anche darsi! Ve l’ho detto. È gente di cui non c’è da fidarsi. Ma bando alle chiacchiere!», proseguì Fulvio, il fido armigero. «Il borgo di Pallantone è rinomato per le sue taverne. Cucinano la cacciagione come in nessun altro posto che io conosca…»
«…E la accompagnano con un ottimo vino rosso frizzante. Una vera prelibatezza», aggiunse Geraldo, l’altro armigero che fino a quel momento non aveva mai parlato.
Andrea, attraversando le strade del borgo, notò diverse insegne di locande e taverne, ma i suoi accompagnatori si diressero sicuri fino alla piazzetta principale, dove un’insegna a bandiera indicava in scritte a caratteri gotici la Locanda dei guardiani degli argini. In effetti dalla piazza si avvertiva distintamente il rumore dell’acqua che scorreva con impeto nella golena subito dietro gli edifici di quel lato. Andrea e i suoi accompagnatori legarono le cavalcature agli anelli infissi nel muro esterno della taverna, si assicurarono di avere le spade nei rispettivi foderi ed entrarono nel locale. La sala era piuttosto gremita e l’odore di cacciagione cucinata in salmì si mescolava alla puzza di sudore emanata dagli avventori. Un uomo grassoccio, dal viso rubizzo e la fronte imperlata di sudore, con un sinale bianco legato attorno alla vita, venne loro incontro e li accompagnò a un tavolo libero.
«Cosa gradiscono lor signori?»
«Portaci un buon pasticcio di quaglie, pernici e coturnici. E un bel boccale di lambrusco per ognuno di noi», ordinò Fulvio, facendosi portavoce di tutto il gruppo.
Non fece in tempo a terminare di pronunciare queste parole, che la porta fu spalancata in malo modo con un calcio sferrato dall’esterno da un individuo di stazza robusta, seguito subito dietro da un altro uomo della sua stessa risma. Entrambi tenevano la spada in mano, anziché infoderata. Accortisi della presenza dei Lanzichenecchi, la maggior parte dei presenti si alzò dai tavoli, cercando di guadagnare l’uscita, al fine di evitare inutili scaramucce con uomini noti per la loro arroganza e prepotenza. Più di un uomo, in prossimità della soglia, inciampò per caso nello stivale di uno dei due. Chi rotolava in terra non aveva neanche il coraggio di affrontare lo sguardo del Lanzichenecco. Si rialzava, si scrollava la polvere di dosso e usciva dalla taverna a gambe levate. Andrea, Fulvio e Geraldo rimasero ai loro posti, fissando il loro sguardo sui nuovi arrivati quasi con aria di sfida. Quelli, sul momento, finsero di non farci neanche caso. Presero posto a un tavolo lasciato libero dai precedenti avventori, sbattendo con fragore le loro Katzbalger sopra di esso. Uno dei due afferrò una brocca di lambrusco, la portò alla bocca, ne tracannò ampie sorsate, e infine si esibì in un rumoroso rutto.
«Scheisse! Bleah! Questo vino è merda. Oste, portaci della birra.»
«Sapete bene che non abbiamo birra dalle nostre parti», rispose quasi balbettando l’uomo dalla faccia rubizza e dalla sudorazione che stava aumentando in maniera notevole. «Se non gradite il vino rosso, posso andare giù in cantina a prendervi un buon bianco fresco. Vi assicuro che non ve ne pentirete!»
«Te ne pentirai tu, di non averci servito della birra!»
Uno dei due Lanzichenecchi scattò in piedi e afferrò l’uomo da dietro, stringendogli un possente braccio intorno al collo. Andrea vide il cameriere diventare in viso sempre più rosso, sollevato da terra dalla notevole altezza del suo aguzzino, i piedi penzolanti a un palmo dal pavimento. Se non fosse intervenuto, quell’uomo a breve sarebbe morto soffocato.
«Ora basta!», esclamò Andrea alzandosi in piedi. «Se volete attaccare briga, non prendetevela con una persona inerme. Non c’è divertimento. Combattete da uomini, e non da vigliacchi, contro chi è armato al pari vostro.»
Il Lanzichenecco, colto alla sprovvista, allentò la presa, permettendo al locandiere di riprendere fiato. Ma il suo amico, che fino a quel momento era rimasto seduto al suo tavolo, afferrò la sua spada e si diresse minaccioso verso Andrea. Quest’ultimo, estraendo la sua spada dal fodero, cercò di studiare a colpo d’occhio il suo avversario.
