né se considerarla prioritaria rispetto ad altre malattie a causa della spesa elevata.
Quanto esposto in precedenza dimostra che non si tratta di un problema minore, per le sue implicazioni sia per quanto riguarda il paziente, e la sua salute, sia per l’aspetto economico.
Ma per poter stabilire diagnosi e trattamento, per prima cosa bisogna distinguerlo da altri fenomeni dove esiste tristezza, ma non arriva a scatenare la Depressione Maggiore.
CAPITOLO 2. CORDOGLIO
Si definisce cordoglio la reazione alla tristezza dopo la perdita di una persona amata e la decadenza dell’animo. Questo è un passaggio “normale” nelle persone che hanno un vincolo affettivo con chi viene a mancare.
Una delle discussioni più accese tra i professionisti che si occupano di Salute Mentale quando è stata affrontata la riforma del manuale di riferimento per la diagnosi e la cura (D.S.M.V) [4] ha riguardato il modo di prendere in carico la tematica del cordoglio.
Il D.S.M.-V viene periodicamente revisionato dagli esperti, includendo nuove psicopatologie ed escludendone altre.
Nell’ultima versione, la quinta, i cambiamenti apportati sono stati pochi ma molto polemici. Uno dei più notevoli riguarda la considerazione del cordoglio, come entità propria o come parte della depressione.
Il cordoglio è una tappa, che la persona attraversa quando perde uno dei suoi cari, un tempo in alcuni Paesi si vedeva riflesso in un vestiario diverso e nell’indossare un velo nero.
Il cordoglio ha una parte importante nell’esperienza di vita personale, ma anche sociale, dove si riceve appoggio e consolazione da famigliari e amici, così come le loro condoglianze.
Quando una persona sperimenta il cordoglio, si sentirà triste, senza voglia di fare nulla, perdendo addirittura il senso di ciò che fa … qualcosa di logico e normale all’interno della società.
Il problema è che questi sono anche sintomi di depressione o, come denominato in psicopatologia, Disturbo di Depressione Maggiore.
Alcuni esperti hanno segnalato che, se vengono condivisi gli stessi sintomi, è perché si tratta del medesimo problema di salute. Altri, invece, lo differenziano perché se esiste una “causa che lo giustifica”.
Un’altra delle polemiche a questo proposito è su quanto deve durare il cordoglio. In alcune tradizioni, si stabilisce che il lutto sia per un periodo di un anno, in altre società dura appena sette giorni; ma una cosa è il cordoglio e un’altra il lutto.
Il primo fa riferimento allo stato d’animo del familiare, mentre il lutto è un dimostrazione sociale, che varia da Paese a Paese, e che può arrivare a durare anni. Il lutto di per sé non implica nessun rischio per la salute della persona, per cui il suo prolungamento non implica nessun problema, sempre che si seguano le convenzioni sociali.
Precedentemente al D.S.M.V, si stabiliva che, se il cordoglio supera i due mesi, deve essere curato clinicamente come Depressione Maggiore. Attualmente non si rispetta questo periodo minimo di due mesi, per cui può essere diagnosticato e trattato dal momento in cui compare la sintomatologia della Depressione Maggiore.
Con questo cambiamento si cerca di dare una risposta quanto prima ad un problema di salute mentale così importante e diffuso come la depressione, senza bisogno di attendere i due mesi previsti come si faceva in precedenza.
Per questo, il cordoglio è stato inteso come un “semplice transito” attraverso il quale dobbiamo passare tutti quando perdiamo una persona amata, ma va “monitorato” per verificare che i sintomi non siano tanto importanti da nascondere un vero Disturbo di Depressione Maggiore.
Bisogna tener conto che, in qualsiasi caso, per superare il cordoglio è fondamentale contare sull’appoggio sociale di familiari e amici che capiscano la situazione e si occupino della persona che sta attraversando questa fase, affinché la superi in maniera adeguata.
