Rebekah Lewis

L'Ascesa Di Mercurio


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mi piacerebbe rimproverarti per quegli orribili ... ‘costumi da bagno’ li hai chiamati?" Indicò i suoi pantaloncini arancioni, non più lunghi delle sue ginocchia e chiazzati di ancore blu scuro. "Sono orribili. Quel colore è così ... è così ... orribile alla mia vista. Non importa. Non è il motivo per cui sono qui". Lei raddrizzò la postura, preparandosi all'attacco. "Hai detto a Pan di me. Avevamo concordato che non lo avrebbe mai saputo".

      Un dolore lancinante gli attraversò la parte sinistra del petto. Abbassò lo sguardo e vide che nulla lo aveva trafitto veramente, sebbene le affilate parole di lei lo avessero fatto. La vita che avrebbero potuto avere, o presumibilmente avrebbero dovuto avere, lo perseguitava. "Stai per avere un nipote. Vuoi davvero passare l'eternità senza mai conoscere la tua famiglia?"

      Lei alzò il mento altezzosamente. "Ti sembro una nonna? Sono giovane. Sono stupenda. Io ho bisogno di vivere nel mondo usando i miei incantesimi sugli umani e non sprecare la mia vita in casa su un dondolo mentre la vita vola senza essere goduta".

      Hermes non fu sorpreso. Le motivazioni di Hybris sul perché non voleva stare vicino a Pan erano sempre ferme. Nondimeno, lei non avrebbe mai ammesso di essere ogni tanto tornata di nascosto, quando Pan era bambino per passare del tempo con lui. Lei era convinta che Hermes non lo sapesse. Per lungo tempo, lui si era chiesto se era fuggita da Pan, o se non potesse più sopportare lo stare con lui. Tuttavia, in vita sua, Hermes non riusciva a capire cosa avesse fatto di sbagliato. Cosa l’aveva costretta a lasciarlo? Cosa l'aveva costretta a lasciare suo figlio?

      Eppure lei era andata a trovare Pan in segreto, quando era bambino. Non aveva mai aggiunto altro, parole o azioni.

      "Lui è innamorato della madre di suo figlio", disse Hermes. Hybris lo guardò e lui capì che lei voleva maggiori dettagli. L'arrogante inclinazione del mento lasciava intendere che fosse troppo orgogliosa per chiederli. Forse l'idea dell'amore l'aveva incuriosita, ma Hybris era paralizzata da un orgoglio abbastanza forte da tirar fuori il peggio dagli altri, se fosse rimasta in un posto troppo a lungo. Era costantemente influenzata dai suoi stessi poteri, quindi Hermes credeva che la sua capacità di amare fosse assolutamente imperfetta.

      "Il bambino è in arrivo da un giorno all'altro, ci sono già stati due falsi allarmi, ma è ora. Celebreranno il matrimonio dopo che Katerina avrà recuperato la sua forma fisica, o almeno così dice".

      "Beh, non la biasimo affatto", disse Hybris. "Chi vuole sposarsi e affrontare lo stress quando hai un'anguria che sta per cadere dal tuo inguine?"

      "Sempre simpatica, amore".

      "La simpatia è debolezza".

      Hermes roteò gli occhi. "Altri direbbero che la più grande debolezza di tutti è l'arroganza". Mai parola più vera. Se ci fosse stata una batteria nelle vicinanze, avrebbe suonato un pezzo per amplificare il suo aspro commento.

      "Dice così chi non è come me", si indicò con entrambi i pollici. "Non sono debole".

      Penso che la signora stia protestando troppo.

      "Dubito che pensassero a quanta arroganza tu abbia". Lui non ci avrebbe pensato. Non lo avrebbe fatto. E ci sto pensando. Dannazione.

      Lei sospirò. "Lo stiamo facendo di nuovo. Continuare a battibeccare. Perché non possiamo stare insieme per cinque minuti senza farlo?"

      Si mise le mani intorno al collo e fece finta di soffocare. Tosse. "Arroganza!" Tosse. Tosse.

      "Ti odio veramente".

      "Non è quello che hai detto la notte che hai concepito".

      "Fanculo".