Molti muscoli, ma poco cervello. Devo giocare d’astuzia. Vediamo. La spada è possente, e tenuta con una sola mano. Ma la guardia è particolare, costituita da un tondino in ferro sagomato a forma di otto, come quella dei grandi spadoni da battaglia. Posso parare il suo fendente in calata, ma non riuscirei a fargli sfuggire l’arma di mano. Io sarei sbilanciato, a quel punto, e il ritorno incrociato non mi lascerebbe scampo. In un batter d’occhio, con un sol colpo, potrebbe staccarmi la testa dal collo. E addio Andrea!
«Perché ti impicci di cose che non ti riguardano amico? Non è buona educazione interrompere una discussione in cui non si ha voce in capitolo. Specie per un nobile che sulla propria casacca ha ricamato il disegno di un leone rampante. Orsù, dimostrami quanto di leonino hai nel tuo sangue!»
Solo il tavolo di legno apparecchiato separava Andrea dal Lanzichenecco. Fulvio e Geraldo si erano alzati dalle loro sedie e si stavano dirigendo verso l’altro energumeno, al fine di evitare che anche lui afferrasse la spada. Furono lesti ad afferrarlo sottobraccio, uno per lato, costringendolo ad abbandonare la presa sul locandiere. Poi Fulvio estrasse uno stiletto e glielo appoggiò contro il collo, in modo da renderlo inoffensivo. Andrea, dal canto suo, vide il suo avversario sollevare la Katzbalger. Si mise con la sua daga in posizione di difesa, ad attendere il fendente da parare. Attese il colpo calante ma, facendo una finta all’ultimo momento, permise alla spada del lanzichenecco di proseguire la sua traiettoria e, per inerzia, di trascinarsi dietro il braccio che la reggeva. Il filo tagliente della Katzbalger si andò a infiggere sul tavolo, spaccandolo in due. Il teutone, squilibrato, cadde in terra insieme alla spada. La brocca di Lambrusco, volata in aria, disegnò una traiettoria ad arco, ricadendo e schiantandosi proprio sulla sua testa. Intorno al lanzichenecco si andò formando una chiazza rossa di vino e sangue. Andrea approfittò dello stordimento momentaneo dell’avversario per giungergli sopra e appoggiargli la punta della spada contro la nuca.
«Come ti chiami, amico?», gli chiese sollevandolo per un braccio e riportandolo in posizione eretta, ma senza abbassare la guardia, continuando a minacciarlo con la punta della spada.
«Franz», rispose quello.
«Bene, Franz. Per oggi sei fortunato. Mi tengo la tua spada e ti risparmio la vita. Ma non capitare più sulla mia strada, perché non sarò altrettanto clemente con te una seconda volta», e così dicendo lo spinse verso l’uscita, lo rigirò e lo cacciò fuori con un calcio nel sedere, mandandolo a mangiare la polvere della piazza antistante. Non andò altrettanto bene al suo compare, che giaceva in terra senza vita nella pozza del suo stesso sangue. Fulvio non aveva esitato ad affondare la lama dello stiletto al minimo tentativo del suo avversario di divincolarsi per sfuggire alla presa.
L’uomo dal viso rubizzo stava guardando allibito la scena. Nel frattempo era uscito dalle cucine un altro locandiere, molto somigliante al primo, sia pur con meno capelli in testa, con tutta probabilità suo fratello.
«Che cosa avete combinato?», intervenne quest’ultimo. «Siete folli! Siamo abituati alle angherie di questi bellimbusti. Li lasciamo sfogare, si ubriacano, fanno qualche danno, sfasciano qualcosa, ma poi se ne vanno e per giorni e giorni viviamo in pace. Ora invece…»
«Non passeranno due giorni che di questo locale non rimarranno che ceneri fumanti», replicò il fratello, massaggiandosi il collo dolorante. «E i guardiani degli argini verranno ritrovati in fondo alla golena, finitici chissà come!»
«Immagino che i guardiani degli argini siate voi due», disse Andrea, rivolto ai due locandieri. «Intanto, in fondo alla golena gettiamoci questo goto!»
«In effetti, mio Signore, non è stata una buona idea lasciare libero quel Franz. Di certo tornerà qui in forze a pretendere la sua vendetta. E noi non saremo più qui. Saranno loro due a farne le spese», intervenne Fulvio, indirizzando un cenno alla volta di Geraldo, che lo aiutò a tirar su di peso il cadavere, trascinarlo fino alla finestra e, attraverso quella, scaraventarlo nel canale che scorreva dietro la locanda.
Andrea, Fulvio e Geraldo si sporsero dal davanzale, osservando con aria soddisfatta come la forte corrente stesse portando via con sé il corpo inerte del Lanzichenecco.
«Troverò il modo di offrire adeguata protezione ai nostri ospiti», sentenziò