla da temere, poiché intendo fare uno sgarbo al mio mandante e risparmiarvi.»

      E quello, con impareggiabile calma e perfino un filo di sbruffonaggine, ripeté:

      «Perciò vi chiedo chi vi manda.»

      «Mattia… vi dice qualcosa questo nome?»

      Vittore sorrise; quel nome gli evocava una strana ilarità.

      «Quell’essere né uomo né donna mi aveva giurato che mi avrebbe scagliato contro l’intero esercito del Re, e invece mi manda solo voi… voi che, con tutto rispetto, non avete neppure la parvenza di un assassino. Ma non offendetevi, straniero, poiché se aveste avuto tali sembianze sareste già passato all’altro mondo. Nessuno tocca nessuno in questa piazza! Guardatevi attorno.»

      Alessio si voltò: gruppi composti da quattro o cinque uomini stazionavano nel bel mezzo della piazza e fissavano