CAPITOLO 3. DISISTIMA
La maggior parte di noi ha avuto in qualche momento della propria vita una crisi, una fase in cui non abbiamo voglia di fare nulla, ci sentiamo apatici ed abbattuti, qualunque problema ci opprime e non “risolleviamo la testa”, ma con il tempo tutto si risolve e recuperiamo la nostra forza d’animo. Tuttavia, se senti che questo stato perdura per anni, è possibile che tu stia soffrendo di un disturbo denominato disistima.
La disistima è un tipo di disturbo dello stato d’animo, in cui la persona sperimenta sintomi depressivi cronici di durata superiore ad un anno in caso di bambini ed adolescenti, e di due anni negli adulti. Si considera che abbia un esordio precoce se si presenta prima dei 21 anni e tardivo se è posteriore.
È un disturbo con sintomi lievi o moderati e non ha intensità sufficiente per essere considerato un episodio depressivo, requisito imprescindibile per diagnosticare un Disturbo Depressivo Maggiore.
Secondo lo Studio ESEMeD-España, realizzato in collaborazione dalla Unidad de Investigación y Desarrollo. Sant Joan de Déu-Serveis de Salut Mental. Sant Boi de Llobregat, e la Unidad de Investigación en Servicios Sanitarios. Instituto Municipal de Investigación Médica. Barcellona (Spagna), i cui risultati sono stati pubblicati dalla rivista scientifica Medicina Clínica [5], la disistima è il terzo tipo di disturbo mentale più frequente nella popolazione spagnola, e colpisce ogni anno quasi un 1,5% dei cittadini. A differenza di altri disturbi psicologici, esistono importanti differenze riguardo la distribuzione della disistima nella popolazione per genere, colpendo quasi cinque volte più le donne che gli uomini.
Le cause della disistima non sono state ancora sufficientemente chiarite, attribuendole ad una alterazione di un determinato tipo di neurotrasmettitore denominato serotonina, responsabile della gestione di emozioni e giudizi. Potrebbero anche avere origine da situazioni permanenti di stress e fattori di personalità.
Tra le motivazioni più frequenti che portano una persona a rivolgersi al medico per questo motivo possiamo trovare i seguenti segnali di disistima:
– Stato d’animo depresso o irritabile (nel caso di bambini o adolescenti);
– Perdita di interesse per le cose che prima risultavano piacevoli;
– Sentimenti di colpa, disprezzando sé stessi;
– Percezione di sé stessi come “tristi” o “scoraggiati”;
– Persistenza del suddetto stato d’animo per molto tempo;
Oltre a tutto questo, il medico deve indagare la presenza dei seguenti sintomi di disistima:
– Alterazioni dell’appetito (in eccesso o in difetto);
– Scarsità di energia ed affaticamento;
– Bassa autostima;
– Difficoltà a concentrarsi e prendere decisioni;
– Alterazioni del sonno (in eccesso o in difetto);
– Sintomi cronici e persistenti, più lievi di quelli depressivi;
Come si può dedurre, la disistima è una patologia silenziosa, con una sintomatologia lieve che può passare inosservata, essendo, in molti casi, difficile stabilire il suo esordio; inoltre, prima di poter fare la diagnosi di disistima bisogna scartare altre cause che possono essere occulte, come problemi fisici (come ipotiroidismo) o un’origine medica (alcuni medicinali che giustifichino questo stato).
Allo stesso modo, bisogna prestare speciale attenzione per differenziarlo da altri disturbi con sintomi simili, come il disturbo depressivo breve ricorrente o il disturbo di personalità depressiva.
Nel primo si sperimentano molteplici disturbi depressivi durante la vita, ma questi sono episodici ed isolati, e mostrano una sintomatologia più grave.
Riguardo al disturbo di personalità depressiva, questo è un tratto permanente della persona, poi si può diagnosticare la disistima se ha avuto un esordio tardivo.
Nonostante quanto indicato in precedenza, bisogna sottolineare che la disistima di solito si presenta unita ad altri disturbi sia fisici che psicologici. Tra i primi, il dolore cronico,