      Per quanto fosse divertente innervosirla, lui non era proprio dell'umore giusto per avere nostalgia di lei. "Non ho tempo per questo, Hy. Ho delle cose da fare. Cose importanti". Una promessa fatta a un satiro, che Hermes intendeva mantenere. Una fanciulla in pericolo. Eroismo e tutto il resto.

      Hybris sbadigliò. "Sì. Capisco. Girovagare per la California e nuotare in spiaggia è una questione di vita o di morte".

      Scuotendo la testa, lui aprì la porta a vetri della casa e sfrecciò dentro. Tentò di chiuderla alle sue spalle, ma Hybris passò oltre. Hermes fece un grande sforzo per non notare che aveva ancora l'odore dei melograni.

      Le mancava.

      "Beh, stavo aspettando che Zeus mi chiamasse prima che tu ti presentassi con il tuo giudizio ... giudizioso". Lui chiuse la porta e si girò di nuovo per trovarla rilassata sul suo divano, nonostante i suoi vestiti bagnati fradici. Maleducata.

      Lei si studiò le unghie. "E lui l’ha fatto?"

      "Non ancora".

      "Allora non stai facendo nulla di importante". Il suo sguardo si spostò sul suo inguine. "Ancora". In piedi, Hybris avanzò verso di lui.

      "No. Oh, no, no, no. No". Hermes schizzò via e si librò fuori dalla sua portata. "Non lo faremo più. Non questa volta. Non questo giorno. Non sta succedendo". Stava facendo sul serio? Dopo tutto quello che lei aveva fatto, voleva fare sesso con lui?

      Incerto se lo stesse colpendo nel suo ego o se stesse influenzando la sua arroganza personale, una calda compiacenza prese piede. Lui era sempre stato arrogante, ma lei poteva farlo diventare ancora di più.

      "E perché no? Sono una donna bellissima, mi desideri e non hai impegni al momento. Togliti i pantaloni e fottimi".

      Piuttosto avrebbe lasciato la sua adorata casa ma non sarebbe rimasto lì con lei. Era così affamata da colmare la sua umiliazione e il suo dolore?

      "Non sono il tuo schiavo d'amore. Vai a trovare un essere umano spiritoso da dominare. Ci vediamo". E con un saluto beffardo, Hermes non passò dal Via o Incassa duecento dollari uscendo di corsa dalla porta e dirigendosi verso l'Olimpo. Almeno poteva scappare da Hybris con il pretesto di incontrare il capo. E se fosse stato fortunato, Zeus l’avrebbe incontrato oggi stesso per la questione di Daphne.

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      CAPITOLO DUE

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      Hermes camminava davanti all'ingresso del tempio di Zeus. Perfino lui non poteva fare irruzione e andare ovunque, se indesiderato. Per vendetta, suppose; per tutti i soprannomi stupidi con cui aveva chiamato suo padre, di fronte ad altre persone, quando Zeus non poteva reagire. E non gli avrebbe certo dato fastidio se Melancton e Daphne non avessero ricevuto una risposta immediata.

      In un momento di disperazione, Melancton aveva stretto un accordo con Apollo. Ancora. Satiri, scosse la testa tristemente, non imparano mai. Aveva promesso di non tentare mai più di salvare la vita di Daphne. Non che Melancton potesse entrare nell'Olimpo, ma comunque ... Di tutti gli dei con cui fare un accordo, Apollo era tra i più scorretti quando era arrabbiato.

      Non c'era possibilità che Hermes vedesse un uomo d'onore, ehm ... un satiro, soffrire d’amore mentre Apollo torturava ancora il suo tesoro. Per secoli, Apollo aveva tenuto Daphne incatenata all'albero di alloro nel suo tempio olimpico. Senza i benefici della terra sottostante – l’Olimpo era separato dal regno umano, il luogo in cui fiorivano le ninfe del legno - Daphne si era indebolita, unendosi per sopravvivere all'albero a cui era legata. Anche le ninfe prosperavano sul sesso, che piaceva a loro in modo esagerato, ma lei amava Melancton e quindi si era rifiutata di abbassarsi alle richieste di Apollo.

      Gli amanti erano condannati a vivere lontani per sempre o condannati ognuno a imminenti